giovedì 7 marzo 2013

Ma quante cose buone, madama fascista...



Il fascismo ha fatto anche cose buone. Di sicuro, come sempre in un sistema dove gli interessi di parte sono in gioco. Tuttavia, chi sostiene questo in modo acritico, dovrebbe rispondere anche di quanto segue:

Squadrismo

E' il termine con cui si indica un fenomeno caratteristico del fascismo, consistente nella militanza all'interno di squadre d'azione fasciste fra il 1919 e il 1924. gli squadristi delle campagne distrussero, usando la violenza, le organizzazioni politiche e sindacali della sinistra, leghe bracciantili e cooperative, a tutto vantaggio dei proprietari terrieri, degli affittuari e anche dei commercianti che soffrivano la concorrenza delle cooperative rosse. Gli squadristi si avvicinavano a bordo di camion aperti (generalmente i BL 18  in dotazione all'Esercito) cantando inni e mostrando le armi ed i manganelli, quindi assalivano l'avversario praticando una sistematica devastazione: venivano colpite le sedi ed i luoghi di aggregazione dei partiti (principalmente il partito socialista), le Camere del Lavoro, le sedi di cooperative e leghe rosse. Queste venivano danneggiate o, spesso, completamente devastate, le suppellettili e le pubblicazioni propagandistiche bruciate nella pubblica piazza, gli esponenti o i militanti delle fazioni avverse bastonati e costretti a bere olio di ricino. Tali azioni di norma davano luogo a scontri fisici o con bastoni, spesso però, specialmente nelle fasi più calde del conflitto, diventava frequente l'uso di armi da fuoco e persino da guerra, terminando le azioni con feriti e morti sia tra le diverse fazioni in campo che tra le forze dell'ordine.


Delitto di Spartaco Lavagnini

Fu un militante socialista, precursore della "svolta" comunista, ucciso dagli squadristi fascisti il 27 febbraio 1921.


Delitto di Don Giovanni Minzoni  

E' stato un religioso e un antifascista italiano. La sera del 23 agosto 1923,  venne ucciso con una bastonata alla nuca in un agguato teso da alcuni squadristi facenti capo a Italo Balbo.


Gran consiglio del fascismo 

Massimo organismo direttivo del Partito nazionale fascista, istituito nel 1923. In seguito allo sviluppo del regime fascista assunse un rilievo sempre maggiore, sancito dalla l. 2693/1928, con cui esso, direttamente dipendente dal capo del governo, estese le competenze anche in materia di prerogative della corona, divenendo organo di massima rilevanza costituzionale. Il suo ruolo istituzionale fu confermato dalla riforma del 1929, che stabiliva il controllo del partito da parte dello Stato; quest’ultimo imponeva al partito uno statuto proposto dal capo del governo, cui spettava anche la nomina delle cariche dirigenti. L’ultima riunione del G. (24-25 luglio 1943), con l’approvazione dell’ordine del giorno presentato da D. Grandi, segnò la caduta di Mussolini 

Delitto di Giacomo Matteotti

Il 30 maggio 1924 il deputato socialista Giacomo Matteotti pronunciò alla Camera un duro discorso contro il governo, accusandolo direttamente di essere il responsabile dei soprusi che avevano accompagnato tutto il periodo elettorale finanche il giorno delle elezioni. Un discorso che animò il Parlamento e che si concluse con una diretta e inequivocabile richiesta: “Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni”.
Qualche giorno dopo, il 10 giugno 1924, l’onorevole Matteotti fu picchiato e rapito dai fascisti all’uscita della sua abitazione di Roma e poi ucciso; il suo cadavere venne ritrovato solo diverse settimane dopo. [...] Mussolini chiuse questo caotico periodo con il celeberrimo discorso tenuto alla Camera dei deputati il 3 gennaio 1925, con il quale si assunse “la responsabilità politica, morale e storica” di quanto era avvenuto in Italia negli ultimi mesi, discorso che è ritenuto dagli storici l’atto costitutivo del fascismo come regime autoritario.

Leggi "fascistissime"

 Si comincia con la legge n. 2263 del 24 dicembre 1925 che definiva le attribuzioni e le prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri il cui nome mutava in Capo del Governo, Primo Ministro Segretario di Stato. La successiva legge n. 100 del 31 gennaio 1926, dette facoltà al potere esecutivo di emanare norme giuridiche, senza efficaci garanzie d'intervento da parte delle assemblee legislative. Pochi giorni dopo, il 31 dicembre 1925, entrò in vigore la legge sulla Stampa, la quale disponeva che i giornali potevano essere diretti, scritti e stampati solo se avevano un responsabile riconosciuto dal prefetto, quindi dal governo. Erano assolutamente vietate la diffusione e circolazione di qualsivoglia altro tipo di giornale considerato illegale. In conclusione, la legge 3 aprile 1926 proibì lo sciopero e stabilì che soltanto i sindacati "legalmente riconosciuti", quelli fascisti (ormai detenenti il monopolio della rappresentanza sindacale dopo la conclusione del Patto di Palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925 fra la Confindustria e le corporazioni fasciste) potevano stipulare contratti collettivi. In sintesi, le leggi completate ufficialmente nel 1928, stabilivano di fatto e non di diritto che:

  1. il Partito Fascista era l'unico partito ammesso;
  2. il capo del governo doveva rispondere del proprio operato solo al re d'Italia e non più al parlamento, la cui funzione era così ridotta a semplice luogo di riflessione e ratifica degli atti adottati dal potere esecutivo;
  3. il Gran Consiglio del fascismo, presieduto da Mussolini e composto da vari notabili del regime, era l'organo supremo del Partito Fascista e quindi, dello Stato;
  4. tutte le associazioni di cittadini dovevano essere sottoposte al controllo della polizia;
  5. gli unici sindacati riconosciuti erano quelli fascisti; erano proibiti, inoltre, scioperi e serrate;
  6. le autorità di nomina governativa sostituivano le amministrazioni comunali e provinciali elettive abolite per legge;
  7. tutta la stampa doveva essere sottoposta a controllo, ed eventualmente censurata se aveva contenuti anti-nazionalistici e/o di critica verso il governo.
Va ricordato infine che, nel 1926, fu istituito il Tribunale per la sicurezza dello Stato, che aveva il compito di ammonire o di condannare le persone politicamente pericolose per l’ordine pubblico e la sicurezza del regime. Con la stessa legge che creava  la succitata istituzione, fu ripristinata la pena di morte  per chi attentava alla vita del Re o alla libertà della famiglia reale o del capo del governo e per altri reati contro lo Stato.Il Tribunale emise 4596 condanne per reati politici. 3898 erano operai e contadini.


Delitto di Piero Gobetti

Fondò e diresse "Energie Nove", "La rivoluzione Liberale" e "Il Baretti". Fu anche il primo editore di Eugenio Montale. Mori a 25 anni, nel 1926, in seguito alle violenze fasciste.



Delitto di Giovanni Amendola:


Al programma giolittiano, che intendeva sfruttare l'illegalismo fascista in fase elettorale per decimare i deputati socialisti e popolari, Amendola contrappose più volte il programma di far entrare nella legalità il fascismo, legandone i deputati, direttamente o indirettamente, al governo. Per questo, fino a dopo la discussione parlamentare della riforma elettorale Acerbo nel luglio 1923, anche l'A. fece sempre buona accoglienza alle dichiarazioni di legalitarismo che Mussolini andava alternando all'illegalismo e alla violenza. Fu nettamente ostile alla marcia su Roma. Il delitto Matteotti lo indusse, insieme con le altre opposizioni eccettuata la comunista, a ritirarsi dalla Camera e a dar vita al cosiddetto "Aventino", del quale fu l'animatore politico. Concepì l'Aventino come sede della legalità, contrapposta al governo e alla Camera, considerati illegali; e si oppose sia ai vari tentativi, caldeggiati da repubblicani e garibaldini della "Italia Libera", di insurrezione armata, sia ad alleare l'opposizione aventiniana a quella comunista. Nell'aprile 1925 si fece iniziatore presso B. Croce, in risposta al manifesto Gentile, del manifesto degli intellettuali antifascisti, che fu pubblicato sul Mondo del 10 maggio.
Intanto l'A. subiva una seconda aggressione a Roma, in via dei Serpenti, il 5 apr. 1925, poi un'altra ancora, ben più grave, il 25 luglio, sulla strada fra Montecatini e Pistoia. Ammalatosi in seguito alle percosse, si recò a due riprese in Francia. Sempre malandato in salute, rientrò in Italia dove, ai primi di dicembre, sciolse di fatto l'Unione nazionale. Alla fine dell'anno tornò a curarsi in Francia. La morte, provocata dai postumi dell'aggressione di Montecatini, lo colse in una clinica nei pressi di Cannes il 7 apr. 1926.


Il confino

Fu lo strumento più utilizzato dal regime fascista, a partire dal 1926, per contrastare la nascita di un’opposizione politica organizzata. Fino al 1943 furono attive in Italia ben 262 colonie di confino, situate prevalentemente nel Mezzogiorno, e 13.000 circa furono i cittadini sottoposti a questa misura restrittiva, il 90% dei quali per ragioni di natura politica.


Lista unica elettorale

Con la legge 17 maggio 1928 n. 1029 ed il Testo Unico 2 settembre 1928, n. 1993, fu introdotto un nuovo sistema elettorale di tipo plebiscitario, come già allora lo si definì. La nuova legge elettorale prevedeva un Collegio unico nazionale chiamato a votare o a respingere una lista precostituita di 400 deputati, lista formata dal Gran Consiglio del Fascismo a partire da una rosa di 850 candidati proposti dalle confederazioni corporative nazionali, 200 candidati proposti da associazioni ed enti culturali ed assistenziali ed ulteriori candidati scelti dal Gran Consiglio stesso. Gli elettori potevano esprimersi con un "sì" o un "no" sul complesso della lista, esprimendo il proprio voto su schede recanti l'emblema del fascio littorio. Nel caso in cui la lista non fosse stata approvata dal corpo elettorale, era previsto che la consultazione si ripetesse con il concorso di liste concorrenti, presentate da associazioni ed organizzazioni che avessero almeno 5.000 soci elettori. La lista che avesse ottenuto il maggior numero dei voti, avrebbe avuto tutti i propri candidati eletti. Nel corso degli anni '30 anche gli ultimi residui della concezione liberaldemocratica della rappresentanza politica furono cancellati e, con la legge istitutiva della Camera dei fasci e delle corporazioni (legge 19 gennaio 1939, n. 129), l'organo legislativo cessò di essere eletto.

Guerra chimica

Con il termine guerra d'Etiopia o seconda guerra italo-etiopica (talvolta nota anche come guerra d'Abissinia o campagna d'Etiopia) ci si riferisce alla guerra condotta dal Regno d'Italia  contro lo Stato sovrano d'Etiopia, a partire dal 3 ottobre 1935. La guerra si concluse, dopo sette mesi di combattimenti caratterizzati anche dall'impiego di armi chimiche da parte italiana. La guerra finì il 9 maggio 1936


Asse Roma-Berlino.

Accordo stipulato tra Germania e Italia il 24 ottobre 1936, sanciva il primo concreto avvicinamento tra i due paesi, divisi in precedenza dalla questione austriaca e dalla collocazione rispettiva nel quadro delle potenze europee. L'Asse era stato preparato dall'appoggio diplomatico che la Germania aveva offerto all'Italia impegnata nella guerra coloniale con l'Etiopia (ottobre 1935-maggio 1936) e nella reazione alle sanzioni. Le prime conseguenze dell'accordo furono la partecipazione di Italia e Germania alla guerra civile spagnola, in appoggio alle forze franchiste, e l'adesione dell'Italia al patto anticomintern (autunno 1937). Nel maggio 1939, avvenuto l'Anschluss (Annessione dell'Austria), dopo la conferenza di Monaco e l'occupazione italiana dell'Albania, egli si decise a firmare il cosiddetto Patto d'acciaio con Hitler. Nello specifico le parti erano obbligate a fornire reciproco aiuto politico e diplomatico in caso di situazioni internazionali che mettevano a rischio i propri "interessi vitali". Questo aiuto sarebbe stato esteso al piano militare qualora si fosse scatenata una guerra; i due Paesi si impegnavano, inoltre, a consultarsi permanentemente sulle questioni internazionali e, in caso di guerra, a non firmare eventuali trattati di pace separatamente; la durata del trattato era inizialmente fissata in dieci anni.

Delitto fratelli Carlo e Nello Rosselli
Attivisti  dell'antifascismo e fondatori del partito "Giustizia e Libertà", vissero a lungo in esilio a Parigi e furono uccisi in Francia nel 1937 da formazioni locali di estrema destra, molto probabilmente su ordine proveniente dai vertici del fascismo.

Leggi razziali
Serie di decreti emanati tra il 1938 e il 1939 dove si estromettevano gli ebrei dalla scuola, dal mondo dal lavoro, dalle ordinarie relazioni civili, per la difesa della purezza della razza italiana. Durante la Repubblica Sociale Italiana, circa 7000 ebrei morirono nei campi di sterminio dopo essere stati consegnati ai nazisti dai repubblichini. (Solo il 16 ottobre 1944, a Roma, ne furono deportati a Auschwitz 1023)
  

7 commenti:

  1. senza memoria non c'è storia. Senza storia non c'è cultura piena, Senza cultura piena non c'è consapevolezza dell'oggi. Senza consapevolezza dell'oggi nessun sogno per il futuro che non rischi di trasformarsi in illusione o peggio ancora in un incubo. Senza memoria, storia, consapevolezza dell'oggi e sogno non c'è politica. E poi ho imparati a diffidare, sempre di chi dice di portare il nuovo e intanto, in qualche modo, scava nel passato più cupo e torbido. Maurizio

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    1. la storia non si ripete però offre modelli interpretativi e paradigmi: fai bene dunque a suggerire prudenza a cui esalta il "nuovo" come categoria ontologica o come principio del progresso.

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  2. Bel commento.Paolo

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  3. quanto buio in questo resoconto..

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  4. per questo la repubblica italiana va difesa da tutti i tentativi di ridurla a un manipolo al bivacco.

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  5. La violenza, finora solo verbale, che da anni vedo diffondersi sul web, la demonizzazione e delegittimazione sistematica degli avversari che ha dominato la nostra cultura, sono fenomeni di prefascismo. Non mi stupirei che il fascismo, quello vero, arrivasse. In fondo farebbe anche cose buone: garantirebbe la governabilità e azzererebbe la casta (sostituendola con un'altra). Ma che bello! La cosa tragica è che la nostra classe dirigente e gli intellettuali non sono di livello superiore rispetto agli anni Venti del Novecento, anzi probabilmente la qualità è peggiorata; inoltre gli ideali sono incerti e le masse confuse. Insomma, credo che una soluzione autoritaria oggi abbia le stesse probabilità di affermazione di allora e uguale consenso.

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    1. la soluzione autoritaria l'abbiamo rischiata più di una volta dal dopoguerra ad oggi. Ogni volta c'erano implicate frange devianti dell'esercito e dei servizi segreti oltre che settori della grande borghesia italiana.
      io direi che la prospettiva deve preoccuparci molto, non viverla come se riguardasse gli altri. Gentile Guido, i totalitarismi ci entrano nella pancia e nel cervello. Lo stupore è l'ultima delle preoccupazioni che dovresti avere!

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