In aereo accanto a me è seduto un ragazzo indiano abbastanza in carne,
che indossa placidamente una maglietta con sopra il Che Guevara. Dopo qualche
silenziosa ora di volo da Instambul verso Mumbai, durante il sontuoso pasto servito
dalle hostess della Turkish Airlines, ci auguriamo reciprocamente buon appetito
e verso la fine del volo ci rivolgiamo addirittura la parola.
Poco prima che l’aereo atterri parliamo brevemente, e da questa
conversazione last-minute scopro qualcosa di molto interessante: il mio viaggio
letterario in India inizia sotto il benevolo sguardo di Ganesha, la più
importante divinità del pantheon indù, la prima ad essere nominata nelle
preghiere dei devoti: sono i giorni della sua festa! Figlio di Shiva, Ganesha è
una divinità che ha ereditato dal padre il dono della danza cosmica. È il
dio-elefante, dal corpo umano e dalla testa di elefante. Dopo le cerimonie, le
processioni della sua festa, le statue che lo ritraggono vengono immerse in un
fiume, o in mare, in un lago, o nelle vasche dei templi. È spesso identificato
con l’‘om’, mantra della meditazione e si ritiene che l’ispirarsi a lui,
aspirando alla sua saggezza, porti a un più naturale e spontaneo allontanamento
dal peso dell’ego, considerato (anche nel buddismo, oltre che nell’induismo),
un fardello, la peggior zavorra di cui gli esseri senzienti si devono liberare
per poter vivere un’esistenza felice e coerente con la propria essenza, con i
propri simili, gli altri esseri senzienti e anche con i naturali principi del
cosmo. Il mio compagno di volo, che vive in Africa per lavoro, sta tornando in
India proprio per la Ganesha Caturti, una delle festività indù più importanti
dell’India, e sicuramente la più partecipata nello stato del Maharastra, dove
ci stiamo dirigendo. Con sentita emozione e sincero orgoglio, mi dice di far
parte di una nutritissima congregazione di giovani della sua città, che
trascorreranno le giornate conclusive della festa suonando e cantando per le
strade, in onore di Ganesha. Lui torna a casa per questa festa, e per cantare e
suonare insieme agli altri nella sua città. Vengo anche invitata a questa
festa, ma il mio tragitto è già stabilito da tempo, e non lo posso proprio
modificare. Comunque lo ringrazio, accetto e accolgo volentieri, se non altro
idealmente, questo invito e il mio viaggio si rivelerà davvero all’insegna di
Ganesha, della sua saggia e benevola spensieratezza, della sua capacità nel
rimuovere gli ostacoli dal cammino. È infatti per eccellenza la divinità
induista ‘abrecaminos’, per dirlo in spagnolo e tradurne il ruolo in una
tradizione religiosa caraibica sincretica (quella de los ‘santeros’), agli
antipodi dall’India. Devo ammettere che ho una certa familiarità e sicuramente
molta simpatia per questa divinità, come per gli elefanti, giganti, saggi
animali pacifici e vegetariani. Durante questo viaggio indiano, durante il
cammino, incontrerò anche innumerevoli immagini e rappresentazioni - che ho
cercato di documentare con moltissimi scatti fotografici - di elefanti (gli
animali) e di Ganesha (la divinità).
La prima tappa di questo viaggio di metà settembre 2013 mi porta diritta
all’ottava edizione del Kritya International Poetry Festival: il primo Festival
annuale di poesia in India, e come spesso ci ha ricordato il poeta e
diplomatico indiano Abhay K. Kumar (attualmente di stanza in Nepal, a
Kathmandu), anche il più grande dell’Asia meridionale.
Si può seguire ripercorrere idealmente il mio tour poetico indiano di
dodici giorni (viaggio incluso), realizzato nel settembre 2013, guardando una
mappa dell’India:
prima cercate Mumbai, nello stato del Maharastra, poi lì vicino vedrete
Nagpur, la ‘città dei serpenti’, situata esattamente al centro dell'India. Qui
- due anni fa, nel maggio del 2012 - mi ero sentita come se fossi una ignara
eppure precisissima freccia scoccata per trascorrere i miei primi quattro
giorni (poetici!) in India, in un viaggio tanto rapido quanto intenso, in
occasione della mia partecipazione alla sesta edizione del Festival Kritya.
Questa invece è la prima tappa del viaggio di quest’anno: Wardha. Anche qui ci
sono molti serpenti.
Questa volta, a differenza del mio primo solitario viaggio poetico in
India, ho condiviso tutto l’itinerario, geografico e letterario con la generosa
e vitalissima scrittrice italo-costarricense Zingonia Zingone, poetessa e
romanziera che scrive in spagnolo e vive a Roma. È una scrittrice prolifica,
con libri pubblicati e tradotti in vari paesi del mondo: qui in India presenta
proprio in questa occasione il suo libro Acrobat of the Oblivion,
tradotto dalla casa editrice di Mumbai Poetrywala.
Insieme ci siamo avventurate in questo tour indiano, come una tanto
minuscola come indipendente delegazione della poesia femminile proveniente
dall’Italia. Entrambe - e io per la prima volta - abbiamo anche contribuito
all’organizzazione del Festival di quest’anno, avendo l’onore di formare parte
integrante del suo International Organizing Committee.
Dal piccolo aeroporto di Nagpur, in una macchina piena di poeti, ci
spostiamo verso Wardha. In macchina conosciamo il poeta, cantante, pittore,
profondo conoscitore della cultura indiana e studioso di sanscrito e hindi
Mathura (M. Lattik, autore, tra gli altri, del libro Sõstrahelmed – Currant
Beads), proveniente dall’Estonia; il prolifico scrittore e poeta greco
Anastassiss, e il poeta indiano, con il quale avrei poi avuto il piacere di
condividere la sessione di reading durante l’ultimo giorno del festival,
insieme ad altri poeti di lingua
hindi, e al celebre poeta palestinese Marwan Makhoul.
Arriviamo all'imbrunire al campus della Mahatma Gandhi International
University: ora cercate in Googlemaps la località di Wardha. Proprio nei pressi
dell’Università che ci ha ospitati, si trova l’ashram dove Gandhi ha vissuto
per dodici anni, nell’epoca conclusiva della sua vita. A Wardha si respira la
placida e convinta, sorridente e inflessibile sobrietà del Mahatma/Grande
anima-Gandhi. Qui per esempio i letti sono dotati di un solo lenzuolo, che
copre il materasso (molto duro e confortevole). Un aspetto che personalmente
trovo molto civile e mi piace molto è che qui, ma scopro che è una norma
governativa, l’alcol non è (viene definita ‘dry zone’) considerato tra i beni
di prima necessità, e dunque non è incluso nei pasti, né offerto agli ospiti. Gli
ospiti che lo desiderano, lo devono sempre e comunque considerare come un
‘plus’, un bene di lusso a cui - di solito - provvedere privatamente se lo
desiderano. Si pensi che il consumo di alcol non è previsto né nella religione
buddista, né induista, né musulmana.
Degno di nota anche il dettaglio del nome delle vie del campus, tutte
dedicate a poeti indiani.
Il Festival Internazionale di poesia Kritya, diretto da Rati Saxena,
poetessa, scrittrice, traduttrice, cattedratica, allieva dello studioso e poeta
indiano Ayyappa Paniker, sta per cominciare: quest’anno si celebra la sua
ottava edizione itinerante. Una delle peculiarità più accattivanti del
festival, che lo rendono unico nel suo genere, e ne rendono ancora più
encomiabile la complessa realizzazione, è il fatto che ogni anno, come
dall’idea originaria del progetto, si svolge in una zona e città diversa della
vastissima India.
Durante la prima serata si apre formalmente il Festival, e i poeti che,
come noi, sono già arrivati, vengono accolti dal Rati Saxena dallo staff e
dalle autorità universitarie. La mattina dopo il nostro arrivo inizia il
Festival: prima dell’inizio delle sessioni dei reading del giorno,
l’inaugurazione del festival avviene anche con un rituale e con la musica: ogni
poeta apporta la fiammella della poesia: insieme ne accendiamo il fuoco
(sacro).
Nel cortile, intanto, alcune studentesse danno vita ad un coloratissimo
mandala, anche questo realizzato in occasione della inaugurazione del festival.
Come la poesia, un mandala è una rappresentazione condivisa dell’universo,
fatta di granelli colorati, che si combinano dando vita a forme geometriche
perfette, uniche e anche nuove.
A introdurre la prima mattinata di Kritya, oltre a Rati Saxena, che
dirige il Festival, interviene anche il comitato scientifico: Vibhuti Narain
Rai e Rakesh Mishra, docente presso il Dipartimento di Non-violenza e Studi
sulla Pace della Mahatma Gandhi International University; il Professor A.
Arvindakshan, della Mahatma Gandhi Antarrashtriya Hindi Vishwavidyalaya
(Wardha).
E così inizia il festival. Ognuna delle tre giornate del Festival
include quattro sessioni di readings, in cui poeti indiani e poeti che
provengono da altri luoghi del mondo si incontrano e si succedono sul palco,
con letture multilingue intervallate da intermezzi musicali o presentazioni di
alcuni eventi, riviste, volumi che spesso sanciscono la collaborazione di poeti
di diverse culture, sia indiane sia planetarie.
Tutti i poeti leggono le proprie poesie nella propria lingua materna, o
almeno in una di esse - dobbiamo pensare alla grande ricchezza linguistica,
ecumenica e multiculturale dell’India, con numerosissime lingue, oltre alla
lingua nazionale, l’hindi. Durante il Festival Kritya ascoltiamo una decina di
diverse lingue indiane: dall’hindi (con poeti di diverse generazioni: Rituraj,
Vinod Kumar Sukla, l’acuto e senza tempo Naresh Saxena, Chandrakant Deotale,
Dinesh Kumar Shukla, Basant Tripathi, Harpreet Kauur, la stessa Rati Saxena,
Pawan Karan, Divik Ramesh, con le sue liriche levigate e dai contorni nitidi, e
il giovane poeta, pittore e cantora Amit Kalla, anche lui parte integrante da
anni dello staff di Kritya) al kannada, con, oltre alla poetessa di Bangalore
Mamta Sagar, anche un esponente di spicco della poesia indiana quale il poeta
cantore Hulkuntemath Shivamurthy Sastri Shivaprakash, specialista e studioso di
mistica – soprattutto del movimento indiano shivaita dei bhakti, ora Direttore
del Centro Tagore di Berlino, e già professore di estetica e Preside di Facoltà
presso la prestigiosa School of Arts and Aesthetics della Jawahrlai Nehru
University di Nuova Delhi: un vero e proprio mistico d’oggi, devoto alla
poesia; dal punjabi (Surjit Patar, e il giovane poeta e cantore Ekam Manuke) al
marathi (Prasenjit Gaikwad), dal bengalese (Udaya Narayana Singh, che scrive anche in lingua
maithili, Subodh Sarkar) all’odisha (con la poetessa e traduttrice Pravasini
Mahakud); dal gujarati (Sitanshu Yashaschandra) al malayalam (con K.
Satchidanandan.
Ci sono anche tre poeti indiani di lingua inglese di tre diverse
generazioni: K. Satchidanadan, Sudeep Sen (poeta di spicco della sua
generazione, riconosciuto a livello internazionale, e - tra gli altri - autore
del libro d’artista intitolato Ladakh),
recentemente insignito dal governo indiano tra gli intellettuali e
artisti che più valore culturale stanno apportando al proprio paese e Abhay
Kumar, giovane diplomatico ora di stanza a Katmandhu, anche molto interessato
al tema della pacifica convivenza interculturale e impegnato nella stessa
direzione.
Tra i poeti internazionali anche la intensa poetessa estone Triin
Soomeset, di rara profondità e insieme rarefazione, i poeti e traduttori turchi
Müesser Yeniay (esponente della nuova generazione di poetesse turche) e Metin
Cengiz, i poeti finlandesi Helena Sinervo e il giovanissimo e già più che
celebre Niillas Holmberg (cantante, musicista e performer sami), la acuta e
poetessa e video poeta norvegese Odveig Klyve, i poeti cileni Sergio Reñasco e
Sergio Badilla Castillo, e i tre poeti irlandesi Liam Ó Muirthile, Gabriel
Rosenstock (specialista in haikus e molto attivo nella diffusione e
preservazione della poesia in gaelico) e Marc Granier.
Sotto un immenso tappeto di stelle, da Wardha partiamo all’alba, in
un’altra macchina piena di poeti, insieme alla poetessa bilingue francese e
occitana Aurelia Lassaque e alla poetessa kannada Mamta Sagar, di Bangalore.
foto di Annelisa Addolorato
mercoledì la seconda parte
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