Sorprende piacevolmente ricevere una lettura di un proprio libro, dieci anni dopo la sua pubblicazione. Un grazie a Giorgio Linguaglossa.
C’è bufera dentro la madre è la storia di un perdersi
dentro il linguaggio materno e di un ritrovarsi in un altro linguaggio che si è
allontanato definitivamente da quel linguaggio. Il tuo linguaggio poetico si situa
in questa distanza, in questa tensione tra un linguaggio trovato e uno
allontanato, che si è irreversibilmente allontanato dall’alveo materno. In
quanto il linguaggio poetico è sempre un non domato, un linguaggio di tracce
semi cancellate che baluginano nella pre-coscienza, senza mai riuscire a venire
completamente alla luce.
Tutto ciò che è, è tale in accordo a un preliminare orizzonte d’essere che lo dispone. Qui si pone l’attenzione però su una cosa fondamentale, che troppo spesso rischia di essere tra-lasciata, e cioè che questo orizzonte d’essere ha un punto di vista, così come un punto cieco, e mentre quindi riceve e dispone tutto ciò che è in accordo al suo senso, è a un tempo spalancato a partire da un qui, da un ci che ne fornisce l’orientazione. Questo ci dell’essere è appunto l’esserci. Ciò vuol dire innanzitutto che tale orizzonte, in quanto orientato, non è assoluto, ha un punto di vista che non può ricomprendere tutto ma che accoglie e rigetta, seleziona e dispone, proprio a partire da qui, dal ci che esso stesso è, e non da un astratto punto distante, neutrale e indifferente. Questo è il tema centrale della finitezza di cui ogni sviluppo metafisico dovrebbe farsi carico: ogni considerazione sull’essere in generale è già sempre posta a partire da una posizione ontica che ne determina in qualche modo l’orientazione, il suo carattere.
Qui alcune poesie.
caro Stefano Guglielmin,
RispondiEliminale mie parole sono soltanto uno spunto per una futura ermeneutica, non vogliono essere niente di più... è che la tua poesia è obiettivamente difficoltosa, oppone una resistenza, è come se si ritraesse in sé in una paratia difensiva. E poi, la distanza temporale è essenziale per parlare di un libro di poesia, occorre sempre una distanza temporale, perché io penso che solo essa ci può portare dentro la poesia. E poi penso che ogni ermeneutica sia la prosecuzione di una interruzione di un'altra ermeneutica rimasta interrotta, forse perché l'ermeneutica si dà come un procedere a zig zag...
Sono d'accordo sia sul fatto che la mia scrittura sia difficile e sia sulla necessità di dare tempo al testo di sedimentarsi in una comunità. Grazie per il tuo commento.
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