Se davvero, come scrive Pavese, in ogni poeta torna
ossessivamente il mito personale e il compito della scrittura sta nel farlo
rivivere nelle proprie maglie, quello di Laura Liberale ha a che fare con il
mistero della morte. Tanatoparty (Meridiano Zero, 2009), suo romanzo
d'esordio, ne è la testimonianza portata all'estremo, nella misura in cui
condensa in sé tutte le altre sue passioni: la poesia, l'estetica, l'induismo,
la critica alla civiltà dello spettacolo. Questo romanzo, infatti, concentra in
pochissime pagine (forse troppo poche) lo scibile sull'esperienza della
dipartita sotto il profilo medico, antropologico, religioso e mass-mediatico
con la dominante, in sottofondo, che l'arte possa vincere la caducità, non solo
metaforicamente, specie dopo la "plastinazione" con la quale un corpo
viene conservato, prima svuotandolo da liquidi e grassi sostituiti con polimeri
di acetone e poi indurendolo con gas. Cosa c'entri tutto questo con la poesia,
lo lascio scoprire ai lettori. Do soltanto l'indizio che la protagonista,
defunta dopo una vita di reading performativo, sembra la combinazione,
mostruosa eppure affascinante, di Patrizia Valduga e Gina Pane.
Ho citato questo
romanzo perché, come la sua ultima silloge poetica, prende la sua forma
ossessiva dal tentativo di elaborare il lutto paterno. Nata nei giorni della
malattia del genitore, Ballabile terreo (edizioni d'If, 2011) ne
racconta infatti il dramma storico ma, a contare maggiormente, è il confronto
che Laura Liberale istituisce con la sua figura simbolica. "Colossale
Mito" definisce l'amata figura, verso la quale nutre un amore-timore che supera
la biografia per fondarsi appunto nel mito: "Nemmeno da morente / vuoi
rinunciare al ruolo / rifiuti la muta di una pelle / ormai inservibile / fino
all'ultimo ti ribadisci", commenta lei, sapendo che il mito protegge a
patto di nutrirlo col proprio sangue. In questo ambito – il sacro – con le
parole non si scherza: il sangue è vero, il patto eterno e fondativo per
l'intera comunità. Forse per questo, Laura Liberale riscatta questa pesantezza,
che chiede l'assunzione responsabile della lingua dell'alleanza, attraverso le
parole della poesia, la cui lingua consente il gioco ed è una pratica
individuale. Lo aveva già scritto in Sari (edizioni d'If, 2009),
dedicato alla figlia neonata: "Ci giocherai, vedrai, con le parole. /
Potrai fondare analogie / creare insospettate connessioni / un tuo esoterico
vocabolario / la lingua dei Misteri Sariani. / E se saprai anche farlo bene /
[...] / capiterà di trovarti poeta". Le parole della poesia sono leggere perché
portatrici di sonorità slegate dalle catene semantiche (che sostanziano il
patto della comunità parlante, con le sue regole imprescindibili), al punto
che, in Ballabile terreo, "adenocarcinoma" diventa "un
settenario [...] cantabilissimo", un suono "pagano e orfico",
che rima con "pleroma e aroma".
Per dire, tuttavia, come delle parole non
bisogni fidarsi ciecamente, si osservi la circostanza che la prima parola,
pleroma, rinvia alla pienezza di Dio, alla sua onnipotenza. E dunque è parola
con la quale, involontariamente, la poetessa rifonda l'autorità del padre, pur
stemprandola con l'altra rima, aroma, e con la suggestione mistica dell'orfismo
precristiano. La Liberale si muove invero sempre con questo doppio passo, ben
evidente in Ballabile terreo sin dal titolo (la leggerezza del ballo, la
pesantezza mortale della terra) e dall'uso delle parentesi, nelle quali
problematizza, contesta, mette in crisi, quanto asserito nel verso precedente.
Si veda Onirica (Homo bulla) e soprattutto "imparolirsi
Sparolirsi", costruzione binaria, per termini antitetici, degli emblemi
della vita e della morte. Ed è questo infatti il nucleo profondo del discorso
di Liberale, certo in debito con la tradizione buddhista: la morte è un trapasso
verso altra vita, e la vita è un passaggio in cui ci prepariamo a morire. Il
doppio passo tiene insieme filosofia ed esistenza, psicologia e poetica, i
quattro cardini terrestri entro i quali Laura Liberale si gioca il destino di
donna e di scrittrice.
Tre
domande a un dottore
1
Per
cortesia, ne ascolti il suono:
adenocarcinoma
un
settenario, dottore, dunque cantabilissimo.
Senta
come s’impone, pagano e orfico
con
le sue prime tre.
Come
vada poi a strozzarsi sulla quinta
quasi
prendesse di sé quel tanto di paura
(se
prova a dirlo piano
è
lì che in bocca fremono le salivari).
Con
le restanti due tutto è compiuto
la
chiusa del definitivo.
Ma
ha mai pensato che fa rima
con
pleroma e aroma?
Che
abbia anch’esso tutta una pienezza
l’effluvio
di se stesso o qualcos’altro?
Qualcosa
che ci sfugge per terrore?
2
T3b N1 Gleason 9
una
stella scoperta l’altro giorno
una
gradazione d’azzurro
nella
cartella-colori delle vernici
un
prototipo d’inceneritore a energia solare
un
nuovo font per il PC
il
punteggio massimo per tre volte consecutive
sulla
metà più una
delle
macchine di una sala giochi.
È
davvero così certo
di
parlare del tumore di mio padre?
**
Il
bimbo grasso - anni non più di tre -
infilato
nella divisa del celebre attaccante
lo
incroci sulla strada per il mare
e
in un secondo sghembo
gli
lanci la tua palla sferragliante pena
beccandolo
diritto sulla fronte riccia.
E
quando inaspettatamente ti saluta
(un
ciao che più leggero non potevi immaginare)
t’ammonisci
di vergogna e mediti che no
il
tempo non gli manca
la
partita è appena cominciata
e
che potrà anche farcela
ciccio
bruno svolazzante
piumino
che da sopra ti sorride.
**
Tra
le due la destra era la preferita
-
la sbreccata - di caviglia
il
boccone che la vita le ha avanzato.
E
non le parole
osteomielite,
tetano, forse forma tumorale
erano
impressionanti
e
neanche Cottolengo
nome
antroso d’ospedale
quanto
l’accenno alla degente
catatonica
per i bombardamenti.
Anche
con mia madre, papà
come
con tutto il resto
a
interessarmi è sempre stata
la
mancanza, il pezzo assente
(insieme
a ciò che è di troppo
all’escrescenza
che non dovrebbe
eppure
c’è).
**
Imparolirsi Sparolizzarsi
Accumulare/ Disperdere/
accumularsi destratificarsi
Sedimentarsi Squagliarsi
Immanentizzarsi Assolutizzarsi
Se fossero questo vita e
morte
(che simulacro d’azione
nei verbi di un morire
siffatto)…
Il guaio è che a sinistra
trovi pure:
bere il latte la mattina
infilare le mani nel
grasso della terra
pedalare in saliscendi
fare l’amore e
intrecciare le lingue
quando non parlano
ridere fino alle lacrime
come quando il figlio si
tuffa fuori dal ventre.
Di questi verbi nessun
opposto attivo è dato.
Soltanto il non. La
negazione.
Così si trema.
Tremare
verbo di sospensione
tra la nostra vita e la
nostra morte.
**
“Non
fare quella faccia”
le
tue ultime parole.
Così
si chiude un dialogo
lungo
trentacinque anni:
con
un rimprovero esalato.
Nemmeno
da morente
vuoi
rinunciare al ruolo
rifiuti
la muta di una pelle
ormai
inservibile
fino
all’ultimo ti ribadisci.
E
dunque ancora mi proteggi da me
dagli
occhi che divorano in angoscia
la
tua morte
specchiandotela
infami.
Proteggi
e pure chiedi protezione
mi
esigi madre e psicopompo
che
spenga in volto le spie paurose
e
per te accenda
la
verosimiglianza della quiete.
Laura Liberale è nata a Torino il 15
maggio 1969, si è laureata in Filosofia con una tesi di Religioni e Filosofie
dell'India e dell'Estremo Oriente. Dopo la laurea ha conseguito il titolo di
Dottore di ricerca (in Studi Indologici). Svolge attività di traduzione e da
parecchi anni si dedica alla produzione poetica.
Ha pubblicato le sillogi Sari
(poesie per la figlia), 2009, e Ballabile terreo, 2011, entrambe per
le edizioni d'If. E' presente in Nuovi poeti italiani 6, di immenente
uscita presso Einaudi. Il suo primo romanzo, Tanatoparty è uscito presso
Merisiano Zero nel 2009. In giugno esce Madreferro (perdisa editore)
A mio avviso molto belle. Quest'ultima poi... davvero toccante. Un cordiale saluto e un complimento all'autrice.
RispondiEliminaGabriele Gabbia
Ottimi versi quelli di Laura.
RispondiEliminaCalibrati, vivi, capaci di rigettare le crepe del quotidiano mantenendone l'intensità.
Complimenti,
Marco Scarpa