giovedì 16 giugno 2011

Chiosando "Voglio dire"


La dimora del tempo sospeso, di Francesco Marotta, ospita un mio inedito dal titolo Voglio dire.
Ne chioso qualche passaggio per rendere più agevole la lettura.


"Orto ciclamino" fa l'eco alla rivoluzione del gelsomino, fiore simbolo della primavera africana. Come in Tunisia il gelsomino è un fiore tipico, così il ciclamino lo è del nord Italia. "etimologico", in ciclamino, rinvia alla sua radice, cerchiata e leggermente schiacciata, che ricorda la forma del pane (dunque "diserbato" e "esasperato" sono aggettivi da riferire alla crisi economica, al pane che manca, e morale: il pane che è cosa semplice). l'etimologia di "orto" ci riporta, per contrasto, all'Occidente quale terra dell'occaso (Ortus: nascimento), del tramonto; ma anche ad Orthos, al retto dire e scrivere e a Hortus, giardino: tutto ora sembra diserbato e esasperato: la morale, il giardino, la Waste land)


"Di fino oro formata / e puro argento le braccia e il petto": lo scrive Dante (Inferno XIV, vv.106), riferito al simulacro di "un gran veglio", emblema della storia dell'umanità dolente. La testa è d'oro ma il piede destro, su cui si regge, è di terracotta. Dalle sue lacrime nascono i fiumi infernali. Questa immagine, che nella tradizione ha la forza fondativa del mito, qui diventa simulacro di un simulacro, artificio, "nintendo", che dell'origine alta conserva solo la "brezza".


"Nice /camice" è una nota rima di Gozzano, che io rimo a sua volta, in un gioco al massacro sul senso del far poesia oggi, cui riferiscono i versi precedenti e quelli delle strofe 4 e 5.


Nella "la teoria dei giochi" è previsto anche il modello cooperativo, "solidale" nella misura in cui dà un bene personale, un proprio "pay-off". Di più non possiamo chiedere all'uomo, il cui naufragio è senza spettatore, titolo di un bel libro di H. Blumenberg e trasformato, qui, in calembour nel distico finale della terza strofa: "Il tentacolo senza spettatore, il naufragio / di cui siamo spettri, fragili plettri".


"Noi che riceviamo la qualità dei tempi" è di Foscolo, citata da Sanguineti in Laborintus I, nel 1956, "alla vigilia" dunque della Neoavanguardia, che ebbe anche il merito di "smontare" il facile meccanismo dialettico, per complicarlo sul versante sovrastrutturale, quello linguistico, appunto, tanto da indebolirne l'ontologia meccanicistica, implicita nel marxismo.


"L'ospite indesiderato" parafrasa L'ospite ingrato di Franco Fortini e, più in generale, il difficile rapporto tra intellettuale e potere. Come scrive Berardinelli (Fortini, La Nuova Italia, 1973), "E' la contraddizione tra rifiuto e integrazione" il problema dell'arte nell'età del neocapitalismo e il "centro di tutta la storia di Fortini". L'odierna, mediocre, "qualità dei tempi" mi ha fatto capovolgere l'assunto fortiniano: non si tratta, ora, in questa Italia, di gratitudine verso il potere, ma di espulsione dell'intellettuale non allineato, di censura del suo pensiero. I versi successivi mettono tuttavia in guardia anche su questa evidenza. Qual è il punto vero? la contrapposizione di classe, come nel pensiero dialettico, oppure l'archetipo, da ripensare, che sta alla base della civiltà tecnologica: la penetrazione (della natura, della verità, dell'identità, della bellezza) al quale il pensiero della differenza di genere (vedi Ida Travi, per esempio) sta cercando rimedio?


"Campana" riferisce alla campana costruita dagli artigiani nell'ottavo episodio di Andrej Rublëv, il film straordinario di Andrej Tarkosvkij. Lì si capisce che la borghesia è anche saper fare, ingegno e volontà, determinazione, conoscenza delle leggi di natura. E ci insegna che tutto questo operare, tuttavia, serve il potere, obbedisce ad una volontà superiore che non sa usare le mani per creare, ma solo le armi e la forza costituita.


Ho citato anche il padre di Andrej, Arsenij Tarkosvkij, poeta purtroppo introvabile in libreria, che ha scritto versi come questi: "Siamo tutti ormai del mare su la riva, / e io sono tra quelli che traggono le reti, /mentre l'immortalità passa di sghembo".

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