domenica 30 marzo 2008

Scritti nomadi


Nel 2001 pubblicai, per le edizioni Anterem, Scritti nomadi. Spaesamento ed erranza nella letteratura del Novecento. Le copie sono andate presto esaurite ed ora riposano qui e là nelle librerie domestiche, nei mercatini a metà prezzo e in qualche biblioteca. E' il destino dei libri. Però il loro desiderio, la loro "funzione", è di essere letti e riletti. Mi fa dunque piacere che Francesco Marotta abbia inserito nel suo blog, La dimora del tempo sospeso, un paragrafo tratto dal primo capitolo, riguardante l'elemento nomadico nelle biografie di autori come Canetti, Borges, Camus e Jabès. Ringrazio lui e coloro che andranno a leggere.

10 commenti:

  1. ho già visto, poi leggo bene

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  2. qui siamo a livelli alti, irraggiungibili, ma leggeremo :-) ciao antonella

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  3. molto belli i testi di Stefano sul nomadismo; è un tema che sta a cuore, cruciale, in riferimento alla lingua: dove si radica la lingua del poeta, da cosa espatria? "Un uomo deve innanzitutto sradicarsi", scriveva Peter Handke, e tuttavia un grande esule come Josif Brodski scrive “la condizione di uno scrittore in esilio somiglia a quella di un cane o di un uomo catapultato nello spazio dentro una capsula (somiglia di più a quella di un cane, naturalmente, perché nessuno si preoccuperà mai di recuperarti). E la tua capsula è il tuo linguaggio” forse potremmo togliere la precisazione “in esilio” ed estendere questa condizione a quella del poeta tout court il cui lavoro è trovare (trobar) una lingua; il nomadismo fatto di transiti per luoghi coniuga l'erranza e temporanee ospitalità, contumacie e ritorni per lingue, sublingue, sintassi, ritmi, logoi
    paolo (donini)

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  4. Un grazie innanzitutto a Stefano e Francesco: a Stefano per questi testi davvero molto belli e a Francesco per averli postati.
    Errare è forse la condizione propria dell’uomo. E se da un lato può sembrare un cercarsi all’infinito o l’ espiazione di una colpa, dall’altro è però anche - soprattutto? - possibilità di cercarsi, di superare il momento dato interrogandosi sulla propria presenza e identità. E’ un essere sempre in fieri, un formarsi attraverso la molteplicità, mettendo in gioco il proprio io che vive e si apre nel e col linguaggio. Sradicarsi è anche una necessità, per comprendere meglio le proprie origini, se e quale sia il principio che ci fonda e si manifesta ospitandoci o facendosi ospitare. Come accade con la lingua, il linguaggio.
    Silvia Comoglio

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  5. e tutto questo si vede poi nella umiltà di ospiti come voi (e non lo dico per adulare)

    gugl

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  6. interessante come “errare” sia anche “compiere errori”; come l’errore sia infrazione di regole; e come la poesia orchestri un “barbarismo” o un attento errare che è sempre tendere le maglie del linguaggio a un certo limite, limes, confine, e valicare; quindi provocare la stasi della regola e farla ancora errare fino a una nuova dimora formale; e come siano questi atti di erranza linguistica a definire da cosa sradicarsi e dove ritrovare ospitalità: sradicarsi dalla lingua bruciata nel giorno, o abbandonare la dolce casa classica della lingua passata, e ritrovare asilo nella capanna d’erba di una lingua nuova, messa insieme ogni sera, con quattro sassi e stecchi
    paolo (donini)

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  7. Paolo, condivido completamente quanto scrivi. Errare, ossia compiere errori. Andare anche verso l'errore. Un errore cotruttivo, però. Per provare e riprovare. Capire meglio la lingua. Essere al suo servizio e al contempo esplorarne i limiti e le possibilità. Aspettare che la lingua si riveli ma anche non essere passivi di fronte a lei.
    Un progettarsi, insomma per e nel linguaggio, e - vero - costruire la proprio casa, fragile. Essere, infine, sempre disposti a ricostruirla, incessantemente.
    Silvia ( Comoglio)

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  8. parole molto vere, da meditare a lungo.

    grazie!
    gugl

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  9. ma ne hai una copia da vendermi, o devo ordinarla ad Anterem? Ciao! GTZ

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  10. quello che stavo cercando, grazie

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