giovedì 11 giugno 2009

Giovanna Fozzer


I libri delle Edizioni L'Arca Felice sono schegge rosse e preziose, leggere e mai prevedibili. Il catalogo comincia ad essere sostanzioso (ne ho già parlato qui). Fra gli ultimi autori pubblicati ci sono Marco Furia e, appunto, Giovanna Fozzer. Il primo, autore genovese da sempre impegnato in una ricerca che ha nella sillaba e nell'endecasillabo il suo centro, mi invia questa recensione che pubblico con entusiasmo.





Intensi contatti

Accompagnata da due raffinate immagini di Sergio Rinaldelli, in cui elementi astratti e figurativi coesistono secondo i ritmi di vivide luminosità né soffuse né accese, la breve raccolta Sette lettere a Enzo (Edizioni L'Arca Felice, Salerno, 2009), di Giovanna Fozzer, si presenta quale poetica presa d'atto d'intime condizioni d'esistenza.
Dalla figura (qui non retorica) della domanda senza risposta, ossia da enigmatici grumi di sentimenti, parole, immagini, scaturiscono versi piani, lineari, eppure esposti sull'abisso dell'indicibile.
L'àmbito definito classico è sufficiente ad un'autrice molto attenta nei confronti d'una metrica che mai sfugge ad acute esigenze ordinatrici indissolubilmente unite a lucida affettività: versi come "immagini, nell'intenso contatto" e "Tu che tutto coglievi / ogni suono, ogni idea / con fulminea grazia / facendolo tuo / (poiché era già tuo)", ben rappresentano una poetica per nulla scossa dalla presenza d'entità ineffabili ritenute non ostili, bensì naturali, comuni a tutti gli uomini.
Da territori muti, in cui nemmeno possono essere costruite immagini poiché l'espressione ancora non sgorga, Giovanna estrae l'energia necessaria a far nascere, quasi per (fecondo) contrasto, una lingua precisa, equilibrata, partecipe.
I toni, così, rivolti tanto ad episodi quotidiani, quanto ad inediti lineamenti ("benevolo infinito"), risultano sempre ricchi d'una pregnante leggiadria in cui lievi sfumature s'intrecciano a sequenze descrittive interrotte da improvvisi bagliori, da repentine pronunce d'ampio respiro, dall'insistere su quesiti semplici e, appunto, privi di risposta.
Il tutto senza freddezza, con quella passione che alla sapienza sa accompagnarsi parola dopo parola, mai perdendo di vista (ora non più tacite) complessità ritenute irrinunciabili elementi d'una poesia che della vita non aspira ad essere specchio, ma vero e proprio tratto costitutivo.
Una poesia che s'illumina di luci policrome, calde, in grado d'indurre chi legge a percorrere itinerari lungo i quali poter riconoscere significative parti dell'esistenza interiore, altrimenti a rischio d'oblio: una poesia, insomma, che affascina e assieme aiuta.




ORECCHIO ASSOLUTO

Tu che tutto coglievi
ogni suono, ogni idea
con fulminea grazia
facendolo tuo
(poiché era già tuo)

nei tuoi versi, nei pensieri, nelle lettere

Tu
che il Poggio Pratone non salisti mai
ma trovasti cantato in certi piccoli versi

Oggi che dopo tanto vi ritorno
questo culmine, visione d'orizzonte totale
dedico a te
al tuo alto dei cieli (che mai negasti)


Nel silenzio autunnale opposto
a zirli trilli gorgheggi di primavera
sotto un volo di rondini tardive senza canto

Tu
ritorni ancor più
nella mente che abiti sempre


INFANZIA

Preda dei tuoi umori obliqui
mentre grondava sul vetro la pioggia
e l'inverno
bruciava grani di aromi
a rinvigorire una memoria stanca
che pure ancora riaccendeva
riti e miti (quasi sempre mortuari)
d'una infanzia ossequiosa, attenta e stupefatta,
affascinata
dal mistero dell'incomprensibile.

Il vivo viso del calciatore dodicenne
o più il suo sguardo
già tutto diceva il sapere e il capire
del poeta, del professore, del politico,
l'innocenza e il fascino
dell'uomo bello come un dio greco
(così dice il tuo fotografo amico),
del giovane che (dicevano in molti)
sembrava un attore.

Pure, poteva il tuo volto
esprimere duro il tremendo;
o invece un benevolo infinito
nelle labbra dal bel disegno
(che la fossetta del mento completava)
e nello sguardo - tenerezza impercettibile
celata nello 'strabismo di Venere'.


FANTASIA

Mobili forti e lievi le tue
immagini, nell'intenso contatto
tra fantasia e cose.
Nelle poesie, nelle lettere, nel tuo
parlare
(quando, per pochi anni, parlammo),
ricche fiorivan dal mare, dalla terra, dal cielo:
l'alba saliva lungo scale d'aria,
la luna, impigliata sulla fiumara
- 'a luna mpiccicàu sup' à hjumara -
è n'affetta, ì meluni, 'na lampara
e u' celu è seru, e' i nùvuli ricotti;
e quando cade
Non è cchjù luna, mo esti nu farcigghju
chi meti hjuri russi, ranu e migghju
e 'mbratta 'ì sangu u' saccu d'a' furtuna

Rifugio t'era buio
'u scuru ti era luci,
la notte ti cullava nta lu firmamentu,
nta 'na cònnula fatta 'i hjarvi e canti.Fiori e canti a consolarti
l'anima di eremita
prigioniero di testesso e della sorte,
ferutu d' u' distinu, e chi la morti
aspetta, e 'u gira 'rota di la vita.

Cantava ogni tuo verso,
nella tua solitudine, la più nobile,
lucida, amara disperazione.



biobibliografia: vedi qui

domenica 7 giugno 2009

Alessandra Conte


E' finalmente uscito Breviario di novembre (Raffaelli 2009) l'opera prima di Alessandra Conte, con una mia nota introduttiva, della quale riporto le prime righe e che parte dall'immagine evocata nella poesia incipitaria:



La suora bambola chiama
nel suo letto di noce che sale
con le pareti che si perdono
ancora più in alto, dove i rondoni
gridano e circondano di voli
i morti, fatti di scritture
e guano seccato.
I muri di Galugnano esalano
foglie di tabacco e voci
di donna grossa,
che gioca a domino con le lupe
e vince, e ha già perso.



Il breviario che recita "suora bambola" sospesa nel vuoto, in compagnia di morti "fatti di scritture/ e guano seccato", e circondata dalla rosa dei rondoni in volo, si alimenta della volontà di ricondurre il Cielo alla Terra, il miracolo dell'immortalità al suo punto di rottura, affinché divini e mortali possano affacciarsi al medesimo "balcone": altra via, infatti, non è tracciabile qui per salvarsi, se non quella che vuole reciprocamente in prossimità il mistero della nascita immacolata e l'incipienza della morte di ogni creatura terrestre. La voce orante convoca perciò il fantasma di Dio e di sua Madre, donna infinitamente piagata da un destino subìto, "Signora delle acque rotte", "Madonna dei tagli alle dita", affinché riportino lo sguardo e la mano sul labirinto della storia, così che sia possibile rifondarne il senso. Diversamente, la gravità schiaccia la nostra vita, tanto da costringerci a vivere infelici e "con gli occhi vuoti".
Ricomporre l'unità perduta, la stretta salvifica che rimetta in moto il presente, dandogli direzione, chiede tuttavia un formulario adeguato, una parola che attraversi civiltà e selva, una lingua ruvida e feconda, capace di aprire e stare in contatto con la vastità muta che ci sovrasta. E' appunto il compito che si assume Breviario di novembre, invocazione pietosa e delirio blasfemo, canto sacro e bestemmia, messi in opera sinergicamente per fuggire l'horror vacui, quell'inerzia senza vento che ci inchioda al suolo, inteso quale materia inerte e contrapposto alla "madre di terra", energia che fa fiorire le parole dall'anima.


Alcune altre poesie tratte da Breviario di novembre le avevo postate il 3 luglio 2008. Le potete leggere cliccando qui (sono da includere anche quelle indicate come "inediti", tranne l'ultima). Interessante notare come il commento di allora, esercitato su pochi testi, metta in luce la necessità di leggerne altri, così da concepirli all'interno di un'orchestrazione più articolata, in grado di evidenziare l'ispirazione profonda dell'autrice. Cosa che accade appunto in qesto libro, davvero potente.

lunedì 1 giugno 2009

Piero Simon Ostan


Il salto del salvavita (Campanotto 2006) è opera prima di Piero Simon Ostan che vale la pena segnalare per la freschezza di alcune immagini, per l'ironia leggera che lo attraversa e per l'originale commistione di lingua e dialetto, rilevata anche da Giacomo Vit nella prefazione. Mi sia concessa tuttavia qualche riflesione critica, vsto che Simon Ostan ha trent'anni e dunque non è più poeta imberbre. Anzitutto l'ambiguità con cui usa il dialetto, secondo me ancora troppo legato al sentire locale, a quell'alone di cose vecchie e nostalgicamente perdute che, già in Gozzano, sapevano di stantio. Forse gli è necessaria un'ulteriore riflessione su questa leva, che porta con sé madre e profumo di bucato, ma anche un'aprioristica adesione ad un mondo che forse autentico non lo è mai stato. Il secondo aspetto che segnalo è un certo automatismo negli a-capo, spesso coincidenti con la scansione logico-grammaticale; l'effetto è una rigidità della strofa che il poeta di Portogruaro riesce a limare attraverso una lettura modulata. Ciò non toglie che un'articolazione più complessa del dettato ritmico gioverebbe alla scrittura.



[PASTROCIARSE INSIEME]

pastrociarse insieme
sporcarse e
mis'ciarse
e impantanarse 1

Sbrissiar ogni tanto
come savon
de sora l'onto de pele
grassa,
come polastro in tocio. 2

Io mangio le vite più paffute
rotonde, con le mani,
maleducato, senza forchetta
e coltello

e poi... non ingrasso mai,
sono magro, molto,
mangio solo quello
che mi piace.


1 Pasticciarsi insieme/sporcarsi e/mischiarsi/ e impantanarsi
2 Scivolare ogni tanto/come sapone/sopra l'unto di pelle/grassa/come pollo con il sugo



ORGOGLIO


La postura scorretta
della spina dorsale
rannicchiata
nella sedia.

Servirebbero muscoli
forti e allenati

(E) cuscini morbidi
dove accomodare
il sedere.

Sedute di fisioterapia
alla mattina presto.

Quando (ormai)
me ne andrò ingobbito
a cercar parcheggio
più vicino possibile
al supermercato
sarà troppo facile
incolpare i libri.




ACQUA III - Liquido Amniotico


Oto ore le impinise el stomego
de man bianche che no se sfiora più,
de Parole, Putane dai denti marsi,
a forsa de rosegar el sol
chel scampa come bisatel
prima de finir in tecia. 1

Dietro la scrivania
dotata di personal computer
che non screpola la pupilla

imposto il Salvatore dello
schermo:

scelgo una bella giornata d'estate

quele che fa madurar pomodori e sucheti...
e scrodega i xenoci 2

Applica. Ok.


1 Otto ore riempiono lo stomaco/ di mani bianche che non si sfiorano più/di Parole, Puttane dai denti marci/a forza di rosicchiare il sole/ che scappa come anguilla/prima di finire in padella
2 Quelle che fanno maturare pomodori e zucchine/ e sbucciano le ginocchia.



CERCHI IL VERSO PELO D'OCA?


..........Avere molto scritto / conta poco /
..........Serve ascoltare sempre / e lesti a negoziare i /
..........Verso buono / per un giorno di sole. / Ma più ancora /
..........Serve esser pronti a scrivere / sotto tutti i governi /
..........Quando la voce viene come un tuono.

...................Andrea Temporelli


Cerchi il verso
Pelo d'oca?

Mordicchiare...:.penna che scrive parola
Scarabocchiare: foglio che riceve parola

La punta della
Lingua....pesa

In un vocabolario sbilenco
Trovi solo un lessico "imberlato"

Sera la pena
.........la porta
.........el pensar

prima de corer
impara a caminar 1


1 Chiudi la penna / la porta / il pensare / prima di correre / impara a camminare



COLLOQUIO I


I nove puntini da unire
e il resto dei test
psicoattitudinali
mi fanno perdere
il posto di
addetto contabile...

...e le ragazze
dai vestitini estivi
che incrocio
tra i portici.



[È BELLA LA VITA, COME MULINO BIANCO]



E' bella la vita, come mulino bianco
quando l'anticiclone delle azzorre
concede ritocchi alle nostre
abbronzature a settembre inoltrato.

È accartocciando un pacchetto di biscotti
con mani di pastafrolla
che ci si accorge di essere
assassini di vite indifese.

Mentre sogni la casa dalle ali di pietra
sai, che non mi denuncerai mai!

Tuo figlio avrà il mio sistema nervoso,
forse anche i miei occhi neri
ma tu, non mi denuncerai mai!

Ti ho portata a vivere in appartamentini
dati in prestito dai genitori:
in mezzo ai loro passi insonni
e lo sciacquone del bagno a farci da sveglia.

Il sabato sera,
nel bar del centro, sopporterai
il risolino del tuo amico
- piangerai di nascosto –
sognando l'aiuola tenuta bene
con corteccia d'albero
e la casetta in canadà.

Ho predicato le mie verità, dal pulpito, come
prete noioso,
ti sei fatta rubare il cervello
e mettere in lavatrice,
centrifugato con omino bianco.

Ecco la tua confortevole e tiepida
prigione che ho costruito con amore
dove ti ho torturato con pazienza.



Piero Simon Ostan è nato nel 1979 a Portogruaro dove vive. Attualmente svolge la professione di assistente alla comunicazione a favore di bambini e ragazzi non vedenti. Nel 2005 si è laureato in Lettere Moderne all'Università di Trieste e sempre nello stesso anno ha vinto il Premio Nazionale di Poesia "Barba Zep". Fa parte del gruppo di artisti che ruota attorno al Porto dei Benandanti - spazio di socialità - con i quali collabora e organizza eventi culturali.

lunedì 25 maggio 2009

Ida Travi



Neo/Alcesti. Canto delle quattro mura (Moretti & Vitali 2009) tematizza la forza del Sacrificio per amore immergendolo in un'atmosfera non dissimile da quella che percepiamo in The Others, il film di A. Amenabar. In entrambe le opere, è la casa a costituire lo spazio-mondo dove possibilità e realtà si incrociano, si scambiano i ruoli, dove ogni essere (umano e non umano) pare galleggiare nell'ovatta, intreccio di eternità e tempo caduco. Figura e sfondo sfumano o emergono come da una lontananza che è memoria e destino. Eppure il tragico, così nell'Alcesti euripidea che in quella, nuova, di Ida Travi, scioglie il proprio vincolo dolente nella musica della commedia, più leggera e ricca di futuro. In Euripide forse lampeggia ante litteram il lieto fine cristologico, la resurrezione carica di speranza ma anche di denuncia verso la pratica violenta dei sacrifici arcaici; in Ida Travi tale aspetto non è evidente; ella infatti, pur parlandone, declina il sacrificio d'amore nella sua possibilità terrestre, così che il mistero e il dolore non si sottraggano alla vista, bensì dialoghino con la gioia e il vuoto fecondo delle differenze. Sguardo attraversato dallo stupore; voce provvidenziale per annunciare che si può vivere anche in questo tempo della povertà, che si può anzi uscire da esso, a patto di pensare la nascita e la morte quale ciclo pieno d'amore di un essere leggero, bello come una vela, gonfia e diretta verso un orizzonte che ci abbraccia.



Per volontà dell'autrice, pubblico soltanto una poesia, cosa che non rende piena giustizia del ritmo per accumulo del libro, della sua cercata sordina lirica, al fine di costruire un tessuto sospeso, fili di voce che attraversano l'aria potenziandone appena la naturale tensione.


Ricordo che da oggi, nella trsmissione radiofonica di RAI Fahrenheit, verrà letta qualche poesia di Neo/Alcesti.



***



( Tutto è pulito in cielo )



Tutto è pulito in cielo e noi qui sotto
con la polvere e uno straccio

adesso arriverà lo scarafaggio

Alzati, Alcesti!

fuori non c'è un alito di vento
nell'acqua si specchiano tremando
le cime argentate dei pini

l'aria butta il respiro come un fiore
come avesse mangiato un fiore.




Ida Travi, ha scritto anche per il cinema, la musica e il teatro. Tra le raccolte poetiche, L'abitazione del secolo ( 1990), Regni ( 1991 ), il distacco (1994), La corsa dei fuochi, libro + CD (Moretti&Vitali, 2007). Tra le prose, Diotima e la suonatrice di flauto (La Tartaruga-Baldini Castoldi Dalai, 2004), L'aspetto orale della poesia (Anterem Edizioni, 2000, Moretti&Vitali, 2007), Selezione Premio Viareggio 2001.

mercoledì 20 maggio 2009

Haneen Homar



Blanc ospita una giovane poetessa di origini irachene, tradotta da Asma Gherib.


Haneen Homar scrive una lettera d'amore in versi, un canto d'amore rivolto ad un innamorato perduto, forte e bello come una divinità. Li separa il tempo e lo spazio, ma anche un non sapere che tormenta chi resta, lei che tiene ancora fra le dita il filo del loro amore, lei che ha il sorriso di Monna Lisa, ma che non può più donarlo al suo amato, ormai lontano e che forse l'ha dimenticata.









Lettera d’amore da Roma a Karbala


-1-

Raccontami di te,
con quale passaporto partisti?
Mi fermarono al porto di Roma,
perché rubai le fonti di Monna,
e le nascosi nei castelli delle mie ciglia.
Perché rubai il sorriso di Monna
e lo regalai come rifornimento agli eserciti,
quegli eserciti che lottarono,
sul fronte della mia tristezza contro tutte le sciagure,
contro il destino e il tradimento del fato!
Raccontami di te,
con quale passaporto partisti?


-2-

Ti vedo, sei difficile da raggiungere,
come lo è anche la mia lacrima,
e non so come riuscirò a vedere ancora.
Ti vedo una volta vicino al sole,
e un’altra lontano,
una volta pieno di case
e un’altra vuoto e deserto.
Ti vedo bello,
ti vedo triste,
una volta fuoco e un’altra pioggia,
come se Roma stesse delirando
come se Roma si dimenasse dentro i tuoi occhi,
come se tu risiedessi dentro le notti della mia vita,
come un amico delle stelle e un erede della luna.
Raccontami allora, con quale passaporto
partisti?


-3-

Roma sa che io sono quel marmo
che tu scolpisci?
Roma sa che io sono un paese
e che la mia guerra è per la pace?
Roma sa che io sono un cielo
e che tu sei bello come uno stormo di colombe?
Roma sa che ti ho perso davanti all’Hussein,
recitando col pianto poesie sulla tomba dell’Imàm,
mentre percepivo che l’Imàm capiva il mio pianto?
Roma sa che sono rimasta disperata per te anni e anni,
e che tu hai lasciato su di me una città,
e poi sei partito con la chiave del mio cuore
dentro la tua tasca e, camminando, hai ritratto i tuoi sguardi?
Raccontami di te,
Con quale passaporto partisti?

- 4 -

Raccontami di te…
In quale paese è la tua dimora?
Il mio nome è ancora per te una dolce nostalgia?
Lascia ancora un segno dentro di te?
Raccontami di te, in quale paese
Perdesti la tua appartenenza o trovasti la tua identità?
porti ancora un po’ del tuo essere arabo o sei diventato un Giuda
Ed eri un Gesù?
Sei diventato lacrime nei miei occhi, oh amor mio,
ed io sono diventata una copia della Maddalena!
Sulla mia schiena è passata la tristezza
di tutti questi mondi.
Raccontami allora di te,
Con quale passaporto partisti?

- 5 -

Raccontami di te,
in quale paese innalzasti le frontiere?
Su quali capelli, non miei, spargesti poesie piene di stelle?
Raccontami di te,
perché non inviasti a Nerone le tue poesie,
e neanche tue notizie a Roma,
e perché non mi riferirono di te…
Per poter cercare il tuo volto arabo,
la bontà di Moni e la giustizia di Omar
Con quale passaporto partisti?

qui trovate la versione araba e una intensa lettura di Haneen ricavata da You tube, dove la musica della lingua araba e la bellezza dell'autrice risplendono.



Nata venticinque anni fa in Iraq, Haneen Homar risiede in Algeria. Laureanda in medicina, è scrittrice e poetessa. Membro della Lega degli scrittori algerini, dell’ufficio nazionale dei diritti d’autore e del Club Art et Culture. Ha partecipato in varie attività culturali e a festival, fra cui si citano:
Festvial: Città della poesia: 2004/2005/2006.
Festival: Fusaifisa’ dell’Algeria: 2004
Festival della poesia e della pittura 2006.
Dirige inoltre diversi programmi radio e tv sia in canali algerini che libanesi.
Scrive per le riviste più note del panorama culturale arabo in rete e in carateco.
Nel 2003 pubblica in collaborazione di al-kitab al-‘arabi, Quando sorridono gli angeli (diario di una dottoressa irachena).
Nel 2006, Odore di sangue in collaborazione con la casa editrice, Riyad al-‘Ulum

venerdì 15 maggio 2009

Flussidiversi (Caorle)


Sino a domenica sono qui. Buon weekend a tutti




fluSSidiverSi
Poesia e poeti di Alpe-Adria
Caorle, 15>17.05.2009

15 /17 maggio
LUOGHI DI FLUSSIDIVERSI
SEGNIDIVERSI
Design on the Beach, Installazioni di design a cura dell’Associazione
Culturale Venice is not sinking
ITINERARIDIVERSI
alla scoperta di angoli magici della poetica Caorle

15 maggio
CENTRO CIVICO
PRESENTAZIONI EDITORIALI

10.00 La casa editrice PIAZZA presenta la poetessa P. Cenedese
11.00 La casa editrice ANTEREM presenta il poeta M. Furia; letture di
L. Tondi
14.30 La casa editrice MATTEO presenta la Collana Editoriale “Pangea”
15.30 La casa editrice IL PONTE DEL SALE presenta G. Bevilacqua e
M. Munaro

16.30 La casa editrice CANOVA presenta la propria attività editoriale
PIAZZA MATTEOTTI
suonidiversi
15.30 Danze e melodie popolari dal mondo Musiche di Salzedo, Respighi,
Gatti ed altri
Ensemble d’arpe della Fondazione Musicale Santa Cecilia
N. Sanzin direttore

IMMERSIDIVERSI
16.00 L. Morandini, N. Kraljic, H. Raimund, I. Osojnik, T. Broggiato,
L. Cecchinel, G. Scabia - Coordina R. Nassi

CENTRO CIVICO
PARTENZA DEI FLUSSIDIVERSI
17.30 Saluti delle autorità
18.00 Angelo Tabaro e Antonio Cassuti: Perchè Flussidiversi 09
Hellwig Valentin: Flussidiversi per Alpe-Adria

18.30 Andrea Zanzotto passa il testimone a Christoph Wilhelm
Aigner - Tiziano Scarpa legge Zanzotto ed Aigner
SOTTO LA MAGICA LAGUNA
18.30 Inaugurazione mostra antologica di S. Zavřel
Fondazione Mostra Internazionale di Illustrazione per l’Infanzia
“S. Zavřel” di Sarmede

QUATTRO GIORNI CON VIVIAN
21.00 Film documentario prodotto dall’Associazione Culturale Locus e
dalla Provincia di Milano dedicato a Vivian Lamarque, regia di
Silvio Soldini, presente la poetessa
PIAZZA MADONNA dell’ANGELO

NOTTURNI DI _ VERSI – L’OZIO/OTIUM
22.00 Notturni di_Versi – L’ozio/otium.Recital poetico, musiche a cura
di Exposurensemble Associazione Culturale Porto dei Benandanti e
Editrice Nuovadimensione di Portogruaro


16 maggio

BIBLIOTECA CIVICA DI CAORLE
SCAFFALIDIVERSI
09.00 La Biblioteca Civica di Caorle saluta C. W. Aigner ed i poeti di
Flussidiversi

CENTRO CIVICO
FRONTIERE POETICHE E COMUNE SENTIRE IN ALPEADRIA,
TRA PASSATO E PRESENTE. VOCI ESEMPLARI
10.00 Simposio scientifico.
Angelo Tabaro e Antonio Cassuti: Flussidiversi….e oltre
Interventi:
Fernando Bandini Il poeta e i misteri della traduzione (tra lingue
vive e lingue morte)
Hans Raimund L’esperienza transfrontaliera di un poeta –traduttore
centroeuropeo
Giacomo Scotti Un poeta per due lingue. Le aporie della storia e la
poesia come dialogo tra le genti.
C.W. Aigner Il traduttore non è mai traditore
Giuseppe Bevilacqua La poesia austriaca contemporanea
Luigi Reitani Memoria poetica nella poesia di C.W. Aigner
Coordina: Roberto Nassi

PIAZZA MATTEOTTI
IMMERSIDIVERSI
15.30 S. Harter, G. Zanon, D. Rosandic, I. Flego, G. Frene,
N. A. Cantarutti, C. Gabler - Coordina E. Grandesso
17.00 M. Moretti, R. Dedenaro, V. Biga, L. Mavian, A. Bukovaz,
G. Malej, G. Turra - Coordina E. Grandesso

CAMPO NEGRONI
SUONIDIVERSI
15.00 Musiche di Mozart, Bach ed altri
Fondazione Musicale Santa Cecilia
L. Bortolotto violino, M. Marinelli arpa

IMMERSIDIVERSI
15.30 M. Tremul, A. Princis, M. Mattiuzza, A. Vucemil, I. Osojnik,
A. Pellizzari - Coordina G. Colangelo
17.00 S. Harter, P. Battistella, C. Stockhausen, D. Rosandic, I. Flego,
G. Frene - Coordina G. Colangelo

SOTTOPORTICO AFFRESCATO DI PIAZZA VESCOVADO
IMMERSIDIVERSI
15.00 S. Guglielmin, B. D. Biletic, B. Stanisic, G. Turra, G. Fierro,
M. Molnár - Coordina A. Debernardi

SUONIDIVERSI
16.00 Musiche di Mozart, Bach ed altri - Fondazione Musicale
Santa Cecilia - L. Bortolotto violino, M. Marinelli arpa

IMMERSIDIVERSI
16.30 C. Gabler, I. Panfido, G. Fierro, M. Obit, B. Codogno, C. M. Conti
Coordina A. Debernardi

PIAZZA VESCOVADO
GIOCHIDIVERSI
15.00 La fabbrica degliElfi. Laboratorio artistico-creativo per bambini
16.00 L’Angolo della Fiaba. Il Contastorie Giacomo Bizzai: letture
animate per bambini
Fondazione Mostra Internazionale d’Illustrazione di Sarmede
CENTRO PASTORALE GIOVANNI XXIII
VERSIDIVERSI
15.00 Esposizione dei lavori prodotti dagli alunni dell’Istituto
Comprensivo Statale “A. Palladio” a conclusione dei laboratori
multimediale ed artistico-creativo
Luisanna Fiorini, Elisabetta Nanni
Fondazione Mostra Internazionale d’Illustrazione di Sarmede

PIAZZA MADONNA DELL’ANGELO
IMMERSIDIVERSI
15.30 R. Dedenaro, V. Biga, L. Mavian, A. Bukovaz, G. Malej, G. Altmann
Coordina M. Kravos

17.00 F. Manzoni, H. Raimund, C. Grisancich, N. Kraljic, A. Princis,
M. Molnár - Coordina M. Kravos

CENTRO CIVICO
PRESENTAZIONI EDITORIALI
15.00 La casa editrice KELLERMANN presenta il poeta V. Pianca
16.00 La casa editrice CAMPANOTTO presenta i poeti A. Contò,
A. Toniolo, D. Gavagnin, P. S. Ostan
17.00 La casa editrice PANDA presenta l’autore N. De Bello

PIAZZA VESCOVADO
FRA TERRA E CIELO
18.30 Recital poetico
Associazione Culturale Fra Terra e Cielo di Eraclea

IMMERSIDIVERSI
21.00 I Poeti leggono i Poeti con C. W. Aigner e la comunità dei poeti di
Alpe-Adria
Musiche di Musorgskij Quadri di un’esposizione
Ensemble di sax della Fondazione Musicale Santa Cecilia
Marco Gerboni direttore


17 maggio

CENTRO CIVICO
PRESENTAZIONI EDITORIALI
9.30 La casa editrice SISMONDI presenta gli autori A. Fratantaro e
G. Callegari
10.30 La casa editrice PEROSINI presenta l’autore E. Olivotto
11.30 La casa editrice CENTRO INTERNAZIONALE DELLA
GRAFICA DI VENEZIA presenta l’autore L. Menetto

SANTUARIO MADONNA DELL’ANGELO
SUONIDIVERSI
10.00 Musiche di Händel, Bach, Galuppi, Vivaldi, Mozart
Fondazione Musicale Santa Cecilia
Mauro Fiorin flauto, Michele Bravin clavicembalo

IMMERSIDIVERSI
11.00 C. W. Aigner, M. Santagostini, L. Morandini, G. Scotti, F. Manzoni,
R. Held
Coordina R. Nassi

PIAZZA MADONNA dell’ANGELO
IMMERSIDIVERSI
15.00 M. Giancotti, P. Battistella, M. Moretti, R. Held, B. D. Biletic
Coordina G. Frene

CAMPO NEGRONI
IMMERSIDIVERSI
15.00 L. Morandini, M. Santagostini, M. Kravos, L. Rizzatello,
M. Tremul, G. Altmann
Coordina A. Debernardi

SOTTOPORTICO AFFRESCATO DI PIAZZA VESCOVADO
15.00 I. Osojnik, C. Grisancich, N. Kraljic, G. Scotti, I. Panfido,
S. Guglielmin
Coordina G. Zanon

LUNGOMARE, ALL’ALTEZZA DI PIAZZA VESCOVADO
SCOGLIDIVERSI
16.00 La poesia scava la pietra. Chiusura di Flussidiversi

domenica 10 maggio 2009

Iole Toini



Impreziosito da una nota di Davide Rondoni, che definisce Iole Toini "maledetta" e "assoluta", ossia "capace di una voce che non teme di nascere o di finire al di là dei limiti e dei canoni" convenzionali, esce Spaccasangue (Le Voci della Luna, 2009), opera prima di un'autrice che plasma l'alfabeto con la bocca, lo "mastica e sputa" come direbbe De Andrè, caricando così ogni parola dell'energia femmina propria alle madri, custodi dell'origine. La verità che ne sgorga è pregna d'amore, inteso quel siero che ci cresce nelle vene e solo per accidente sublima in affetto. Amore per l'umana imperfezione, anzitutto, per la comunità operosa, per la poesia, che resiste alla deriva del senso, evocando "l'abbraccio doloroso della vita", le sue spire feconde.


Voluto con intensità da Fabrizio Bianchi e da me, curato da Fabio Franzin, questo libro va ulteriormente ad arricchire la collezione di poesia delle Voci della Luna, i cui libri hanno ricevuto ampio consenso dalla critica. Si veda, da ultimo, A ogni cosa il suo nome, di Francesco Tomada, finalista il 16 maggio al premio Baghetta di Bergamo.


Spaccasangue è accompagnato da opere visive di Orodè, giovane artista tarantina, residente a Lecce. http://www.fragmentart.it/







canto della mamma bambina


Fare la mamma, essere la ninnananna, stare senza senza,
morire morire morire come una qualsiasi fatica.



I

La cuffietta intorno al viso; un fagotto sui gradini
della stanza grande come una forma di lardo,
unico flash della mamma-bambina senza denti né pianto.

Dietro la porta la madre si quieta vegliata dal grufolo caldo, il battito
dentro le cestole; i segni contano le vene.

Madre nera madre troppo
fragile per i boschi per le mele cotogne le primule a novembre
madre dei soffioni senza campo.

Il padre è un peduncolo, grande come il baco
che abita la mummia. Migra dalla pancia all'osso.
Succhia. Geme. E' un grugnito.

Tagliati a metà, l'uomo e la sua terra, il verro e la sua donna, nel tempo perdonato
della mietitura, crescono la mamma-bambina.



II

cuore zoppicato cuore sperticato vuoto della resa
candore nella bocca calore morsicato
tappo uscio cigolio del letto



Lei è l'amore, nato amore vivo,
amore da far fuoco, con il nome corto come l'odio.

Vivi e cullami vivi di più e proteggimi
scatola di ossa cranio che si fonde testa dell'ariete
contro la mancanza, bambina azzurra
come la porta magra come un girino bomba mammina
che spalmi olio sopra i muri difesa dei massacri
vitello mai morto tuorlo
del mio altare donna inginocchiata
con lo sputo infilato nella sporta
donna nocciolina senza la barbi senza le trecce
con la gonna a pezze con le gambe
storte il sesso cresciuto contro le braghe di un uomo
immacolato uomo vangato sulle pietre calde di vermi
cuore di dita dolore respirato buio
scafandro uovo crudo libro mai avuto



III


C'era l'amore cucilo vena a vena.

L'amore era nelle galline
nei vitelli nello zio del latte munto
nei fasci di fieno i giochi con le biglie.



IV

nel nome del padre nel nome della madre
nel nome della figlia bestemmia


Preghiere e muco sopra le labbra.
Lei è un podere da vangare, attecchisce sui rami
delle gambe, un baco nel frutto.
E' dura come il piombo
cade colpo su colpo
poi ricresce come i cerchi dentro un albero.

Nella doglia si torce come una sposa.
Ama la madre chiusa nel ventre.
Odia il padre che è il principio e la fine.
Odia il suo corpo che li tiene, letame buono a far seme.


V

Arancia meccanica
Arancia meccanica
Arancia meccanica



Chi sa da dove vengono le cose, da dove viene il mare che frange le molotov amadeus mozart le chiuse alle dighe i transatlantici il cane di pavlov da dove vengono le spiagge le orche l'everest.


Il giorno che si ammazzano i conigli. Metà settimana, la madre le dice vieni. In una mano il catino, nell'altra la lama del coltello. I conigli sono belli quando sono piccoli. Da grandi sono grassi e vanno ammazzati. La madre solleva la gabbia, prende il più grosso. Lui sgambetta. La madre si siede sullo sgabello. Le dice tieni fermo il catino. Raccoglie da terra un sasso, lo picchia come un martello sulla testa del coniglio. Poi prende il coltello, un taglio deciso, da cima a fondo. Il coniglio fuma come una fabbrica in inverno; il sangue trema, troppo vivo. Con un crack gli spacca la schiena; lo apre come un pezzo di strutto, affonda le mani fino al polso, le riemerge colme del fegato che sbatte le ali come un uccello.


VI

I morti hanno la bocca cucita al perdono.

Aperta al suolo, viva dentro la bocca, con la tristezza
che zampetta le ali sul dorso di una cometa.
E' nel caldo come una terra di carne che osa
la cresta di buio fino alla strada malinconica;
porta alle vene interrotte, ori, qualche persa morte.

L'occhio stringe sull'odore di neve, i campi,
dopo la mattina che morì suo nonno.

La casa era piena di gente, le donne - nere negli occhi –
le toccavano la testa come un'acquasantiera.

Dritta in mezzo alla stanza, l'angoscia raspava come un cane all'uscio.
Senza saperlo è la bambina felice: vola
nei quattro cantoni come uno spuntone
che oltrepassa lo spazio. Cammina la terra
nei piedi nudi, lungo i nervi della montagna
dove il vento schiuma le foglie;
tira la voce contro caverne di tufo per sentirla
colpirla alle spalle come potesse esistere
proprio lì e lontana, insieme.



VII

Ti rinnego, padre minuscolo, perché ti amo.

Una piccola statura, un ometto
senza denti con il sesso fiacco col fiato
a picco sulla bara graziata dalla paura.

Inutile come la pena
munge il cuore della mamma-piccina
le dice tienimi dove fa più male, non lasciarmi morire.
Piagnucola, la scava, ancora che non basta.
Batte il chiodo. Entra. Polmone. Nervo. Giugulare.

Vedi come muoio?
Tienimi, sono il tuo bambino
sono il padre e ti dono la mia vita.
Pregami e preservami.
Dammi la tua mano l'onda dei tuoi fianchi
i sogni il mare il treno che mi porta
nessundove dammi la tua vita
te più del cuore dammi quello che non muore.



VIII

Le persone entrano e escono dal mio ventre come una battaglia.

[La mamma piange.
La bimba viene al mondo.]

/

Ondeggia come uno spillo
calato in fondo al pozzo.
Dentro la pancia il padre guaisce.
Non vive; resta nel vuoto che lo colma
limbo senza terra cordone alla gola
isola che affonda la carne aperta.
Respira, mamma-bambina
spingilo oltre il cuore.
Ora nasce
ora che duole così forte
adesso che spacca la carne.
Lui che in te resiste.
Lui che mai muore.


La testa molle, rasata come un campo da tennis, vola dalla panciabambina,
attraversa l'altare come la risata di un beone.


IX

Come i bambini che volano dagli occhi appesi il salto aperto di nuvole i bambini che cercano la forma del suono senza badare se scurisce il giorno i bambini che restano impigliati ai vetri guardano la neve che stacca dal volo, come i bambini vado mano sul muro


si allontana dal confine verticale di una giostra che canta alla festa del paese. Nella stanza di neve, con il nome di una foglia sulla bocca, ricorda quando restava in cortile, sopra la catasta di legna, fino all'ora del buio; ascoltava il miagolio dei gatti, il loro pianto in amore. Guardava dentro lo spazio che dava forma al silenzio, senza vedere. Le ombre della casa filtravano dai rami. La madre la chiamava; usciva sulla soglia e la chiamava. Non la cercava mai più in là del poggiolo. Lei restava ferma a seguire il taglio di luce che cadeva dalla porta aperta, la forma nervosa della madre, le braccia nude. Il tempo la inghiottiva con un sapore caldo, un'assenza che non fa male. Sentiva allora di non contare niente di più di quel luogo che si allargava nell'attesa di qualcosa che le soffiava dentro, sconosciuto.

Iole Toini è nata a Darfo Boario Terme il 6 maggio 1965, vive sul Lago d'Iseo. Ha collaborato con la rivista "Qui - appunti dal presente" di Milano. Ha vinto alcuni premi tra i quali il Concorso Nazionale di Poesia "Sci Club - Pieve di Soligo ", presidente onorario di giuria Andrea Zanzotto; 'Il Lago Verde' di Casazza (BG); il Premio Nazionale di Galbiate (MI). Terza classificata al Premio Renato Giorgi 2007, è stata segnalata in concorsi quali il Montano di Verona, il Concorso di Poesia MezzagoArte (presidente onorario di giuria Franco Loi), il Premio Città di Rimini. Sue poesie sono state pubblicate su "Gradiva" e sulla rivista "Le Voci della Luna" di Sasso Marconi (BO). Gestisce il blog http://www.alveare.splinder.com/.

giovedì 7 maggio 2009

Pensare la fine


Cari amici, vi giro questa mail di Marco Guzzi. La questione è secolare: dobbiamo pensare la fine. Pensarci per la fine. Pensare la luce costodita dalla notte, salvarci imparando ad ascoltare la maceria quale destino dell'Occidente, maceria che è compimento di una cultura segnata dalla morte. Sgusciare la morte per trovare quando ci addita.



buona lettura


"Mai come in questi ultimi anni abbiamo avuto in Occidente la triste sensazione di un mondo e di una intera cultura che si vanno sbriciolando, riducendo a nulla, a insipido omo-geneizzato.

La pappa mentale, il Blob universale cola dai mille televisori e video e computer come una melma uniforme e appunto sempre più omogenea, che a volte sa di palude stagnante e a volte sa proprio di fogna: il dibattito politico e l'onnipervadente varietà dei "comici", il Grande Fratello e Ballarò, l’ennesimo Festival della Filosofia/Matematica/Gastronomia/Poesia/Apicultura/Francobolli
/Arte/Cetrioli/Cinema/Comunicazione (ormai
immancabile)/Castagne/Spiritualità/Piadina/Letteratura/Carciofi etc., e l'ennesima gara tra giovani aspiranti
Cantanti/Ballerini/Servi/Veline/Letterine/Scimmiottine/Schiavettine, schiavi comunque, servi e serve dei programmisti-autori di Mediaset e della Rai, pronti a tutto, e via così degradando senza più vergogna di nulla: cultura e pubblicità, prostituzione e università, corruzione e giornalismo, spettacolo e santità: un'unica melassa incolore e maleodorante.

L’antropologo René Girard vede in tutto questo un chiaro segnale della o almeno di una fine, l’accelerazione finale di un processo che trova i suoi ultimi momenti cruciali in Hitler, in Stalin, e nelle conseguenze di questi orrori: “vale a dire il nulla, il non pensiero americano in Occidente. Oggi ci troviamo veramente di fronte al nulla. Sul piano politico, sul piano letterario, su tutti i piani”.

Ci vuole una grande fede per non disperare in questa notte di nullificazione, di "non pensiero americano", e per non farsi avvelenare il cuore come la scimmia di Zarathustra.
Bisogna imparare a vedere in questo finire un Fine, non solo una Fine, ma un esito, un eschaton, uno scopo.
Negli anni '50 Heidegger scriveva: "Se penseremo in base all'escatologia dell'essere, dovremo un giorno aspettare l'estremo del mattino nell'estremo della sera, e dovremo imparare oggi a meditare così su ciò che è all'estremo".

Questa in realtà è l'unica e l'ultima speranza.

Già, ma chi lo fa? Chi se ne occupa? Chi pensa per fini/inizi?
Il grande problema contemporaneo è proprio che tutto ciò non venga pensato.
Manca ancora una cultura escatologica, che sappia pensare i fini della fine, la direzione di questo sfinimento.
Ed è proprio questa incapacità di pensare per estremi temporali che rende così omo-geneizzato il nostro tempo.
Se infatti non diamo un pensiero a questo finire finiamo nel suo annientamento, viviamo la fine solo come definitivo sfinimento di ogni aspetto della cultura e della vita.

Ciò accade in modo plateale nel mondo della politica: oggi in Europa vince normalmente chi rappresenta al meglio questo Nulla (di pensiero) ben amministrato, questo spappolamento mentale somministrato a dosi massicce ma che però mantengano i corpi illusoriamente vivi, almeno per un po'.
E chi perde alle elezioni si appresta subito dopo a nullificarsi meglio per vincere la prossima volta: meno pensiero, meno dignità, più farsa, più retorica, più menzogne, più rissa tra fratelli gemelli sempre più simili tra di loro, e proprio per questo sempre più violenti, in base ai codici ineluttabili del mimetismo umano.

D’altronde pensare seriamente, e cioè escatologica-mente questa Fine non è affatto facile, in quanto significa confrontarci con una completa ridefinizione dell’Identità Umana, con la possibilità dell'emersione di una Nuova Figurazione dell'essere umano, proprio attraverso la dissoluzione in atto di tutte le figurazioni storiche precedenti.
Intravedere in altri termini proprio nella omo-geneizzazione la genesi di un nuovo Genere Umano, finalmente unito, conscio di essere uno e unico: Ein Geschlecht, un solo Genere, come cantava Georg Trakl".



Chi volesse approfondire clicchi qui

domenica 3 maggio 2009

William Wall tradotto da William Stabile


Dopo questa intervista a William Wall, uscita su Blanc nel gennaio 2008, William Stabile mi invia queste due poesie del poeta irlandese, già edite in blog amici. Ve le giro così come sono.


They put
(pubblicata su Farablog di Alessandro Ramberti)


they put a camera up my ass

they put a camera down my throat

(not the same camera)

(or not the same day)


they made pictures of my brain

in onion skin

my spinal column

(intact I’m glad to say)

dear doctor

what else is there

I think

I eat

(I think I eat)

(I eat I think)

what goes in comes out

more or less on cue

I overheat at times

that’s the way the world goes

although I have never been exactly straight

I am approximately upright

& things that happen in my head

have their correlative elsewhere

we are all part of the great digestive tract

that is the world

& we all become much the same substance

& shadow

& when push comes to shove

you can know too much

since there never was a Jesus Christ

(as per the label)

(or at least not one that was a god)

there is no such thing as the perfect life

no let there be light

no logos to speak about

no way outlet’s call it evens

give me the strength to be
a broken man of the broken world



***

Mi ficcano una telecamera su per il culo

mi mettono una telecamera giù nella gola

(non la stessa telecamera)

(o no lo stesso giorno)

hanno fatto foto del mio cervello

a pelle di cipolla

la mia spina dorsale

(ancora intatta, devo dire)

caro dottore

che altro c’è

Penso

Io mangio
(
PensoIomangio)

(IomangioIopenso)

ciò che butto giù esce da sotto

più o meno al momento giusto

mi surriscaldo a volte

questo è il modo in cui va il mondo

sebbene non sia mai stato... esattamente dritto

sto più o meno in piedi

e le cose che mi girano in testa

hanno corrispondenze da qualche altra parte

facciamo tutti parte del grande tubo digerente

questo è il mondo

e diventiamo tutti più o meno la stessa sostanza

ed ombra

e quando il momento arriva

tu ne sai un po' troppo

dato che non c’è mai stato un Gesù Cristo

(come da etichetta)

(o almeno uno che fosse un dio)

non esiste sta cosa della vita perfetta

nemmeno lascia che sia luce

né Logos su cui parlare

né una via d’uscita

dai, siamo pari

dammi la forza di essere
un uomo spezzato di questo mondo distrutto




We imagine the police
(in Rizomatic, blog di poesia edito da Luca Paci)



.........In the dark times, will there also be singing?
.........Yes, there will be singing
........About the dark times.

........Bertolt Brecht, Motto to the ‘Svendborg Poems’

we imagine the police
cameras catching other people
doing things that irritate us
in their cars
this is the police state
of mind
as we shop in the late evening
in the supermarket
that never closes
not even for God
& we try to remember what we want
& we try to buy only what we need
& desire keeps getting in the way
we genuflect
before other people’s shopping
in aisles sacred
to the memory of home
cooking & detergent
& the kind of things your mother baked
& as we are occasionally electrocuted
by the metal
we begin to believe
that bread belongs to today
that there are different qualities of white
that there are no preservatives
that the meat
is prime
& the supermarket cares for us
& that every little helps
it is chip & pin
in the late evening
under the watchful eyes
we imagine
people using our cards
to buy things we would never buy
in places we have never been
on a day or days
without our express
permission
this is the police state
of mind
as we drive home in the night
with a car full of things
we scarcely believe are real
our past haunted by
kitchen paper rolls
cans of asparagus tips
stick & click LED lights
mosquito candles in case
we get global warming soon
disposable barbecues
fruit psychosis
& probiotic yoghurt
& canned salmonella
& thawing petits-pois
& lawn weed ‘n’ feed
& a nest box
& a special kind of notepaper
that has forget-me-nots
& a memory stick
& a device for opening
reluctant cardboard cartons
& a fold up tent
for when we fold our tent
& a wallet-full of promises
that there will still be shopping
no matter how dark the time




Immaginiamo la polizia




...........Nei tempi bui, si canterà ancora?
...........Si, si canterà
...........Dei tempi bui.

..........Bertolt Brecht, Motto to the ‘Svendborg Poems’

immaginiamo la polizia
telecamere che riprendono altra gente
che fanno cose che ci disturbano
nelle loro auto
questo è lo stato di polizia
dentro, nell’animo
mentre acquistiamo la sera tardi
nel supermercato
che non chiude mai
nemmeno per Dio
e cerchiamo di ricordare cosa vogliamo
e ci sforziamo di comprare solo il necessario
e il desiderio continua a sviarci
noi genuflessi
davanti alla spesa d’altri
nei corridoi sacri
alla memoria della casa
cucina e detersivo
e quel tipo di cose che tua madre sfornava
e poiché a volte rimaniamo fulminati
dal metallo
noi iniziamo a credere
che il pane è quotidiano
che ci sono diverse qualità di bianco
che non ci sono preservativi
che la carne
è fresca
e che il supermercato si prende cura di noi
e che un pochino ci aiuta
con un chip ed il PIN
a tarda sera
sotto gli occhi che scrutano
noi immaginiamo
persone che usano le nostre carte
per comprare cose che non compreremmo mai
in posti dove non siamo mai stati
un giorno o per giorni
senza il nostro manifesto
consenso
questo è lo stato di polizia
dell’animo
mentre guidiamo verso casa nella notte
con l’auto piena di cose
che a stento crediamo siano vere
il nostro passato inseguito da
Rotoloni Regina
barattoli di dita d’asparagi
stick & click luci al LED
candele anti-zanzare nel caso
ci fosse presto il riscaldamento globale
barbecue usa e getta
psicosi della frutta
e yougurt probiotico
e salmonella in barattolo
e piccoli punti che scongelano
ed il prato che si auto-rigenera
ed un nido a scatoletta
ed un taccuino speciale per gli appunti
che ha i foglietti per non dimenticare
ed una penna elettronica
ed un congegno per aprire
scatole di cartone che non si aprono
ed una tenda pieghevole
per quando noi piegheremo le nostre tende
ed un portafoglio carico di promesse
che esisterà ancora lo shopping
non importa quanto bui saranno i tempi

martedì 28 aprile 2009

Barberi Squarotti, Comoglio, Vaan


Delle edizioni L'arcolaio ho già parlato in Blanc. Ci ritorno ora per segnalare alcune novità. Anzitutto l'uscita, il 29 aprile, di Gli affanni, gli agi e la speranza, di Giorgio Barberi Squarotti, nome prestigioso che onora l'attività di Gianfranco Fabbri, poeta, editore, ma soprattutto grand'uomo.

Da parte mia, ho collaborato per dare alle stampe due libri. In quanto direttore della collana "laboratorio", ho spinto per l'edizione di Canti onirici di Silvia Comoglio, che porta in prefazione la firma di Marco Furia, importante poeta dell'area anteremiana, il quale riconosce all'autrice "un procedere, un fermarsi, un soffermarsi secondo cadenze intime, profonde: la poetessa intende renderci partecipi dei suoi versi ricorrendo a una specifica persistenza poetica, quasi lo scritto imponesse un'adesione, un consenso, un esserci. [...] Si tratta, in sostanza, di un'attitudine a riconoscersi in dimensioni non artefatte, biologiche, promosse da originali usi idiomatici, efficaci nel dischiudere frontiere erette nei confronti di un mondo inedito eppure affine. [...] A quello del tempo, si accompagna il tema del silenzio. Un silenzio, non nulla, ma campo di energie da cui lo spunto linguistico trae origine, ben rappresentato da quell'ampio spazio bianco da immaginare, al di là dei limiti della pagina, quale illimitato, punteggiato da brevi sequenze di vocaboli. Silenzio di cui la poetessa si serve anche all' interno del verso, non al fine di ottenere esiti di banale suggestione, bensì con l'intento di scandire il ritmo, come se fosse la direttrice di un'orchestra composta dalle sue stesse pronunce e assegnasse, con muti gesti, precisi compiti a ciascuna di esse: niente è qui lasciato al caso. [...] Lungi dal corrompersi in mero abbellimento, in sterile esercizio estetico, il contrappunto sonoro si mostra sempre essenziale virtù, tipica di scritti la cui pur curatissima forma mai va a scapito di assidui trasporti espressivi, validi baluardi contro ogni pericolo di caduta nel calligrafismo".

Il secondo libro è uscito qualche mese fa. Si tratta di Cosmesi di Tonino Vaan. La prefazione è mia. Eccone uno stalcio: "Cosmesi parla di un uomo solo, che cerca calore racimolando brandelli di fatti accaduti, fatti a brandelli dalla vita. Forse lui vorrebbe addomesticare quello spazio cimiteriale, chiuso alla speranza. E perciò ricorda – malgrado il tempo, egli ne è convinto, sia fatto per amputare – con l'entusiasmo di un viaggiatore, uno che tuttavia «parte sempre il giorno prima» per nascondere la ferita, per mescolarsi agli altri mortali senza dare nell'occhio. Poi però, inevitabilmente, quest'uomo vulnerabile il «trauma» lo mostra, lo riproduce dentro quella stanza, scrivendo". [...] E siamo vicini alla porta d'entrata, noi che stiamo fuori dal labirinto. Aprirla, significa perdersi nelle 73 stanze che lo costituiscono, accettando il fatto che il viaggio consiste nel visitare l'ombra e la luce di un'esperienza che non si dipana, ma ha scelto per sé l'intrico, l'antro-rizoma, l'avventura di un discorso magmatico, quasi a tracciare sulla carta la mappa della propria identità frantumata, invisibile da fuori, tenuta nascosta per mancanza di fiducia verso una società che, attraverso la cosmesi, si finge sana. All'ipocrita spazio salottiero, falsamente senza rughe, egli offre il libro dei precipizi, dei luoghi franti, delle impossibili rappacificazioni, un vertiginoso labirinto senza uscite, che pare il viaggio intermedio di un trapassato prima d'incontrare la luce divina. Tuttavia, a differenza del libro tibetano dei morti o dei Vangeli, entrambi scritti per disporre correttamente l'anima ad abbracciare con serenità la morte, il libro di Vaan è un ininterrotto sussurrarci all'orecchio che la nostra morte è un buio definitivo e che, dunque, l'umanità va giocata nell'aldiquà, facendo scelte responsabili, come riferisce la citazione che chiude Cosmesi, non a caso di Andrea Pazienza, maestro nel cantare l'inquieto groviglio terrestre".




da Canti onirici

4.


→: me, amate me in questa poca terra
di ánima lasciata óltre ―
il tronco e la ringhiera,
in albe - nude - della pietra: amate me,
il brivido davanti
al nome già tessuto nell’ultimo bacile,
nel pianto che rese il suolo
lucido di vetro, istánte
mancato - e silenzioso: me
stellina del mio faggio, esilio
di bacio assiderato, senza ombra
né - significato

[ ]




6.


→: me, amate me,
per l’effímero mio tetto, e l’osso
che si spezza - a volo - dentro l’eco,
per l’unghia - ritorta di paura,
e l’álbero che mostro - al confine
con l’ultimo paese, piéde
nudo e già sbarrato, lucore
ricurvo - tutto - nel mio peso

[ ]



11.



..................................come se ti fossi
..................................ancora rannicchiata,

.................................come se dicessi: qui io corro
.................................effimera sui prati





invano, mio píccolo signore,
invano - credi - qui è l’oriente,
il principio - tutto rivelato: la voce, mio signore,
è giostra solo spinta - verso la sua eco,
è il corpo del lume che si affaccia
sull’último filare, ammaliando
quanto non vivremo del límite del bosco,
del témpo che si chiama - límite del bosco ---

---



12.


: → così potremmo ancora amarci,
cóme - soli cardi, là dove ancora è vivo
il corvo - appena stato
sul fuoco - del suo ramo, l’íncubo che dette
forza al bosco nudo, tastando nessuna bocca
nessuna cosa nessuna - nessuna ombra
che indugia di memoria

[ ]



IN LUOGO D'APPENDICE

1.


cauta - verrò nel fiume
che svesto all’infinito, nel cárdine del sogno
gridato fino all’alba, salutando
nel buio il mio fragore, il démone che lascia
luce e ombra - braccáte - nella sabbia

[ ]



da Cosmesi


*

questa stanza arredata per fuggire
mista di metalli fusi ed ossa di cammello
pesante di incensi e vuota
.nei bianchi ha ombre pallide
che delineano luci nascoste.
aperta a nord alle correnti
dalla lunga vertebra dorsale
offre scudo, con i suoi vetri riparo
condensa ai pensieri incerti
riflesso in espansione, freddo ed umile
come tutto il nostro mutare nelle attese


*

“ogni tanto si va a cercare una qualche indigenza ed è probabilmente un modo per recuperare una qualche autenticità“
..............................da “i barbari“ .alessandro baricco

noi… quattro stracci ben messi acquistati dai cinesi …


per settimane con gli stessi vestiti
scaldandoci le mani sul fornello del gas
le passiamo sul collo ancora calde
.da tre giorni l'impianto di riscaldamento è rotto
e una pigrizia ci assale. io porto con me una matita
scrivo cose che non vale la pena fermare.
in fondo non siamo fatti per altro
che non da tramite al forte contrasto
tra l'aria di montagna e le ombre strane della metropoli
.ma non ci ostiniamo però ad attribuire virtù in eccesso
ad una o all'altra parte che là in fondo un’oscura materia
già incurva i fonemi del tempo.
per cui lasciamo stare
.tu ascolti sempre la stessa canzone
per fare tua ogni sua minima vibrazione
io tengo stretta una chiusa da sentirla
piena ed aperta per ore.
arricciando la ciocca sulla fronte a destra
in area temporale, fuori
incrociamo quel richiamo fatto carne
che annebbia, distrae, distoglie
il possibile vigore impassibile nei frangenti
.come se tutto un diverso contenuto
avesse in noi lo stesso suono


*

…giorni e giorni sull’unto del giornale…


qui .dove si paga lo scotto di una lunga corsa
passeremo queste giornate a fare cerchi
sulle frasi più belle di un libro.
restando nel timido sole di un'avventura
fermoimmagine di un bombo sopra un fiore di trifoglio
che potremmo aprire tre libri differenti
.uno sui colori del suo addome peloso
.l'altro sulla terribile fetta di noia da spalmare e in ultimo
la possibilità sua, la tua di trovare un quadrifoglio.
mentre la repubblica titola di un inferno
diecimila volte peggiore del nostro
noi volendo descrivere mille cose
ci fermiamo sui proletari introdotti al mestiere di soldati
che ne muoiono di più una volta tornati a casa che in guerra
dietro un eccesso di ebbrezza formato cocktail
vano e sporco lavoro sempre all'inferno e ritorno
.con la libertà di piangere ma non quella di fermarsi
e dire di una curva l'angolo preso in controsterzo frontale
contro un muro.
e venisse su il big one
tutte le volte che un uomo uccide un uomo
che basterebbero pochi e giusti pensieri e solo quelli
oppure qui, parla il vuoto eccome.
al di là del fatto
che ogni ombra possa avere una breve storia
che il più delle volte non si conosce mai a fondo
la materia del sogno
rimane l'idea di porgere alla luce il corpo, se si nutre
come le foglie, nel cielo opaco dove si spoglia


*

… che spinge nuovamente alla finestra…


con le dita, le unghie danno infezione.
dei quattro lati il nostro cantone è uno
io ci vado con la schiuma da barba sul viso
grattando riduzioni di tempo sulle bolle.
il buco più aperto è a nord
la chiamano finestra
s'affaccia s’una cascata di tricolori
che stanno là
bianco giallo sporco, grigio smog
bella nazionale.
se è un gioco
seguire facile lo sguardo
più difficile è parlare
delle incolmabili differenze che ci dividono.
un vecchio ogni volta pretende di fare
l'ultimo viaggio da solo
quando spegne la radio, seduto su una sedia
sul suo balcone quasi fosse pronto.
che noi guardandolo per un minuto
sudiamo freddo
prendendo tempo, fermi sulla questione
se valga la pena di chiamarlo
oppure no


*

aprire gli occhi
disconoscere un'ora, le sue spine.
noi siamo i soliti, gli scalzi
quelli che all'alba indovinano le stanze
senza guardare.
noi non ci possono essere troppi misteri da svelare
si parte sempre il giorno prima
appuntati sul niente
disposti e pronti a quel passo senza fiato
sul confine più labile dell'aria
che ci solleva.
e se il dovere della mano chiama ad altro
altro poi sfugge
ad un senso di dedizione.
che le risorse innate
poi non scavino quand’è che è stato
il danno subito
.andiamo avanti, così
nessun intento a testimoniare il nostro trauma


venerdì 17 aprile 2009

Eugenio Mortale


Corsetto


Esterina, i sette nani ti minacciano,
e topogigio ride
ché, a poco a poco, su te si schiude.
Ciò incendia i tuoi parenti.
Insomma persa ti vedremo
bella e fumata al vento
becera e densa, violenta.
Poi dal lotto di venere urlerai
adusta piuma che
protesa la ventura stani
e l'incenso in viso l'asse
arcuato sbrani, oh Diana.
Saltano i sette nani e gli unni
t'avvitano il luppolo alle fidate pere;
ecco per me rimbocca
un premio nelle lise sfere.
Un uomo non ti prenda
quell'inclita bocca
perbacco! io pago e siano
per lui cento gonfiabili
megere.

lunedì 13 aprile 2009

Stefania Crozzoletti



Prima vita (Fara 2009) è titolo complessivo ed incipit, e sorprende: non va infatti intesa in quanto primizia, vita come prima scelta, bensì quale conseguenza della resa alla vita ordinaria, ad essere parte, come bene scrive Francesco Tomada in prefazione, "di una struttura sociale molto più grande di lei", sotto il segno dell'integrazione. Eppure, sottotraccia, brulica la spinta a deviare, almeno a livello interiore e ad elaborare strategie di sopravvivenza, usando la leva dell'ironia e dell'autoironia. L'originalità si gioca nell'attrito tra i due livelli e nella capacità di farci sentire che il gioco che ne deriva è lasco, oscillazione in cui stare. La poesia che scrive la Crozzoletti occupa questo spazio, tra ciò che lei è per necessità (madre, moglie, lavoratrice) e ciò che avrebbe potuto essere (punk, ladra, intellettuale). Nessuna delle due dimensione è praticabile senza dolore; per fortuna che nel loro punto di contatto si apre appunto una crepa, un lasco - come nei pedali delle vecchie biciclette - dove il tempo smette di avanzare e tutto può essere ripensato, detto come se fosse per la prima volta. La prima vita è la poesia nata sotto il peso della solita vita e della vita non praticata, è la poesia in quanto pratica insolita dello slancio vitale.






PRIMA VITA

D'accordo mi arrendo:
accetto di vivere
la prima esistenza che viene

proseguo stonata
con l'inutile forza che mi contraddistingue
gratto i muri tanto per fare

meglio che essere
assolutamente contemplativa

guardo le stelle

e non trovo significati
guai ad essere beatamente infelici



REINCARNAZIONE

Ci sarà un'altra vita
per sopportare tutto questo dolore
ci sarà un'altra vita
per portare a termine il mio destino
Un'altra vita
per elevarmi
un'altra vita
per consacrarmi

Nel frattempo
grazie Steve Kilbey
grazie Wim Wenders
grazie
consolante selciato di libri

Ci sarà un'altra vita
per drogarmi
per essere maestosa
e per fottere il mondo
con grande soddisfazione



TRE VITE

Ho avuto tre vite
Una di beata
inconsapevole essenza
slegata dal resto
appartenente a tutto
La stessa vita che ora
vedo nei passi di danza.
di mia figlia

Poi una vita
con dolori che smembrano
il cuore
La durezza del mondo
lo stridore dei passi
voler diventare
voler rimanere
Vietato esistere
per il gusto
E le ansie vomitate
addosso ad amici
di buona volontà
con l'ottimo supporto
di cure artificiali

L'ultimo pezzo di strada
lo percorro cercando
una casa
tra corse, soste e bestemmie
Cinque marce
eternamente in anticipo
Uniche soste previste
per infarti o tumori

La casa è sempre
un isolato più avanti
o si trova in una via
già percorsa



A TU PER TU CON LA POESIA

Allora, anima bella,
giochiamo con le parole
o con i significati?
Uniamo
ondeggianti vorticose
frasi sensuali
spremiamo il verbo
ricamiamo i pronomi
o seguiamo il sentiero in pianura
consegnando al pensiero il suo
ruolo filosofo?
Troviamo un nome
o sondiamo l'essenza?

Mettiamo tutto nel
corpo frullatore
troviamo l'interruttore nella
testa
mescoliamo frasi anima ironia
dolore rabbia comprensione
e dal vulcano facciamo uscire
una piccola perla
che ci faccia sentire
immeritatamente speciali




VECCHIA PAZZA

Vorrei essere stata
una bambina lieve
vorrei diventare
una vecchia pazza

Vorrei una vita in regressione
pensieri morbidi e tondi
che esplodono per diventare
disordinato pulviscolo
danzante
ilare
dispettoso
che solletica il naso di Dio

Uno starnuto cosmico
è il big bang
della mia età matura



FEMMINILE TOMBALE

Dovrei essere tutto
invece non so che essere
una cosa alla volta
La capacità di sovrapporre i ruoli
propria del mondo femminile
in me diventa
calca di apparenti strati leggeri
ammasso di pietre
praticamente una tomba



VERONA, 21-11-2008

Attenzione
alle certezze incrollabili
alle belle case
all'argenteria lucidata
ai prìncipi e alle principesse
alle promesse eterne
ai capelli sempre in ordine

Abbiate cura dei bambini tristi



CAPPOTTO

Oggi ho conosciuto Tizio
indossavo il mio elegante cappotto di lana

non gli ho detto che lo porto da anni

al punto adesso della sinusoide
sorvolo sul passato
non ragguaglio sulle rotte

Vorrei lasciare nell'ignoranza
chi non mi vede da anni:
che dormano tra le pieghe dei calendari
Caio e Sempronio che mi hanno
conosciuta senza occhiali
la faccina stupita da giovane lollobrigida
tutto sommato una bella immagine
di ragazza insicura con moti di ribellione
lasciati a metà

Ci sono lati positivi nelle vite di linee
spezzate si toccano giusto gli estremi
poche le sovrapposizioni
rare le eccezioni

Così posso sempre affermare
che nessuno mi ha mai vista
nel momento di maggior splendore
che è sempre stato prima
e sarà sempre dopo

A tutti mentirò dicendo
che il tempo mi vuole bene
Un amore ricambiato


Stefania Crozzoletti è nata nel 1966 a Isola della Scala (Verona), dove vive. Laureata in Economia e Commercio, si occupa di studi e ricerche economiche. Sue poesie sono state pubblicate nelle antologie della Giulio Perrone Editore Pensieri d'Inchiostro III edizione e La notte. I grandi temi della poesia. La sua raccolta (Non sono un) poeta è stata segnalata nel concorso di Fara Editore Pubblica con noi 2008.

martedì 7 aprile 2009

Abd Assalam Misbah


Blanc ha sempre posto attenzione alle voci del mondo. Specie di quelle con le quali l'occidente borghese fatica a dialogare. Grazie alla disponibilità e la pazienza della traduttrice Asma Gherib, Direttrice della rivista letteraria araba online: Nostalgia نوستالجيا e, nel 2008, docente di lingua e cultura araba presso l’Istituto di Formazione Politica Pedro Arrupe di Palermo (per il dettaglio vedi qui), ho il piacere di presentare alcune poesie d'amore di Abd Assalam Misbah.


Asma mi fa avere la seguente scheda, preziosa per comprendere il clima culturale e sociale in cui è cresciuto il poeta marocchino: "Abd Assalam Misbah nasce il 23 marzo 1947 a Chefchaoun, una piccola città a circa 400 km di Casablanca. Conduce i primi studi presso una scuola coranica, un kuttab, dove si imparava la lettura e la recitazione del Corano, la lingua araba, la matematica ed altre materie. Quando intraprende gli studi superiori, Misbah non riesce a conseguire il diploma di maturità ed interrompe gli studi. Nel 1972, due anni dopo, ricomincia a studiare per partecipare ad un concorso grazie al quale ottiene l’incarico di insegnante.
L’attività didattica dello scrittore inizia presso la scuola Hay mohammadi, oggi chiamata Imam Boukhari, dove rimane per più di sei anni fino quando non viene obbligato a trasferirsi presso la scuola Sidi Moumen, a causa del carattere ribelle dello scrittore e dei conseguenti screzi con il direttore scolastico.
Dopo due anni, comunque, riesce a tornare nel precedente quartiere ma non nel vecchio istituto. Esercita la professione presso la scuola Ibn Bassam.
Nel 1982, a Safi, partecipa e vince il concorso organizzato dai Centri Superiori Regionali dell’Educazione, ottenendo la cattedra per insegnare nelle classi delle scuole medie di Casablanca.
Misbah entra in contatto con il mondo della letteratura molto presto. Le ricerche scientifiche e pedagogiche in fatto di letteratura, arrivate in Marocco tramite l’Egitto, il Libano, la Palestina e la Siria, si rilevano molto importanti nella sensibilizzazione alla lettura «di migrazione» . Opere di scrittori arabi residenti in America ed in Russia, gli scritti delle nuove correnti di pensiero, delle due nuove Scuole letterarie Apollo e il Diwan, ma anche l’opera dei pionieri dell’epoca abbaside, influenzano i gusti dell’autore. A ciò si aggiunge il fatto che Titouan, città natale dell’autore, grazie alla posizione geografica, diventa un punto di contatto con la letteratura straniera; infatti, sin dagli studi liceali legge le opere di Pablo Neruda, Dario Ruben, Antonio Machado, Garcia Lorca, Rafael Alberti e altri ancora, arricchendo il proprio stile e scoprendo nuove forme del testo poetico, lontane da qualsiasi forma tradizionale.
Le sue poesie e differenti scritti letterari vengono pubblicati in diversi quotidiani, riviste marocchine e di altre nazioni. Inoltre, l’opera di Misbah spazia anche nella traduzione; egli ha tradotto un numero non indifferente di opere poetiche, teatrali, narrative appartenenti a scrittori spagnoli, cileni, boliviani, e del Nicaragua.
Di recente, ottiene due premi importanti: il primo dal Giornale «Al-Arab» di Londra e il secondo da «Dār Nu‘mān», premio alla cultura, per avere tradotto due testi teatrali di Garcia Lorca e di Gustavo Becquer.
Le opere pubblicate sono: H,ā’āt mutamarridah (1999), e Testi selezionati dalle poesie del capitano 2004".


Sogno


-1-

Sogno….
Sogno una donna capace
di scendere dalla costellazione dei pesci,
battezzata con l’erba
e con il profumo della terra,
una donna che lancia il suo grido
al volto del mare,
della sua tribù…
e poi si gira verso di me
per coronare con l’amore
e con il calore
la sua femminilità e la sua profezia.



-2-

Sogno…
Sogno una donna capace
di tramutarsi in una nuvola
dentro il mio corpo
e di formarsi come
un quadro dentro
le mie vene e arterie
mentre si sciolgono
i tesori della profezia
e delle parole
dentro il mio cuore.



-3-

Sogno…
Sogno una donna capace
di supportare la mia irruenza,
i miei capricci,
le mie follie
e tutta la pazzia dei poeti
e degli amanti
rimanendo indifferente.



-4-

Sogno…
Sogno una donna capace di
Permettere a quel bambino addormentato
dentro di me di rompere l’idolatria,
le tradizioni,
e i costumi di una donna orientale,
una donna capace di
mandare al diavolo le tradizioni infiltrate
sotto la nostra pelle,
i nostri cuscini,
una donna che capovolge
la storia inculcata
e gli dei degli idoli.



-5-

Sogno…
Sogno una donna capace
di disegnare la costellazione dei pesci
con i colori di un arcobaleno,
e delle lettere…
Una donna che mi fa entrare
nei suoi pascoli
per dividere con me l’alba verde,
il bruno pane
e un po’ di fichi,
una donna che divide
con me il vasto mare,
la lingua tatuata con la poesia,
con i baci e con lo splendore.



-6-

Sogno…
Sogno una donna capace
di rinnovare la passione di giorno,
la pazzia di notte
e di scendere per
due
dieci
mille volte…
dalla costellazione dei pesci
verso quella dell’ariete,
con delicatezza
per mettere sopra di me
il bel vestito reale,
e farmi sedere sul trono
così da governare il regno
degli amanti
e quello dei poeti
sino all’ultimo respiro
e quando sarò
schiacciato dalla ferita verde
e dalla tristezza verde
lei mi accoglierà
come un bambino
appena tornato dai banchi della scuola
e mi darà il suo seno fatto
del profumo della terra,
del sangue dei martiri
e del polso dei poeti…
senza curarsi di nulla.



la versione in arabo la trovate qui

.

giovedì 2 aprile 2009

Gianluigi Cannella



Gianluigi Cannella segue da alcuni anni i miei corsi di poesia presso l'associazione culturale vicentina Artemis. Dall'inzio in pratica. Non per questa ragione la sua poesia merita di essere conosciuta, bensì perché ha raggiunto una maturità certa.
Connotata da numerosi segnali paratestuali (numero assoluto, titolo, data e, talvolta, ora), che la incorniciano sia rispetto ad un inizio creativo di cui si è perduta la memoria e sia in relazione ad un hic et nunc carico di drammaticità, questa poesia procede per sintagmi analogicamente combinati, ma non lasciati all'arbitrio indiscusso dell'inconscio. con esso dialoga infatti l'intenzione morale, la lucidità intellettuale che guarda e seleziona la materia incandescente, così da fissarla ad una temperatura internamente ancora ricca di calore, ma solida in superficie. Come ho scritto nella prefazione al volume "Orizzonte terraqueo", curato dal Laboratorio di Lettura e Scrittura Poetica di Artemis e da Pittori in Acqua, nel 2008, "i versi di Gianluigi Cannella, veri e propri sentieri per viaggiatori che non temono l'ignoto", rinnovano la coscienza, "così che la conoscenza del mondo sia più profonda, meno prigioniera dei luoghi comuni. [...] In essi, infatti, nulla è scontato: né il paesaggio né il soggetto che lo nomina, con ciò tenendo il lettore sul filo del dirupo, là dove conta il pensiero mai pensato e il gesto creatore"



1729 SENTENZA


In direzione delle emozioni l’innocenza di un dio adulto
quello di una fede ipotecata fuori dalle sfere rotonde
che vuole incontrarla solo all’inizio della fine
facendo gossip da luoghi instabili attraverso la crocifissione di natale.

domenica 18 marzo 2007 - h. 01.50



1748 ESISLIO


In esilio per non morire camminare sui vivi
attraversando la libertà su un marciapiede che non sopporta il silenzio
profeta sopravissuto all’estinzione perché vivi uomini diversi
immortali per chi confonde il chi come dove quando
con i perché degli innocenti
con i mai dei colpevoli confusi dalla vista
dal tatto
dall’olfatto per il gusto della morte
nutrita dai corpi rimasti normali anche nei giorni diversi.

giovedì 9 agosto 2007




1759 OSSIGENO

Procurami ossigeno è diventato un mestiere mi assale la morte ascetica
l’avvicinarsi davanti all’entrata della via lattea
di una famiglia sintetica incriminata dal figlio prediletto costringe
l’uomo nella camera iperbarica sventrato dal buio solido.
Depredare la verità dalla parola dove inizia la figura di venere
con giove protettore complice il dio della guerra che si suicida
tra falene palafitte e caverne di vetro narcotizzate
non dormo mai fino alla fine del silenzio.

Domenica 28 ottobre 2007



1803 ARREDAMENTO D’INTERNI


L’edera soffoca più veloce di un cuore a sonagli
dichiarazioni d’intenti di guerra di pozzanghere d’acqua nera
biasimare tanti perdoni interno terra-pieno
ipermercato dove metti i piedi arredamento d’interni
sembrano gli stessi piedi da questa parte del viaggio
non valgo soldi valore di un amore graffiato dagli orologi
dell’ultimo bicchiere di tè aspirato dall’acqua piovana
con la possibilità di annegare se allargo le braccia
per nuotare potrei essere appeso al solaio vecchio
fuori all’aria resto fermo se mi muovo
se non fossi mai tornato mano a mano che il prezzo lievitava
alla borsa dell’anima di notte passo dopo passo
il fuoco affoga l’acqua non si fermano le mani
accavallate sulla lingua nera sporca la pioggia sui piedi nudi.

Mumbai sabato 14 giugno 2008



1787 ANIMA ANALFABETA


Questa sera voglio che mi trovi sveglio come un santone
in un cucchiaio di fame, per un urgenza
per un’attesa insolita rimasta ferma
nella corte moderna del sonno
dove il dio algoritmo e androgino con l’ anima analfabeta
organizza nuclei di scorribande religiose
zero preti, zero due e zero zero, al traguardo
altre sottovoci zero virtù.
Questa mattina voglio che mi ritrovi addormentato sulla guerra
senza fame, reclutando una sedia qualsiasi
per una donna vista una volta per sempre da uno mai incontrato
superando tutti i santi del calendario.
Mi sono svegliato in un bicchiere di acqua vuoto senza sete
immaginando giardini pensili promessi da altri almanacchi senza rito
senza numeri senza parole combattendo una guerra di codici criptati
dove ci siamo promessi di non vivere mai da soli
al di fuori di questa vita.

domenica 20 gennaio 2008 h. 02.37




1790 NOI


Quando non c’è, io
quando, quanto donna
perché sempre conto il tic dei nervi
la voce bassa, io crudo grido che cuoce
parlo silenzio non vedo il tu che tace
animale che posseggo il tuo segreto che ascolti
tu parola.

mercoledì 20 febbraio 2008




1805 DENTRO L’ALBERO BAMBINO


Il sonno se fosse fame aritmetica
prendo il verbo essere senza oscurarlo
non abbaiare e poi sciolto il sapere dei silenzi intatti
silenzio rigido incorruttibile complice del buio
di traverso quanto un amore che mangia l’area quadrata del tempo
lo spazio l’ovale delle forme ambigue e quelle precise
di un altro passato
trangugia un futuro più che da indovinare da costruire
verità virtuale a velocità del silenzio virale
un contratto di luce bianca
con l’amore fregiato di eccesso ordinato con catene di cotone
colare come miele sopra gocce di saliva
dentro un focolare lento all’apice dell’incendio
e dentro l’albero di natale da lacerare vivo
toccare e prendere in mano la corteccia dura
far cadere a terra la linfa senza farsi male
due occhi grossi caduti dalla sedia alta sull’angolo del camino
cancellare le frasi d’amore dalle fotografie ingiallite
tagliare i sostantivi consumati dall’attesa
in una fossa comune, dove sei, quello che cerco
lungo fossati svestiti sulla tavola rotonda dove un posto vale l’altro
è la che si curva la mente rimasta senza racconti
dei vecchi si ha la tenera età del sapere invano
prima di avere voglia di vivere ancora tutto
tutto il resto che suggerisce la terra.


giovedì 21 agosto 2008




1816 AMORE CANE


All’ordine del giorno amore cane arresto il cuore
lo porto nel labirinto osé del cervello, lei l’amore che non è
vado lontano arriva prima l’ombra poi l’oggetto
il soggetto la forma più riconoscibile non si riconosce
sotto una luce accecante non conosco nessun animale
che faccia l’amore guardando negli occhi
ma tu che mi guardi non ti ho detto sì.

lunedì 12 gennaio 2009



Gianluigi Cannella, nato il 30 dicembre 1949 e risiede a Castelgomberto (Vi). Scrive poesie dal 1968 e dedica una breve parentesi alla pittura tra il 1966 e il ’72. Fotoamatore, ha sempre associato la poesia alla fotografia, ritenendoli due «luoghi di ricerca dove posso star bene, ritrovarmi e ritrovare le cose di ieri, vedere meglio le cose di oggi». Frequenta il Laboratorio di poesia condotto da Stefano Guglielmin da otto anni; ciò gli ha «permesso di entrare dentro la poesia e capirla, capire non tanto cosa si vuole dire, ma come dirlo, farla diventare una comunicazione emozionale». Nel 2005, la personale poesia-fotografia Dalla nascita alla vita, racconta le stagioni di un uomo, che sarà presto presentata su Magazine periodico online del forum italiano dei fotografi del sistema reflex, 4/3 photographers di Olimpus. La personale fotografica Bianco Colore, imperniata sul viaggio fatto in Perù nel 2006 e realizzata nel febbraio 2007 presso Palazzo Pisani a Lonigo, è ancora motivo di “ricerca poetica”. Nel 2008 esce nell'antologia Orizzonte terracqueo. Cannella è ancora inedito in volume autonomo.