Nel 1961, approdò in libreria l’antologia dei “Novissimi. Poesia per gli anni ‘60”. Nanni Balestrini, Alfredo Giuliani, Elio Pagliarani, Antonio Porta ed Edoardo Sanguineti avevano gettato le basi per il recupero di un esercizio e di una vitalità linguistici in grado di superare, d’un sol balzo, la palude in cui era arenato il dibattito sul rinnovamento della poesia italiana. Dimenticato o sottovalutato il Futurismo, in assenza di un recente passato di totale rottura, come il Dadaismo e il Surrealismo, il dibattito si trascinava stancamente tra le pur valide fucine del bolognese “Rendiconti” di Roberto Roversi e dell’“Officina” romana di Pier Paolo Pasolini: il faro del “Verri” di Luciano Anceschi, fresco di nascita nella stessa Bologna, era ancora poco visibile.
In questo sommovimento, si inscriveva la passione letteraria e lo sfrenato attivismo di mio fratello Adriano: cinque anni più di me (allora sedicenne) e già nel ‘62 fondatore e direttore di una piccola rivista d’avanguardia, Bab Ilu, e l’anno successivo, a Palermo, partecipante al primo storico convegno del Gruppo ‘63, patrocinato da Luciano Anceschi e Umberto Eco. Un poco anche sull’onda lunga di “Fluxus”, il rivoluzionario movimento artistico-letterario proveniente dagli Stati Uniti, era nata la neoavanguardia letteraria italiana. Io non me n’ero ancora accorto, me ne resi però conto molto presto, per via di nuove letture ma anche frequentando, a Bologna, l’osteria di via dei Poeti (di Carducciana memoria), al seguito di mio fratello e dei suoi amici, vicini a “Bab Ilu”. Tra gli altri, ricordo un onnivoro e vulcanico Giorgio Celli, una graziosa e letterariamente disinibita Patrizia Vicinelli, un ombroso e sottilmente dialettico Carlo Marcello Conti. Con loro discutevano animatamente altri giovani che avrebbero costituito la redazione di “ Bab Ilu”: il riflessivo Miro Bini, l’irruente Carletto Negri, lo studente di Psicologia Sergio Molinari, l’irrequieto Vic De Tassis, nonché i piu pratici Claudio Altarocca, Aurelio Ceccarelli, Gianni Celati, Vittorio Puccetti, Alberto Tomiolo e il pittore Giuseppe Landini. Solo alcuni di questi nomi comparivano nel colophon della rivista ( di cui uscirono soltanto due numeri), mentre gli altri risultavano fra i collaboratori.
Le riunioni di redazione avvenivano, oltre che nell’osteria di via Dei Poeti, nell’appartamento in cui noi fratelli vivevamo con i nostri genitori al primo piano di via Andrea Costa 133, fuori porta Sant’Isaia, con la borbottante sopportazione di nostro padre, maresciallo della Guardia di Finanza, e la complicità (anche gastronomica) di nostra madre Dina.
“Bab Ilu” nasceva sotto la benigna egida del professore Luciano Anceschi, che aveva già preso sotto le sue ali quel giovanissimo e promettente studente del suo corso di Estetica che era mio fratello Adriano, del quale aveva appoggiato la pubblicazione sull’autorevole periodico “Il Mulino”, di un articolo sulle nuove strade della poesia e al quale avrebbe presto affidato la rubrica delle recensioni letterarie sul suo “Verri”. Ma i redattori della rivista rivendicavano una loro irriverente autonomia, anche dalle iniziative dei “Novissimi”: ne è prova la pubblicazione, in apertura del primo numero, del poema “Omaggio ai sassi di Tot”, autore un irregolare, come Emilio Villa. La scelta di campo fra pseudoinnovatori e autentici rivoluzionari del linguaggio poetico era proclamata in modo netto sulla copertina del secondo numero: i veri ascendenti di questa frenetica volontà di scuotere dalle fondamenta la codificata Babele letteraria italiana andavano però cercati più lontano: fra dadaisti e surrealisti e, in primo luogo nei maudits francesi, Baudelaire, Rimbaud, Verlaine seguiti dappresso da Mallarmé e Appollinaire, senza dimenticare l’ingombrante antecedente di Rabelais.
Qui l'archivio di Maurizio Spatola.
Qui l'archivio di Maurizio Spatola.
Grazie per la condivisione, ti sarei però grato se citassi la fonte, ovvero il mio Archivio Online.
RispondiEliminaBuona giornata,
Maurizio Spatola
fatto! Un caro saluto.
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