I Canti della prossimità di Annamaria
Ferramosca, usciti di recente in La poesia Anima Mundi (a cura di
G.Lucini, Puntoacapo, 2011) mi sembra mettano in scena la prossimità tra
coppie di eventi fortemente connotati: la vita e la morte, la condizione prenatale
e l'esser-nati, la madre e il nascituro, la voce e la mimica, il rumore del
mondo e il suo silenzio. Credo tuttavia che ciascuno di questi dualismi,
dialoganti tra loro, siano exempla di una prossimità più radicale:
quella tra l'enigma e il suo disvelamento. Il mondo, ci insegna Annamaria
Ferramosca, è un sistema di segni non immediatamente decifrabili, che chiedono
di essere disvelati, così che sia saputo il loro rinvio a un'unità più
profonda, ma non tenebrosa, come invece credeva Baudelaire. La verità che il
disvelamento trattiene, già cara invero all'Oriente vedico ma anche ai certi
presocratici, non è estranea al mondo fenomenico, bensì lo pervade, legando
"l'erba alle mandibole del verme", e l'alto al basso, il sublime al
fango. "Tutto si mescola" scrive infatti Annamaria in un fiume di
latte corre nella mia notte.
Svelare l'enigma, inoltre, non significa toglierlo di
mezzo. Per capirne la
co-essenzialità con il fenomenico, occorre stargli in prossimità, cercando in
quest'ultimo una ragione ultima, che non sia la circolarità della materia,
quell'idea tutta occidentale, seppur grandiosa, che la natura sia un perpetuo
ciclo di nascite e distruzioni. Al pessimismo leopardiano, Annamaria Ferramosca
contrappone, combinando il fato con la forza che muove il cielo e le altre
stelle, il "destinoamore", che ci salva continuamente dal male della
storia, nella misura in cui l'uomo si assume la responsabilità del propria
natura altruista. Non c'è destino senza forza amorosa. E non è possibile amare
senza scelta d'amore. Certo non è una posizione filosoficamente alla moda,
tanto meno nei grandi sapienti che tutti amiamo, da Beckett a Sartre. Eppure
essa forse è l'unica capace di farci
uscire dal triste equivoco moderno, secondo il quale libero arbitrio significa
svincolarsi dalle ragioni dell'altro per scegliere, anche non volendolo, la
propria solitudine civile. Nel disegno dei canti della prossimità,
spetta al poeta riavviare culturalmente la civiltà nuova, garantendo necessità
alle parole nate dal silenzio, dalla profondissima quiete, dal
"brusio stellare", alle parole che trattengono gli esseri in
prossimità di una fratellanza mai paga ed umilmente vicina alla terra ossia
alla vita e alla morte, alla luce e alle tenebre.
***
… ti cercherò per questa terra che trema
lungo i ponti che appena ci sorreggono ormai
sotto i meli profusi, le viti in fiamme.
Cristina Campo
Prologo
(quasi
Near Death Experience)
andata
sono andata
asino che trascina
campane
il libro lasciato
sull’erba
aperto al vento
pagine che sbattono impazzite
perché qualcuno sta
leggendo
sotto una luce
zenitale
e comprende
andata
sono andata
tutto così domestico,
ora
sospeso eppure tattile
perfino il muro è
morbido
mi parla con pacatezza
da un’escoriazione nel
bianco
scandaglia note
nella mia voce
incerta
finalmente assertive
andata
ché ero sempre in fuga
da stanze sorde
a piccole feroci
suppliche
ché avevo dita sporche
per aver scavato con
foga in terra
e l’insistenza
arrochita del chiedere
reduce da un periplo
di universo
ritrovarmi
bambina in stupore
sotto l’ala di un
racconto
*Near Death Experience, si dice dell’esperienza di chi
abbia costeggiato la morte e ne sia tornato con vividi ricordi.
***
Dalla Sezione INFRAVOCI
la lingua che
s’ammutina
sto per spegnere la televisione
lo speaker mi precede
ammutolisce
immobile inespressiva maschera
si consacra al silenzio
la lingua che s’ammutina
sa
del respiro forte degli alberi
di cui parlano i sordi
una nuvola scivola tra
i rami
e maturano allo stesso
tempo i frutti
segretamente
alla password soffiata
del contagio
la lingua che s’ammutina
sa
del mormorio animale
dei passi infiniti sulla pianura
tagli nell’orizzonte
invisibili
la terra ne
risuona e i miei polsi
al passo muto del tempo
nella stanza
un dente di latte cade
senza rumore né sangue
***
di voce attesa
una specie di lamento sottile
un gemito piccolo di gioia
come un timbro distorto per l’iridescenza delle acque
è la voce embrionale che attraversa la bolla salina
risuona nelle vene alla madre
e preme e le canta la sua elementare infanzia
chiede di sfolgorare in concerto nel giorno
dell’uscita luminosa
quando
il minuscolo corpo verrà adagiato
sull’
addomepianeta che riconosce
l’emissione di onde alla madre si compie
per distacco di corone vocali sottili come aureole
e lei interpreta e trema e costruisce
un paesaggio di case-alberi-strade
divinazione al primo cammino
lei avvia
un’assertiva preghiera
salute prima poi
bellezza e buona sorte ex aequo
tutto accadrà dovrà
accadere
per volontà- rito-destino
o solo
per un in-cantamento
***
dalla Sezione CURVE
SARANNO LE CITTÁ
Cammino e dietro camminano le
stelle
Adonis
e
nel cammino mi guardo indietro
a cercare tracce di passi siderali
afferrare code lucenti di
conversazioni
sulla nuca ho il peso del cielo
specchio d’assenza in terra
solchi fioriti d’acciaiosangue
solo un poeta a tradurre
il brusio stellare
segui
le luci luciparole
al
fondo degli sguardi
stringi
di bende l’immane ferita
sia
l’ultima emostasi sui confini
nei
deserti nelle città
nella
tua casa
e nel cammino vedo allontanarsi
i muri dell’enigma
file di pietre a secco disporsi
ai miei fianchi - nessun cemento
imposto -
per un giardino condiviso
sulla pietra luciparole incise
rispondere alla notte
***
Caro, lo so,
tu mi stai leggendo
prima ancora
che io scriva
( lettera di M. Cvetaeva a R. M. Rilke morto)
un fiume di latte
corre nella mia notte
intiepidisce intorno l’aria e preme
le gemme a fiorire
all’alba
i mandorli saranno come neve
un fiume che cola albume sulle mie labbra
e nutre ogni altra bocca
in terra
e ridepiange a ogni
crescita
così l’osmosi in terra
inarrestabile destinoamore
che lega l’erba alle
mandibole del verme
la vena d’acqua al sangue
al delta tutto si
rimescola
il mare ribolle di
fiducia
tuo sguardoluce
senza
bisogno di parole
é questo pulviscolo che
naviga
dalla tua alla mia fronte a
farmi vivere
farmi scrivere
di te senza timore
che la penna mi cada dalle dita
***
curve saranno le
città
… e io ti offrivo il frutto che fa illimitato
l’albero senz’angoscia né morte, di un mondo condiviso
Yves
Bonnefois
figure senza sguardo
ritorni d’ombre ogni
notte m’invitano
al di là del canneto nella
città palustre
spargono dai turiboli
fumi di rassegnazione
e il tono è di sprezzatura
(di chi sembra conoscere ma
sento disconosce)
rifiuto questo torpore
muto
a vacui campi di asfodeli
preferisco
la grotta di zinzuli all’incrocio dei mari
dove di stracci parla una
sibilla
e di abbracci e m’infebbra
nel vorticare di taranta
la sua grazia derviscia che
annulla
l’egoasse subdolo di rotazione
le braccia devi tenere aperte a fare arca
dal turbine raccolgo le sue
foglie danzanti
il salecristallo di segni sibillini e chiarissimi
in cerchio, davanti alle scurità
l’accensione del fuoco
in cerchio, le scintille le grida
a rinascere
curve saranno le città
perfette forme
nota:
zinzuli, in dialetto salentino, sta
per “stracci”. Il riferimento è alla Grotta Zinzulusa di Castro Marina, le cui
stalattiti somigliano a stracci appesi.
***
maternale
mi sono coperta di sabbia
in empatia con
l’isola che dorme
davanti a me: una
donna-scoglio
la fronte alta
contro le nebulose
la gola piena come in largo respiro
sazia del suo ventre in attesa
mi sono coperta di sabbia
a mimare il suo profilo
entrare nel suo tempo
- nove mesi come millenni -
ho atteso un battito
un segno
( quel falco improvviso su di noi le sue frasi
in altissimi cerchi )
mi scrollo via la sabbia
cammino sulla riva
in questa luce augurale che apre
la coincidenza dei tempi
una sposa venirmi incontro
sorridermi con il
suo lasciapassare dal mito
la manocarezza sul ventre
come fossi sua madre le chiedo
il tempo del parto
Sardegna, Portu Tramatzu
per richiedere il libro: acquisti@puntoacapo-editrice.com
per richiedere il CD di Canti della prossimità: gianmario@poiein.it
per richiedere il CD di Canti della prossimità: gianmario@poiein.it
Annamaria Ferramosca vive e lavora
a Roma. E’ideatrice e curatrice della rubrica Poesia Condivisa nel portale poesia2punto0
e collabora con testi e note critiche a numerose riviste,
anche in rete. Fa parte della redazione di clepsydraedizioni
, che seleziona in anonimo nuova poesia italiana contemporanea.
Ha pubblicato in poesia:
Other Signs, Other Circles, selected poems
1990-2009, Chelsea Editions, NewYork, collana Poeti Italiani Contemporanei
Tradotti, 2009, traduzione di Anamaria Crowe Serrano;Curve di livello, Marsilio, Collana Elleffe, 2006, che ha ricevuto i Premi: Astrolabio, Castrovillari-Pollino, Premio L’integrazione culturale attraverso la Letteratura, Premio Città di Cattolica, e risultato finalista ai Premi: Camaiore, LericiPea, Pascoli, Montano;
Paso doble, Empiria, 2006, coautrice A.Crowe Serrano, trad.ne inglese di Riccardo Duranti;
Porte/Doors, Edizioni del Leone, 2002, prefazione di Paolo Ruffilli, trad.ne di A.C. Serrano e R. Duranti, Premio Internazionale Forum;
Il versante vero, Fermenti, 1999, introduzione di PlinioPerilli, Premio Opera Prima Aldo Contini Bonacossi. Numerosi sono i riconoscimenti per la poesia inedita, tra cui il Guido Gozzano 2011, e la menzione d’onore al Montano2012.
Ringrazio Stefano Guglielmin per la sua puntualità e finezza nel leggere la poesia necessaria e modernissima di Annamaria Ferramosca.
RispondiEliminaLettura impeccabile, quella di Stefano Guglielmin, di una poesia, quella di Annamaria Ferramosca, che non mi stanco di esplorare (anche attraverso il procedimento di Übertragung, di versione e resa in un altro idioma, nel mio caso la traduzione de "La lingua che s'ammutina" in tedesco) nella sua ricerca sempre nuova, eppure sempre salda - perché intenzionalmente collegata all'altro da sé - di una sua originale "Aufhebung". Bene fa Stefano Guglielmin, in tal senso, a sottolineare che "Svelare l'enigma, inoltre, non significa toglierlo di mezzo". Proprio così: nello "svelare l'enigma", nell'assunzione di responsabilità, la "lingua che s'ammutina", che "sa/ del mormorio animale/ dei passi infiniti sulla pianura" riesce nell'intento di portare a un piano superiore, di elevare all'universale. Nella nutrita dialettica che procede dall'ammutinamento alla coralità leggo la cifra dei versi di Annamaria Ferramosca. Un saluto grato per questa occasione di lettura e riflessione.
RispondiEliminaL'anteprima mi ha annullato il commento. Allora cerco di ripetere l'impressione di autentica, musicale "tranquillità" che questi versi mi hanno comunicato. A una prima lettura, sembra inevitabile una sfida tra gli smottamenti della vita già presenti qui, e la sua intelligenza sottile che li "governa", li placa, li rimette a posto in un suo ordine preciso. Poesie che l'autrice ci offre con una scioltezza d'origine, fatta di profonda attenzione e di rigore stilistico. Leggerla è un piacere
RispondiEliminaper virtù di equilibri, di intuizioni pacate e profonde e (devo dire l'orrenda parola) di autentica bravura.
Cristina Annino
Che bello sentire letture così precise. La poesia ha bisogno di lettori come voi. Grazie!
RispondiElimina”solitudine civile”, come dice Guglielmin, credo sia il riconoscere la babele involontaria di ogni distanza attuata dalla parola, ogni messa in scena che poi resta vuota nel vago e vacuo tentativo
RispondiEliminadi metterle in corpo sostanza mentre i segni restano prossimità solo a se stessi. Irraggiungibilità della parola che è ombra di ciò che la realtà sognata non paga. E allora Annamaria Ferramosca
il libro lasciato sull’erba
aperto al vento
attraverso le
pagine che sbattono impazzite
perché qualcuno sta leggendo
s’incammina e il suo andare è andare verso un muro che diventa addirittura morbido, è l’andare che lo rende tale, questa disposizione ad andare, al cammino, al mettersi in viaggio e riconoscersi viaggio, le pagine del libro che vive per questo andare e andare verso: alberi,nuvole,frutti,animali, non oggetti, non contaminazioni di un mondo divenuto virtuale nella sua realtà ,a cui per accedere serve una password , serve un co-mando. Annamaria si dirige verso l’origine del bene che è un bene semplice e complesso, non complice di quelle efferatezze che la parola spesso compie attraverso il gesto di chi la proclama dittatrice e dettato. Per questo la lingua si ammutina davanti al mormorio animale, c’è in quella una voce per ogni parto di cui il corpo del pianeta, che è nostro corpo inequivocabile, dice l’attesa perché il corpo è gravido ad ogni istante di molteplici forme che poi sono ancora una volta nostro corpo che si attesta come pianta o sabbia,come via lattea, in un fiume materno che ci sostenta di luce e gioia come alimento ed è embrione per infiniti mutamenti sostanziali,elementali, che si auto-pronunciano con distacco di corone vocali sottili aureole
da cui lei, la madre che ancora con altra lingua e identica originaria voce, interpreta tremando e fremendo a frequenze non solo terrestri ma cosmiche, il paesaggio che va costruendo senza scopo di lucro ma benessere e bellezza e fecondità proficua.
E’ certa Annamaria di questa sorte, che supera l’ora, trascina da una origine di cui niente è stato ancora svelato, ad una prossimità sempre ad un passo dal dis-velamento, perché anche questo è gioco fecondo, un movimento, il verso senza fine che noi facciamo al modo in cui sentiamo e siamo mondo.
Grazie per questo ritornare ad una lingua piana, ad una lingua che non si mantiene nelle fertili pianure di una aristocrazia verbale ma cerca il deserto per trovare un cristallo che spaccandosi si faccia acqua, contro qualsiasi aspettativa ma certamente nella possibilità del mistero che ci mantiene in vita una generazione dopo l’altra, da una specie all’altra, secondo una orogenesi mai spiegata. fernanda f.
E’ proprio come tu dici, Stefano, è vera, questa sensazione di conforto che si prova nel vedersi così compresi, nel verificare
RispondiEliminada chi qui ha commentato, il lato transitivo di quella prossimità che non vorremmo mai fosse vacua parola.
Per questo ringrazio tutti, a cominciare da te che per la terza volta mi ospiti e gratifichi attraversando i miei testi con sguardo speciale.
Non so e non sento di dovere aggiungere nulla, se non minimi cenni, alle vostre generose parole di scavo. Il poeta ha il limite di saper dire (se ne è capace) solo in poesia. Ma può sempre ringraziare per le luci che vengono dall’interazione con la propria scrittura , da quei mondi prossimi che si lasciano movimentare e aggiungono altro, altre visioni, altra energia. Urti che mi sono necessarissimi per diradare il mio buio, che sempre mi segue, nonostante l’equilibrio e la pacatezza di cui parla Cristina Annino.
Così grazie. Ad Antonio, che non conosco, per l’apprezzare. Ai rilievi luminosi di Cristina, che mi emoziona anche per “l’orrenda parola” di lode che, provenendo da “un poeta” come lei, farebbe arrossire chiunque. Alle preziose riflessioni di Ferni, da sempre coinvolta e coinvolgente nella necessità di purificazione della parola e di riparo da ogni inutile ipocrisia in vita e scrittura. Grazie, Ferni, anche per quel “cristallo che nel deserto si fa acqua”, per una lingua di tutti.
Annamaria Ferramosca
Ad Annamaria Curci, che ha adottato da un po' la mia scrittura, tanto da trasporla in musicalissima sonorità germanica, va il mio particolare grazie. Per la sintonia che mi dimostra, ma soprattutto per la prossimità che per lei è regola vitale, per l'entusiasmo trascinante in tutto quel che fa.
RispondiEliminaA.F.
E quando si spegne anche la voce, colpisce la ribellione e la sapienza della lingua, anche se non parla è capace di significati: “del respiro forte degli alberi/ di cui parlano i sordi”
RispondiEliminaO quando entra in gioco la sapienza del poeta: "solo un poeta a tradurre /il brusio stellare"
complimenti Annamaria
Grazie a gugl
margherita rimi
La poesia è condannata a usare "la lingua che s'ammutina", a dialogare con chi s'è ammutinato partendo a un ex ergo, a tentare di decifrare i segni o darci almeno una visione, una speranza. Una poesia avvincente, compagna inseparabile che non ci chiede niente.
RispondiEliminaA.Fiori
Ciao, Margherita, ciao Antonio, bello vedervi entrare nelle mie scene e interagire portandovi un po' del vostro campo visionario. Grazie del passaggio.
RispondiEliminaAnnamaria Ferramosca
un'ottima lettura questa di gugl e molto belli e dispieganti (oltre che abbraccianti il cerchio) i commenti che mi precedono.
RispondiEliminaMi scuso se ripeto il già detto, cmq le mie osservazioni ridondano :)
l’aspetto forte del cantamento di queste poesie (come in genere della poetica di Annamaria) o, meglio, dell“in- cantamento “, che nell’aspetto musicale dei versi e nell’aspetto anche contiguo, in prossimità l’un l’altra, delle parole, chiama non un assolo, ma un darsi corale delle parole stesse;
la tensione di unione ad un nucleo generante, ad un utero-mondo, centro-parola(indicato benissimo da ferni), dal quale però un caos centrifugo , un caos anche esistenzialmente umano oltre che di fortuna o sorte o divina provvidenza o divina distanza…,, che spinge alla dispersione o all’annichilimento, in modo altrettanto freddo e slontanante di quello che avviene su scala siderale, un moto centrifugo cmq necessario (e sì provvidenziale) a creare un che di equilibrio instabile a non implodere in quel centro certo fagocitante e cmq annientante (questa volta per implosione);
equilibrio (ne parlava Cristina da un punto di vista formale e di linguaggio) rappresentato ottimamente dalle “danze “ (dervisce, tarante, …., )qui richiamate in modo bellissimo da versi e immagini splendidi quali le “braccia devi tenere aperte a fare arca” o l’essere “n cerchio, davanti alle scurità / l’accensione del fuoco”, danze come autentico sviluppo del cerchio di culture. Infatti per ruotare insieme occorre non di avere lo stesso angolo di visuale né equilibrio singolo impeccabile,quanto equilibrio collettivo, nel quale l’errore di uno è assorbito come possibilità di spostamento di un altro,senza pregiudicare l’unione-
In ultimo, osservo il richiamo al libro anche a quello “grande”, e a quel giro di pagine che ci perde ma anche continua, a quel “disvelamento in prossimità” di cui dice benissimo gugl
Un richiamo” religioso” al libro e alla parola come fondamento, come quello mutuato a partire dall’ebraismo. Lo osservo per es. in tutto il susseguirsi di vari lemmi: fiume di latte (anche nella bellissima variante di “fiume che cola albume”), asfodeli (fiume di latte, asfodeli a richiamare immediatamente il Cantico dei cantici”) , turiboli, suppliche,preghiera, siderali, pulviscolo, arca, scintille..
Un richiamo che nella prima poesia mi fa trasformare la lettrice, l’asino, la fuga,ecc…nella iconografia che rappresenta la Madonna - la Madre che legge (e in un quadro legge durante la Fuga in Egitto).
Grazie Annamaria e tutti, complimenti!
In cerchio :), un abbraccio
E grazie tantissimo a gugl!
ciao
eccellenti spunti/dettagli/pensieri carissima Margherita.
RispondiEliminaParlando in generale, credo che un autore non possa sperare di meglio quando trova ospitalità in un blog (mi riferisco all'insieme dei commenti in questo post)
La capacità di Margherita Ealla di addentrarsi nei diversi livelli di una scrittura poetica e di chiarirne segnali e spessori simbolici, attrazioni e fughe, è ormai ben nota in rete, ma ogni volta mi sorprende. Così il mio grazie a lei non è soltanto per l'adesione sensibilissima ai temi che ha qui sentito, ma per la dose aggiunta di densità e bellezza che lei restituisce dopo la lettura.
RispondiEliminaE questa poesia, Stefano, semmai lo è, davvero la vedo stare come semplice esca, perchè, inn-escata dalle tue riflessioni - si muove ora in quel mare di risonanze corali sincere e possibili, che è questo tuo blog. Per questo, grazie.
Annamaria Ferramosca
Si fa quel che si può :-)
RispondiEliminaCiao Stefano,
RispondiEliminail mio, in ritardo, è il commento n°15. Nei I Ching, l'esagramma n°15 è -vado però a memoria, potrei sbagliarmi- la Modestia, e viene dopo, mi sembra, il Possesso Grande (n°14). Ed è con modestia che scrivo queste quattro parole di consenso alla poesia di Annamaria Ferramosca. Sento molto Amore (l'hai notato anche tu, Stefano) in questa voce poetica. Dire oggi, lo so, una parola come Amore, è come far credere che la "pipa" del quadro di Magritte sia una pipa. Assistiamo tutti i giorni al reiterarsi sistematico del 'tradimento dei significati' -parafrasando il titolo dell'opera di Magritte-, e non è una sindrome acuta, ma cronicizzata da secoli. Eppure sembra che la 'resilienza' del significato sia qualcosa di sorprendente. C'é sempre un poeta, un artista, un'azione umana gratuita, che sa ogni giorno riscattarlo, magari per un momento, dalla mercificazione
che lo annulla. Allora ti viene da usare ancora questa parola, sentire quanto può 'com-prendere', quanto può far fare, quanto può far 'bene-dire'.
Un caro saluto a tutti,
Armando Bertollo.
grande, Armando!
RispondiEliminaMi sento allora bene-detta perchè profondamente com-presa da un lettore come Armando Bertollo che non conosco, ma che nella "modestia" rende manifesto il suo spessore. grazie per la sua lettura,
RispondiEliminaAnnamaria Ferramosca
qui, tutto l'Armando, minuto per minuto: http://golfedombre.blogspot.it/2010/05/la-poesia-verbo-visuale-di-armando.html
RispondiEliminagrazie per il link e per la tua presenza, Stefano. buona estate a tutti
RispondiEliminaA.F.
Auguri anche a te e agli altri ospiti. blanc va in vacanza!
RispondiEliminaOttimo commentop, Stefano, acuto e sensibile, come sempre.
RispondiEliminaGianmario Lucini