E' di recente uscito, per Transeuropa, Un gallone di kerosene, di Henry Ariemma, nato a Los Angeles nel 1971 e residente a Roma. Per Ladolfi editore pubblicato le raccolte
di poesie Aruspice nelle viscere (2016)
e Arimane (2017).
Scrive Plinio Perilli nella postfazione:
Conosco Henry Ariemma già da diversi
anni, e lo apprezzo per una sua indubbia, macerata e pulsante originalità, che
lo ha portato – da poeta (nato a Los Angeles ma ormai in toto residente
e radicato a Roma, italiano di lessico e di raziocinio), classe 1971, l'anno,
si badi bene sia di Satura, frutto senile di Montale, che di Invettive
e licenze, l'esordio lirico di Dario Bellezza – a poetare "del vivere
cuore che batte", ma insieme a interrogarsi sul Bene e il Male, le ansie
dell'esistere, il credo d'ogni fede, dolcezze o brutture del nostro pianeta
azzurro... Insomma gli equivoci, i dissidi, o viceversa le oasi, le concrete
speranze del nostro stesso Futuro; non più idealistico, evocato, ma realmente
gestibile, avverabile...
E sono passi nel recinto
quelli che più contano insieme,
unico sguardo tra blocchi
a parete grigia incollata malta casuale,
gettata, mai levigata al pavimento
di uno spazio dove contano profondità
e parole, anzi silenzi e gesti
Quasi il concetto, elaborato e
cadenzato in poesia, d'uno sviluppo sostenibile, così caro alle logiche
e alle strategie insieme dell'economia e dell'industria... Ma attenzione, non
inseguendo artefatte o ripensate comete sociologiche (l'idea magari, colorita e
aggiornata, d'una "società liquida" che veda e provveda – dogma
elaborato da Bauman), ma tuffato impavido in un agone dialettico e soprattutto
etico tra il Bene e il Male d'ogni destino, d'ogni progetto, d'ogni giornata...
Niente di nuovo sotto il sole, se perfino Leopardi non faceva che interrogarsi
al proposito, rispondendo(ci) con la consueta, elegante virulenza del suo
libero, pessimistico pensiero: "A veder se sia più il bene o il male
nell'universo, guardi ciascuno la propria vita"...
Stilisticamente – e vale per tutta o quasi la sua produzione – Henry
Ariemma parte da un incipit brevilineo, da un periodare eminentemente
lirico, in prosodia melodiosa d'accenti dinamici e d'intonazione... per poi
sempre più allargarsi, allungarsi, volutamente irretirsi, quasi impantanarsi in
una prosa lirica (potremmo dire in una
caustica sequela di polimetri, utili, anzi indispensabili per il suo
discettare all'unisono poesia e pensiero, filosofemi e gemme o gangli
sintattici, cioè a dire travagli confessati, enigmi adottati, utopie adempiute,
accarezzate, come un fioretto da eterno cresimando, un fervoroso e liturgico
(ma più che laico, s'intende!) atto di dolore:
Mi chiedevi di questa pesca, lo
strascicare di chiodi e chiavi
a pezzi di ferraglie, del bottino
lasciato ai sogni di mezz'ora
ogni giorno tra libri e finestre aperte
a vedere fuori senza le case
viste lunghe le aperture di libertà
come uno spreco solitario...
Noi amici, attirando al cemento la
bibbia e l'uccello di una gabbia aperta.
Per una generazione come la sua, fin
troppo spesso risucchiata da epigonismi di
maniera (l'orfismo facile, peggio: uno
sperimentalismo recitato asettico, anaffettivo; poi la retorica dell'impegno
come categoria sia dell'Avere che dell'Essere – per riprendere la
felice cabala di Erich Fromm), è già un bel risultato d'indipendenza, e in
fondo anche di perfetto Libero Arbitrio, quanto all'aggirarsi e al resistere, o
se possibile anche prosperare, nel felice habitat, consesso, più che
recinto, della Poesia...
Ha infatti già un suo percorso, Ariemma
una piccola e balda seri di libri, segnalazioni in concorsi onesti e da giurie
patentate (quella ad es. del Premio Anterem). Noi stessi gli recensimmo
volentieri altri testi, altri viaggi espressivi; ad esempio su
"Gradiva", nel 2013, il volumetto Temenos, apprezzandone
già allora lo stile "integro e insieme mobilissimo."
... Ma il linguaggio ci chiama e allora
ci ricordiamo che Témenos (la cui radice verbale è in témno, da
cui il lat. "templum") significa terreno sacro, sacro recinto,
santuario... Ecco, per squisito paradosso, il senso che Henry attribuisce al
linguaggio, forse alla stessa poesia, per il suo eterno, antibabelico dono
oracolare...
Un gallone di Kerosene – questo
titolo adesso sì amerikano, perfino nell'unità di misura del
"gallone" che sono all'incirca quattro litri – merita tutti gli elogi
precedenti e forse questa volta segnala, rappresenta, addirittura una marcia in
più. Per felicità inventiva, vigore visionario, multiespressività d'uno scibile
che si prova, i problemi, ad annetterseli tutti, ed affrontarli poi tutti, con
estro e con pazienza...
Una vita in salita, riconosciuta ai
pregiudizi,
viltà del dare terrore per il gusto di
farlo
e non ci sono montessori né isole
felici
perché sono isole per qualcuno, lager
per altri...
Ci piace, lo ripetiamo, il piglio,
l'energia di Henry – suoi da sempre – sia nel dissidio, certo che sì, nella
protesta (come si diceva una volta), che ora nell'adesione, nell'operoso
instancabile struggimento della vita d'ogni giorno:
Padri senza pietà, alla persa vita,
al dare ragione a chi infligge: siano
medici o dentisti,
maestri o vicini, familiari e
sconosciuti
ad aspettare un proprio turno sulle
poltrone rigide
Una libertà non è mai mancata – questo
è vero – se si chiede alla propria poesia di raccontarla, potenziarla,
circoscriverla... Ma che sforzo cocciuto, quale esimia possanza!
... E se non si esce più perché
inadeguati al mondo,
senza vestiti con maschere più ridicole
delle maschere fatte in proprio per risparmiare?
Qui non ci sono più maschere,
ideologiche, comportamentali, meno che mai stilistiche... Torna semmai il suo
breve/lungo percorso per liberarsi non dal Male cantilenato e temuto dal
"Padre Nostro", ma pensato e ponzato dalle cronache usuali, anche
ardite, dell'intelletto e dal polemos dell'inconscio... Ricordiamo bene un
impavido passaggio dal suo libro precedente, Arimane (2017):
"Il male libera. / Fa capire ogni bene / e vede prossima gratitudine
/ alle domande insignificanti / dell'andare oltre: / respinge alte le onde /
sulle stesse orme. // Il tacere frutta / solo bacche amare / lavorate per dolci
inganni."...
Un ansioso ma attrezzato e già allenato
illuminismo, quello di Ariemma, che Giulio Greco aveva ben esemplificato:
"... non si inoltra in un cammino filologico o storico che riguarda lo
zoroastrismo, ma si pone di fronte al perpetuo interrogativo che da millenni
dilania l'umanità: Si Deus, unde malum?"...
Ora il cerchio si chiude, e l'autore di
Temenos, o anche Tuba mirum, insomma il reoconfesso Aruspice
nelle viscere (2016), dismette ogni esitazione, cancella ogni dubbio. Oh,
la poesia non è più solo il sapere,il continuare a dirsi, o solfeggiare, aulici
e affranti, Spesso il male di vivere ho incontrato... ma molto più
vivere, e non solo sopravvivere, a questa continua perdita di serenità. Il
linguaggio ce lo fa scrivere, la mente capire, il cuore accettare... Ma ora ci
vuole più fede, una fede salda, non recitata né blandamente acquisita.
Come parola che parla
scarna la vita stessa
avvolta ironia e bellezza:
Ti chiedo il dare
e fare per fare e dare, basta.
E dobbiamo poi tornare ad essere, ma
per davvero, amici degli altri e di noi stessi, della nostra anima,
quasi pacificata, e dell'Altro da Sé...
Tutto il libro è un inno, affranto
infranto e ricomposto, all'amicizia che possiamo essere, incontrare,
frequentare vivere nutrire ricambiare...
Domato inferno sopra le linee, /dolci
colline schiarite orizzonti... Che bello quando i versi dipingono, accompagnano
contorni d'immagine, luce e colori di nuova significanza... Questo è già
approdo di poesia – orizzonte redento proprio come lo redime un quadro, lo
salva e affranca un artista...
Il che – ha ragione Henry – è già il
viatico (e il messaggio) per ogni "cenno stoico possibile".
Poesia di un nuovo, giovane stoico –
questa di Ariemma: perché no? Prima c'è il sentimento, poi il sentire... Lo
diceva già Max Jacob, grande poeta e nobile, concreto esempio d'impegno ed
eticità: "Nella sintassi si rivela l'individuo", scriveva. "La
parola è molto, tuttavia è la frase che porta l'emozione". E ancor più il
verso, i versi. Questi di Henry Ariemma:
"E la tua parola migliore? /
questo silenzio dosato esempio, / occhio al lungo guardare"...
da Henry Arienna, Un gallone di kerosene, Transeuropa, 2019, euro 15,00
Erano
lunghe figure i tuoi disegni,
occhi
ubriachi felici al sorriso
aperto
un mondo,
linee
decise per motore
al
solo cuore, sguardo per carpire
fermezze
in mani arcobaleno...
E
i vestiti sono state le mie favole,
creta
a stringere città per parole nuove,
indovinelli
al navigare
pesce
in carta di scatola blu
brillando
polveri, oro ovunque
sulla
pelle nella fronte e palpebre: luce
di
questi sogni incollati ai tuoi,
due
monete fissate insieme nel gioco per sempre.
---
Un
gallone di kerosene
mi
hai chiesto di comprare
-tanto
non ci sai arrivare...
E
spiegavi la strada
e
ripetevi nuovamente
la
parola appresa
per
considerarti...
Non
è stata quell’odissea arrivarci,
a
dire il vero sono stati da bambino,
occhi
a colpo sicuro:
c’era
il vecchio con cappello
e
camicia come dicevi...
Aveva
la barba incolta e voce
fumata
tra i barili ossidati...
Alle
sue parole vedeva le mani
col
vuoto e prendeva un imbuto,
il
barattolo a fil di ferro e travasava
piano
a poca schiuma con l’odore acre
dappertutto
tra il rumore sordo di lamiere...
Nel
cartello c’era scritto, sbavato:
tre
litri mille lire e allora poco più per quattro.
Ti
ho voluto sorprendere facendo di corsa
a
sentirmi dire: "già qui!”...
e
hai sentenziato vedendo il pieno: "la prossima volta
con
te risparmio le parole visto che sei uno che capisce,
finalmente...
---
Per
amico, sei fratello a vederti…
Sorriso
e gesto senza parole:
e
non ci sono incontri
né
momenti al sentire
di
quest'anima appartenere...
Sei
amico con l'andatura
sicura
dei gesti posati
al
mondo che gira e non sente,
domato
inferno sopra le linee,
dolci
colline schiarite orizzonti...
E
la tua parola migliore?
questo
silenzio dosato esempio,
occhio
al lungo guardare
cenno
stoico possibile,
in
nuce del fare.
---
L’inizio
è di terra
ora
spazio non lastricato
nelle
linee, quadrato
rimasto
foglie e radici
come
pelle ai vestiti
del
vivere cuore che batte
più
di amore, amicizia.
E
sono passi nel recinto
quelli
che più contano insieme,
unico
sguardo tra blocchi
a
parete grigia incollata malta casuale,
gettata,
mai levigata al pavimento
di
uno spazio dove contano profondità
e
parole, anzi silenzi e gesti
come
ai nove anni legando una calamita:
filo
lungo al camminare sotto i rami e scavare
foglie
pestate dai tanti aprendole acqua passata:
rotte
sfumato marrone al cielo argenteo
di
monete e tappi in ruggine, calcinacci comuni
adottati
figli del cammino...
Mi
chiedevi di questa pesca, lo strascicare chiodi e chiavi
a
pezzi di ferraglie, del bottino lasciato ai sogni di mezz’ora
ogni
giorno tra libri e finestre aperte a vedere fuori senza le case
viste lunghe alle aperture di libertà come uno
spreco solitario…
Noi
amici, attirando al cemento la bibbia e l’uccello di una gabbia aperta.
---
Quando ti fai la coda
cammini distratta al mondo...
Sei bellezza statuaria
agli sguardi che non vedi
e senti sul mento alzato...
Il rombo di braccia al collo
scopre i seni...
Per vederti vista con le mie foto,
mantide in luce rosa a pranzare
divorato cuore, saziata vanità,
e allontanato amore.
---
Non
avere nulla, è meglio di vivere?
Abituati
a non avere niente
perpetrando
non vivere,
non
amore, mancato possesso
senza
ragionare fede allo scopo
ultimo
che premi questo dover rinascere
nuova
pagina consapevole a quella scritta,
sovrascritta
specchio in ombra, spento sole?
È
chiamare vetri i cristalli brillanti
perché
persi inestimabili?
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