Sergio Zanone è nato a Thiene (VI) il 6 Febbraio 1965. Diplomato presso il Liceo Scientifico Nicolò Tron di Schio, ha frequentato per un anno l'Accademia di Belle Arti di Venezia seguendo le Lezioni di Emilio Vedova; dal 1995 costituisce con Armando Bertollo il Gruppo ApuntoZeta.
Qui altre notizie.
Prolegomeni
Essere in sala d' attesa - In Limine - nel modo fondativo in cui si offre la
poesia, cioè nel silenzio dell' attesa. Silenzio della voce – apertura della
coscienza – che colloca l' Io al di fuori di se stesso – l' “ Io dovrebbe” - e
così, trascendendosi, stemperando la passione ( né felice / né infelice ), favorire
l' ascolto e la visione. Attesa stazionante – crogiolante concentrazione
(unendo i fuochi ) - visione dell' immediata vicinanza sotto una grigia pioggia
evocatrice o , forse , uno sguardo ancora più in là – nel passare, nel passato
dei vagoni che trascorrono come sogni, come ricordi - vedere, evocare,
immaginare fotogrammi, scialbe fotografie del libro-treno, dagherrotipi che si
confondono nel tempo uggioso eppure, ... barlume, eppure splendore - vite che
arrivano, rallentano, si fermano per un attimo e poi trascorrono sempre più
velocemente nel partirsi assordante della pellicola - vite- segni, epigrafi in
movimento destinate a non-essere-più (altro non c'è) : finzioni? Maschere?
Persone? Tutto ciò che, nonostante tutto, rimane tra il bene e il male, tra
delizia e sporcizia: l' umanità singolare di ogni figura – oltre le teorie,
oltre le cose – impressa in noi, impressa nella poesia: è questo un seme
seminato ed è un' opera di pietà quando la poesia chiama questo seme affinchè
possa germogliare ancora una volta almeno. Poiché il seme di ciascuna singola
vita è il punto e il limite , una impercettibile totalità – è ciò che rimane
sub specie aeternitatis (Anassagora, e non importa se fuori si muore e anche
dentro si muore) – infinitesima parte del reale, parabola evangelica, comunità
scintillante ( le sinderesi, i fuochi che si uniscono a poco a poco), nero seme
seminato sui bianchi prati. Non sono nominate, qui, le lacrime delle cose, ma è
proprio nell' evidenza della melancholia che esse si nascondono – malinconia
nostalgica o nostalgia malinconica – l' apriori del fuoco poetico, come ben
sapevano gli antichi (Aristotele, Seneca, Stazio, Cicerone ... sino a Petrarca,
Poliziano). Ogni pioggia sincera di lacrime è, pertanto, purificazione dell'
Io: voluptas dolendi, sublimità elegiaca. Come un manto battesimale le figure
di Stefano Guglielmin ci avvolgono e ci salvano dall' esistenza, poiché sono
figure dell' eternità e ci donano la loro eredità spirituale, il loro
essere-stati. Il libro di Stefano attinge quindi all' antica verità sapienziale
dei Salmi penitenziali; è un gridare dall' abisso all' abisso ; e non possiamo
dimenticare che, quando alla stazione salutiamo coloro che partono forse per
sempre (mentre siamo noi , invece, ad essere sul treno) , con la mano pensando
“Ciao cari”- solo allora, con le parole del Petrarca (Salmo II della
Devotiuncola) , succede:
10 Ma tu, Signore, questo sasso gemente frangilo,
acque di fonte erompano dal durissimo
smalto
11 Limpide fonti sgorghino
colando poi nel brago
dove sempre si tuffa orrido il porco selvatico
Né a me sembra troppo azzardata questa comparazione letteraria dei testi di
Guglielmin con uno dei padri della letteratura italiana, dal momento che la due
citazioni introduttive al libro Ciao Cari,
tratte dai poeti Antonia Pozzi e Pierluigi Cappello, presentano pregnanti
riferimenti anche topologici alle strofe 5 e 6 del Salmo I di Petrarca:
“Morire è questo/ ricoprirsi di rovi/ nati in noi” (A. Pozzi)
5 Mi travagliavo e godevo nell' angoscia/ disteso sui rovi del mio giaciglio
(cfr. e si semina altra delizia dentro di noi, altra sporcizia)
e
“Come una nevicata leggera/ ho sognato di raggiungere i miei morti” ( P. Cappello)
6 Mi addormentai per morire/ sperai riposo tra' tormenti.
Post-prolegomeni
Se le poesie avessero
un sesso- e non è detto che non ce l' abbiano- In limine ( la poesia
introduttiva del libro Ciao Cari di Stefano Guglielmin) sarebbe
femminile; non donna nel senso
eckartiano del termine - cioè compiutezza materna dell' anima che ha generato suo
figlio - Lia, che è viva perchè d'
altra specie e poi crede in Dio, nella
sua pancia di femmina - ma piuttosto donna nella figura della Κόρη (Kore) -
fanciulla pupilla dell' occhio ( è Stefano stesso che ce lo dice nella poesia
Ketty La Rocca: vede e non vede / tocca l' occhio, lo specchio; dal
punto di vista psicanalitico la donna sterile
è pura finzione, feticcio
sessuale, mezzo per elaborare la pulsione di morte che per
Freud compete esclusivamente al maschio consolandolo sino all' infinito del piacere, al dolce sonno
letale, alla letargia ( Luce Irigaray, Speculum, Feltrinelli ed) ) – speculum unheimliche (perturbante) –
materia prima ( πρώτη ϋλη, Aristotele)-
ευέργεια (energia) immanente alla ricerca di una forma - favilla
che dall' oscurità compare per un momento e poi scompare – fiore reclinante delle rêveries poetiche ed
alchemiche- metafora della poesia: pura espressione della libido femminile da Freud mai postulata e, quindi, sin dal principio
ere/otica: privata dal canone (psicanalitico, ma anche letterario) della
possibilità di una qualsiasi rappresentazione se non sul piano dell' immaginario
poetico, irreale, del non-essere ( fingere
che ci sia stata ... altro non c'è) .
Di carne al fuoco, o
meglio di materia oscura su cui meditare, ce n' è forse troppa; ma, prima di
proseguire, è meglio fare alcune considerazioni sul titolo stesso della
poesia. In limine , dal latino : “nel confine”, ma anche dimora, casa e
per sineddoche ( la parte per il tutto: concentrando l' attenzione, mettendo a
fuoco: unendo i fuochi tra poco e poco) stanza, sala, camera e così via
sino al limite (assonanza con limine) che per il poeta è il luogo dell'
intimità, il punto in cui qualsiasi forma scompare nell' inafferrabile,
inattingibile (altro non c' è), misterico, vuoto uterino (Hystere)
femminile (Donna, mistero senza fine bello) rivelando la ... presenza dell' assenza (sì, la Mater
in-significata di Plotino, l' impassibile, trasparente, vuoto ricettacolo di
tutte le forme). In ebraico la lettera iniziale con cui inizia la Bibbia, la via della creazione, è proprio la
lettera “B”, Bêt ( ב ) : seconda lettera dell' alfabeto ebraico, termine che
significava casa (con la porta aperta) e che usata come simbolo aritmetico
indica il numero due. Figura la casa metafisica d' ogni essere umano e al
contempo l' intero creato, quale casa di Dio ... la casa dello studio, il luogo
intimo, appartato, delle visioni del mistico ... nel mondo ma non del mondo ...
la bocca dell' uomo, il suo intimo. ( Gabriel Mandel, l' alfabeto ebraico,
Mondadori ed.) Lettera il cui valore simbolico secondo Alfred Kallir (Segno e
disegno, Psicologia dell' alfabeto, Spirali ed) evoca il profilo della donna,
il suo seno, la sua bocca ... adombrando così,
attraverso il simbolo, la
necessità di espressione del λογος (logos) : la sua volontà di esteriorizzarsi, di attualizzarsi mediante una parola (il Verbum: cfr. la dialettica
medioevale della parola interna – parola esterna ) che nell' aprirsi
delle labbra esplode e si rivela come ...
suono significante: carne ( Il Verbo si fece carne attraverso il corpo della donna). Il
femminile, misterioso vuoto d' essere dell' Esserci, perturbantemente ed
angosciantemente privo di rappresentazioni proprie, limite tra realtà e trascendenza, manifesta la propria energia ( la libido
femminile che almeno qui, nella poesia, esiste)
come un' aura evocativa (cfr.
Carlo Sini), come profilo generativo delle idee e delle immagini poetiche. Ecco, ci sembra quasi di vedere Stefano Guglielmin nella sua piccola
stanza, l' autentico spazio del lavoro solitario, il cerchio rischiarato dalla
lampada, dire con le parole di
Gaston Bachelard (La fiamma di una candela, SE ed.): “Come la lampada di
un tempo concentra nei miei ricordi, la dimora ... la solitudine
si accresce se, sul tavolo illuminato dalla lampada, si apre la
solitudine della pagina bianca ... allora la pagina bianca è un nulla, un nulla
doloroso, il nulla della scrittura. La pagina bianca, la Kore della
scrittura. La pagina bianca impone
silenzio. L' “incisione” ha allora due poli, il polo della lampada e il polo
della pagina bianca. Ed infatti due sono i fuochi nella poesia di Stefano, ed
assai vicini (unendo i fuochi tra poco e poco): il fuoco della pagina
bianca (della Kore) ed il fuoco della lampada, questo essere intimo, questo
essere doppio che ci assomiglia come un fratello! Sembra che l' evocazione di
una lampada susciti inevitabilmente una risonanza nell' anima del lettore che ama ricordare. Un
alone poetico circonda la luce della lampada nel chiaroscuro dei sogni che
ridanno vita al passato. Attraverso la lampada una felicità luminosa s' impregna
nella stanza del sognatore:
La chambre s'étonne
De ce bonheur qui dure
( Stupisce la stanza/di
questa felicità che dura: Georges Rodenbach, Le Miroir du ciel natal)
..alla ricerca di
quell' essere che non è al di sotto . E' al di sopra, sempre al di sopra. Con
le parole di Stefano Guglielmin: Il mondo in una scatola buia, il suo
lumicino/ tremulo a dargli il fiato che merita. Tuttavia con l' al-di-sotto è sempre
necessario fare i conti poiché la vita, e così la poesia, non può
manifestarsi se non attraverso una dialettica degli opposti (accidenti) che
oscilla tra elevazione e profondità, tra felicità e disperazione, tra essere e
non-essere, tra delizia e sporcizia. Questa dialettica, solamente obliando le
passioni cioè razionalizzandosi filosoficamente,
diviene etica dell' attesa e della mediazione,
Etica Nicomachea (stare in sala d' attesa/ né felice né infelice). Ma
la poesia! ... ma la poesia, come lo specchio,
non scende a compromessi: entra ed esce, sale e scende, volge e rivolge:
spazializza, trasforma: sono proprio questi
i movimenti tipici che In limine
sono sviluppati da Stefano Guglielmin attraverso
a) l' esposizione sintattico-grammaticale del
dissimile (reversibilità degli accidenti = inversione speculare dello specchio
concavo, cfr. lo specchio come finzione dell'
apparenza, fonte del falso, nella filosofia antica ) nella struttura
della poesia (es. una vita – si muore / ti dico – mi dici / ti dico – scrivere
/ fingere – ci sia stata / i fuochi – piove / felice – infelice / fuori –
dentro / delizia – sporcizia)
b) la duplicazione del simile ( riflessione
speculare dello specchio piano, cfr. lo specchio come attività mimetica, fonte
della verità nel disvelamento della pura apparenza: la Kore specchio dell' occhio il cui punto
centrale di visione è quello che riflette con la massima purezza e che
corrisponde al momento in cui le idee, le forme
appaiono come profili luminosi di
buie impronte, ombre sullo sfondo abbacinante dell' Essere) nella struttura
della poesia ( es. poco – poco/ né – né / dentro – dentro/ altra – altra/ ice –
ice/ muore – muore/ dico – dico)
c) la rappresentazione dell' ascensione e della
discesa (dialettica dell' altitudine e della profondità) attraverso il
movimento dell' energia immanente ( la libido femminile) che ri-trasforma la “materia prima”, il sangue mestruale della Kore, in fuoco ( i fuochi) ed in
acqua ( piove): espressione
di un ciclico ritorno
dell'eterno che ha in sé il proprio motore (il telos, l' entelechia) e confina
all' oblio il punto d' origine del movimento operando
una frattura irreversibile tra il
tempo fagocitante (l' antico Cielo onnisciente, il Dio Zirvan mesopotamico, il Kronos dei greci, l'
Ahura Mazda- zoroastrico, il Logos ... e
per assimilazione anche
Freud, il Padre
della Psicanalisi e qualsiasi altra figura maschile simbolo del potere in atto) e la vita/poesia.
Ebbene, un filo sottile
collega In Limine ad alcune tra
le più belle poesie di “Ciao Cari” in cui il ricordo si configura nell'
essere-per-la-morte (fisica: di cancro oppure anche solo psicologica:
anoressia?): Antonella, Anonima (adolescente), Gina Pane: in tutte queste
poesie, meraviglia, è presente il fiorire. Antonella: L' ultima volta in
giardino/ pesavi metà di ogni cosa felice .... come se ci fosse una logica/
segreta che lega forbice a fiore : essere più felice di un fiore,
felicità fugace come di una scintilla
nata dall' oscurità ( l' uccello di
fuoco, la fenice, la colomba senza ali , la farfalla, la psichè ) ... sono veramente mirabili questi
versi, come ha giustamente riconosciuto
Giorgio Bonacini. Ed è proprio segreta
una logica che si contrappone al logos (aspetto un figlio: io aspetto
... Lia, la moglie di
Stefano, non compare ora poiché essa è viva, perché d' altra specie, perchè è atto; qui siamo invece nel mondo
del non-ancora, dell' aver-da-essere, del diventa-ciò-che-sei, dell' intimo
stupore), che si contrappone al pensiero
rappresentativo del poeta e di tutti noi destinati a
rimanere al-di-qua della frattura
( il silenzio dell' a-capo), immersi in echi ( ochi - oco – oco : i fuochi tra poco e poco .. Sei stata la prima a saperlo/ l'
ultima a partire ) che la visione istantanea del fiore ha prodotto. Questi versi di Stefano mi
rammentano una breve poesia di Guido Ceronetti, un poeta i cui versi sembrano
provenire dall' oltretomba dell' umanità ( Guido Ceronetti, Poesie per vivere e
non vivere, Giulio Einaudi ed.):
O
bellezza dei corpi, affocato
Stuolo
della miseria nella sera,
Come
in fretta consumi la tua cera
E
ne resta un odore affaticato.
La
visione e lo stanco. Vola via
La
colomba senz' ali col suo volo
Caduto,
io resto con le ali immoto.
Anonima (adolescente):
il buio che le brucia dentro/ l'
erba del suo minuscolo fiorire
Gina Pane: il
fuoco della spiga ... passando dal rito all' irto, non per il
rosa dei baci/ ma per le spine nella trasparenza dei traumi
Ciò che fiorisce, ciò
che è condotto a maturazione deve passare attraverso il rito del martirio (
irto = fuoco= spine ) , deve bruciare nel
fuoco: ti cibasti/ nel martirio dei segni; così il corpo- fiore illuminante, illuminato,
in un' altra poesia di Ceronetti, reclina
il suo capo: sopra il corpo-libro
si piega: ...il libro ne arde tra le due ferite ... di ogni sua solitudine si illumina... una sensibile testa
da piegare / gli parea avere di fiore. La logica segreta che lega
forbice a fiore esprime la necessità
di liberare l' energia vitale affinché non si fermi il ciclo della vita e vincola questa necessità esclusivamente alla essenza
femminile – alla Kore – alla poesia (cfr. il mito greco di Alcesti).
Degradando, in un certo senso, il “maschio” e relegandolo nella mera logica
della produttività. Nel linguaggio della psicanalisi, citando le parole di Luce
Irigaray: “Lei (la Kore) ricorda,
ancora e sempre, quel resto che negli specchi si dissolve, l' energia sessuale ( femminile) necessaria alla
elaborazione dell' opera (e che
quindi deve bruciare, non può “esistere”) della morte. La “donna” quindi serve da luogo – per altro
evanescente, luogo deiscente – e serve da tempo – eterno ritorno, deviazione
del tempo – per la sublimazione e, se possibile, controllo del lavoro della
morte. Lei inoltre è il
rappresentante-rappresentazione delle
pulsioni di morte che non si lasciano percepire senza orrore, che l' occhio
della coscienza si rifiuta di
riconoscere ( il perturbante) . Ma torniamo alla poesia di Stefano
Guglielmin: In limine. Qui l’energia
trasforma la materia e la raffina: la cera grezza della candela, la
“sporcizia”, il sangue mestruale della Kore ( che è rosso come il fuoco, lava ardente, fuoco liquido) salendo come una
linfa infuocata, attraverso la fiamma (
i due fuochi che si uniscono: il poeta
ed il foglio bianco) si purifica e diviene bianco, etereo; questa è l' immagine
simbolica del roveto ardente (martirium) i cui fiori sembrano staccarsi come
scintille ( le immagini della rappresentazione poetica) prima di scomparire (altro non c'è)
... prima di condensarsi nelle gocce
di pioggia ( stare in sala d' attesa quando piove, né
felice/ né infelice) che
fecondano la terra desolata donandole la
vita.
Complimenti Sergio,
RispondiEliminaper questo pae-saggio linguistico!
E Complimenti a te Stefano per la tua ottima poesia: matrice per riflessioni così originali, approfondite e ricche di... meraviglie.
Armando Bertollo
ottimo, emozionante.
RispondiEliminaDaniela Andreis