E
allargando ancora un po' il discorso, con questo nuovo avvicinamento alla
poesia, si può benissimo riscontrare come i due orientamenti, quello poetico e
quello filosofico, generalmente tendono a confluire verso una stessa verità,
quella appunto della advaita di cui sopra.
E
anche qui chiarisco il mio pensiero con un componimento brevissimo, tratto da Bilico pag. 55 in Poesie 1954 – 2004,
nel quale, rivolgendomi alla divinità dico:
La carne è buia e
l'ansia delle reti calate
in alto
ti coglie in qualche morte
di innocente.
Vivo e murato in me.
Destino estremo.
Ecco,
da questa lirica si evince che in fondo a noi stessi (e quindi in fondo a
tutti) c'è un principio divino che ci desta alla vita (possiamo anche rileggere
la primissima mia poesia di Poesie 1954 – 2004: emersi, sorpresi
nell'aria...) E se non lo riconosciamo immediatamente (ma questo lo sto
dicendo ora che scrivo) è perché un 'io' trionfante e tronfio, obnubila
e altera ogni verità profonda: viva e murata in noi.
Ma
esponiamo anche un'altra mia poesia (senza titolo) in cui in un impeto poetico,
la stessa divinità è chiamata a partecipare a una fulgida giornata estiva:
da Dismisure pag. 64:
In tanto io
sono in quanto tu sei con me
Nicolò
Cusano
In questo giorno che di sé inonda
tutto il mare e tutta l'estate,
si disgela la tinozza dell'eterno.
Qui, sotto il mio segreto sguardo.
Le cose, al largo,si raccontano in luce
e golfi di luci, vibranti e deliranti.
L'armonia è nell'attimo che, pur brivido,
sembra fermarsi a contemplare.
- Severo diapason della mente
che come treno al palo:
osserva, accoglie, registra.
Ed è l'eterno che, uscito in strada da me,
da te... da tutti... qui, ora,
si lascia cogliere nel suo abito di fuoco
del mezzogiorno estivo.
Ferro rovente del fabbro che batte
sull'incudine. Cuore orfico dell'etere
pulsante in ogni fibra a modellare il cielo
e la terra. Sagace fucina d'un forte narcisistico
specchiarsi. Trasparenza e agio del mondo
liberatosi dalla culla del nulla e
rivelatosi in noi.
E specchiandoci... tutti a bere, anche Dio,
l'intenso fulgore del giorno quando l'anima
e le cose
cantano l'inno-ferita dell'esistenza.
A me non viene in mente alcun accostamento. Spero nell'intervento
degli eventuali lettori.
Infine due brevi poesie che sembrano avere latamente
lo stesso sfondo pur essendo temporalmente e geograficamente molto lontane:
Terra,
monti, fiumi − celati in questo nulla.
In
questo nulla − terra, monti, fiumi rivelati.
La primavera fiorisce, l'inverno fa scendere la neve.
Non vi è essere o non essere, non vi è neppure negazione.
Non vi è essere o non essere, non vi è neppure negazione.
Saisho poesia zen
Saisho poeta zen, astraendosi dall'intelletto, si scopre
immerso in un mondo appartato, pacificato. Emerso dal silenzio e immerso nel
silenzio. In cui non vale la domanda di essere o non essere. Il tempo è in
cammino. Si susseguono le stagioni. E tutto è assorto ed estatico. Si esiste in
dolcezza e senza alcun perché. In tanta beatitudine scorre il senso della perennità
silenziosa. Operante. Sospesa
A questa poesia zen associo una mia poesia senza titolo, e di
due soli versi. Da Iridescenze:
All'alba la mattina si erge
sempre senza nome.
Perché
senza nome? Perché l'alba, e tutte le cose e tutti i fenomeni di cui
pullula l'universo, se nominati restano catturati e circoscritti dall'io...
nell'io... Catturati dalla intellezione. Mentre in sé tutti i fenomeni sono
evanescenze effimere aperte a tutte le interpretazioni. Gli indiani chiamano
l'apparire del mondo la grande Maya, la grande illusione. Non nel senso
della non esistenza di questo fenomeno (l'apparire del mondo), ma nel senso che
questo fenomeno può assumere valenze e forme diverse in relazione alla natura e
alla sensibilità di chi osserva. Questo avviene perché la realtà, come alcuni
fisici cominciano ad asserire (e l'abbiamo già detto), è co-creata dall'uomo.
L'alba senza nome significa – per limitarci agli umani – che ciascuno
vive l'alba dal suo interno e a suo modo, e arriva fin dove la sua sensibilità
lo 'conduce'.... Mentre se nominata, l'alba diventa una cosa tra le cose
(nominate anch'esse). Questo distico parla della beatitudine e della
infinità del tutto, alba compresa. Spetta a noi – cosiddetti civilizzati e
cosiddetti intellettualizzati – saper cogliere la sacralità del
mondo come generalmente accadeva fino a pochi secoli fa. Nell'alba (così come
in altri fenomeni), immedesimandoci, noi possiamo espandere noi stessi. Senza
fine. E certamente ritrovare qualcosa di essenziale di noi stessi. Testimoni e
fruitori privilegiati della vita, della bellezza. Dell'infinito.
E
ancora due poesie che lasciamo alla sensibilità dell'attento lettore: La prima
è di Blake
Vedere
un Mondo in un granello di sabbia,
E un Cielo in un fiore selvatico,
Tenere l'Infinito nel cavo della mano
E l'Eternità in un'ora.
E un Cielo in un fiore selvatico,
Tenere l'Infinito nel cavo della mano
E l'Eternità in un'ora.
Mentre
la seconda è mia, tratta da Esperidi:
Ansie che girano nella vagabonda sera.
Siamo tutti l’Aprile d’un mattino che stride.
Osservo nell’occhio del bruco la tempesta dei mondi.
Affidata alle ombre la gioia e il grido dei giorni.
Considerazione
finali.
Se
pensiamo che tra filosofia e fisica teorica c'è già da un certo tempo,
un'innegabile convergenza, ecco che forse la mia idea di poesia perennis
può non essere molto audace. Ci sono libri che attestano come già alcuni
fisici si occupano di filosofia e come alcuni filosofi si occupano di fisica
teorica. Ricordiamo pure che Democrito, il padre dell'atomismo, era fisico e
filosofo. Che Parmenide era poeta e filosofo. Che Lucrezio era poeta e fisico
dal momento che il pensiero di Democrito non è andato perduto solo perché è
tutto dispiegato nel De rerum natura. Che tutti i filosofi presocratici
erano essenzialmente dei poeti ma anche dei filosofi etc.
Concludo
dicendo che la poesia, come la filosofia, non potrà mai morire (anche se è
morta per il grande pubblico) perché la poesia è il riaffiorare (debordare,
traboccare) dell'anima. Al massimo potrà diventare arte di élite, come del
resto sono già sia la filosofia che la fisica.
Tutte le
religioni, le arti e le scienze
sono rami
di uno stesso albero.
Albert
Einstein
Matteo Bonsante è nato a Polignano a Mare, vive a Bari dove
ha insegnato nella scuola secondaria superiore.
Per la poesia ha pubblicato:
Bilico,
Forum/Quinta Generazione, Forlì 1986;
Zìqqurat,
Centro Stampa 2P, Firenze 1996;
Sigizie
(Poesie d’amore), Adriatica Editrice, Bari 1998;
Poesie
1954 – 2004 (libro ricompositivo comprendente i già citati e le raccolte
inedite: Esperidi, Nugelle, Prime Poesie) Aliante Editrice, Polignano a Mare 2004;
Iridescenze,
Aliante Editrice Polignano a mare 2007;
Dismisure,
Manni Editore, Lecce 2010;
Simmetrie, CFR editore 2013 Piateda (SO)
Lapislazzuli, CFR editore 2011 Piateda
(SO).Composto prima di Iridescenze ma pubblicato solo nel 2011
Per il teatro ha pubblicato
Caldarroste,
Lo Faro Editore, Roma 1981
Dietro La Porta,
Tusculum Frascati 1984
Per solo donna,
Aliante Editrice, Polignano a mare 2004
Le talpe sono in volo CFR editore 2014
Piateda (SO)
La Marea (inedito)
Il concorso (inedito)
Per la narrativa ha pubblicato due
romanzi brevi
Una Linea di Fuga,
Adriatica Editrice, Bari 2001
Sperduto,
stampa in proprio, Polignano a Mare 2003.
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