Lo
spettacolo osceno del corpo femminile in putrefazione corre lungo tutta la
modernità, da Baudelaire di “tu
sarai simile a questo / immondo grumo, a questa peste orrenda” a Gottfried
Benn, che ci descrive minuziosamente una ragazza riversa sul canneto, “tutta
rosicchiata” dai topi, fino alla liquefazione del corpo nella Valduga di Donna di dolori e, ancora più di
recente, nella donna morta in discarica, di Paolo Donini in Ablazione. La luminosa postfazione di
Gianpiero Marano a Il mio nome nel tuo
nome (Oèdipus, 2014) di Nicola Ponzio ci ricorda altresì Douve di Bonnefoy e il racconto Il signor Münster di Alberto Savinio, ai
quali si potrebbero aggiungere alcune pagine di Houellebecq delle Particelle elementari o la scena
dell’obitorio nel racconto Un corpo
di Camillo Boito. Insomma: l’argomento affascina i moderni, sia per la
pregnanza metamorfica del corpo e sia per l’enigmaticità scrutabile che lo
caratterizza.
Eppure, malgrado quest’affollata schiera di cantori della materia
in disfacimento, che farebbe supporre una saturazione tematica ed emotiva, Il mio nome nel tuo nome è uno dei libri
più originali che ho letto negli ultimi anni, capace di tenere insieme
tradizione gotica (diventata, in autori più modesti, maniera e gusto del
macabro) e visione lucida, scientifica del processo diveniente, di quel
continuo scambio di energie atte a mantenere l’unità dell’insieme, che non ha
nulla di edificante o di salvifico, essendo il naturale lavorio dell’organico,
dove la forma leggibile emerge in temporanea precarietà, per essere poi
riassorbita nell’amalgama del tutto. Ovviamente Il mio nome nel tuo nome è molto di più. Per esempio un catalogo
delle specie animali coinvolte nel riciclo biologico dei cadaveri, e di piante
che da quest’ultimi traggono nutrimento: decine di nomi mai sentiti e
altisonanti, che sono una dichiarazione di poetica sul valore del canto per la
sopravvivenza della specie, come se il disfacimento avesse un suono nato nelle
parole che lo raccontano prima ancora di essere l’effetto, come nel Baudelaire
di Una carogna, del brulicare di
mosche e vermi veri nel ventre: “soprofagi, lividi, antreni / decremento del
calore / e del pH: ipostasi, fenoli ammoniaca. / l’apparire annualmente di
foglie”; è la prima strofa della prima
poesia, l’incipit di un’autobiologia in prima persona della donna-spartita-dal-creato,
spartizione a cui partecipano, poco più sotto, anche l’aggregato stellare
Tarantula Nebula e l’orneoblenda, un silicato: nulla infatti fugge
all’interconnessione degli elementi, ma soprattutto, sembra dirci Ponzio, che
gran piacere pronunciare questi suoni!
Del resto il “nome” appare due volte nel titolo, a cancellare
il corpo, il mondo: il libro sui nomi trova qui la sua dizione, l’humus che lo
incrementa, come recita la poesia di pagina 16, il luminoso nome che dona
l’essere alle cose e il non essere, che parla al posto delle cose, oramai tutte
artificiali o derelitte, se non fosse appunto per la poesia, che le rimette
nell’ordine del linguaggio, fianco a fianco al sole che splende, all’estate,
alle qualità della luce, alle muffe, alle placente. Si capisce che Ponzio ama
il barocco soltanto perché è in lutto rispetto alla semplicità del paradiso,
perduto da sempre; ama il barocco come lo amava Manganelli, per perdersi
scetticamente in quel grembo labirintico e specchiarsi come un Narciso cieco,
ora che viviamo nella palude definitiva.
In questo gioco di sguardi, entra anche un secondo
personaggio nella storia, che Marano chiama “voyeur”, ma anche “coro e anghelos
tragico”, che parla a tondo, laddove il cadavere usa il corsivo, e che
“riferisce le fasi della putrefazione senza adesione”; è una figura maschile,
perduta quanto il suo contraltare femminile, che agisce in uno spazio appena
accennato, ma che a volte diventa cornice che riordina l’accadere in
un’immagine emblematica, tesa a unire l’eterno e transeunte, l’intatto del
paesaggio con il corrotto dell’umano, come in questa terzina: “la dorsale del
cielo ti separa / dalla luce dell’estate / attraversandoti la schiena
rosicchiata”.
Oltre al barocco, e il gusto per l’anamorfosi (da intendersi
come guardare il mondo da un’altra
prospettiva, quella del cadavere, appunto, e dell’osservatore neutrale) mi
sembra importante sottolineare la passione di Nicola Ponzio per il rizoma, che
qui si mostra nel corpo senza organi
della donna, del molteplice centrifugo, le cui linee di fuga, come ci spiega
Deleuze in Dieci piani, sono già
parte dell’intrico, nel tentativo di annullare il principio di non
contraddizione ossia la supremazia dell’Uno tiranno. Che sia questa una delle
lenti con cui leggere Ponzio, ce lo dice anche una sua Nota teorica, presente nel sito di “Anterem”: “Nell’aperto l’universo metamorfico
della poesia si manifesta in tutta la sua crudeltà e bellezza. L’aperto, ovvero
la natura ignota e liberatrice, ci espone al rischio dell’erranza totale, al
nomadismo definitivo e inafferrabile. La coincidenza degli opposti si fa
esplicita, nel fuoco dei possibili alfabeti”.
Spiace davvero che un autore così significativo passi quasi
inosservato. Fanno eccezione, in rete, le letture di Giacomo Cerrai, Viviana
Scarinci, Mariangela Guatteri e, in postfazione
a un altro libro, Marco Giovenale. Guatteri e Giovenale si soffermano su Scanning (Corraini Edizioni, 2014), un
“viaggio on the road” compiuto con Paolo Mussat Sartor; fotogrammi di
quest’ultimo, testi-catalogo di Ponzio: scansioni del visibile e del dicibile,
organizzazione e disorganizzazione del possibile in segmenti misurabili,
catalogazione / accumulazione dell’onda cromatica, stando nei paraggi della
poesia concreta, praticata per esempio da Konrad Bayer del "Wiener Gruppe", già presente (e ne do appena un assaggio) ne Il mio nome nel tuo nome: “rosso
squama, rosso chiaro, rosso cielo. / rosso ambra, rosso ribes, rosso cadmio. /
rosso milza, rosso fuoco, rosso eosina. / rosso carne, rosso airone, rosso
magma” ad libitum.
da
Anamorfosi
saprofagi, lividi, antreni.
decremento
del calore
e del pH:
ipostasi, fenoli
ammoniaca.
l’apparire
annualmente di foglie.
poi mi sono seduta. ho aspettato.
ho aspettato che il buio
venisse da me.
traiettorie di api, metano,
autolisi.
le radici
vicine s’impiantano nelle ossa.
Tarantula Nebula, ortiche
orneblenda.
iniziavano i
nomi, i fenomeni
e le
sembianze, – l’invisibile etc.
---
combustioni
solari
sulle
vertebre,
mentre
incedi traballante tra le talpe.
penuria alla
penombra, acidità
disfacimenti
minuziosi delle gonadi
nel giubilo
ipogeo.
immanenze
boschive.
cellule
alterate dalla crescita
precoce
delle ife, –
dai sali che
ne limitano il peso.
la dorsale
del cielo ti separa
dalla luce
dell’estate,
attraversandoti
la schiena rosicchiata.
da Imago picta
varcato l’intrico
di rovi che chiude il fondale,
sono entrata nel bosco.
riconosco il sentiero
dal buio che induce all’erranza.
mi rincorro mi perdo.
ripercorro le vie del ritorno
irradiate dal corpo.
mentre l’acqua compenetra
l’erba tingendo i vestiti.
mi rincorro nel buio alla cieca
ricerca di tracce,
che conducono a un nome.
---
mani pietose
raccolgono
fiori dagli
occhi dei morti.
parole dalla
crescita
di un mirto.
lievi
conservano l’ombra
degli ultimi
gesti, – i colori,
la brama.
come l’ambra
condensa il ricordo
di un’ape
assopita.
---
…rosso arboreo, rosso cuore, rosso
chimico.
rosso bacca, rosso acceso, rosso
agata.
rosso nube, rosso legno, rosso
cimice.
rosso spento, rosso minio, rosso
fragola.
rosso squama, rosso chiaro, rosso
cielo.
rosso ambra, rosso ribes, rosso
cadmio.
rosso milza, rosso fuoco, rosso
eosina.
rosso carne, rosso airone, rosso
magma.
rosso areola, rosso terra, rosso
resina.
rosso smalto, rosso piaga, rosso
fegato.
rosso arteria, rosso arancio, rosso
ruggine.
rosso fungo, rosso ardente, rosso
acaro.
rosso scuro, rosso Sole, rosso
porfido.
rosso foglia, rosso labbra, rosso
acero.
rosso autunno, rosso grumo, rosso
fard.
rosso bosco, rosso veste, rosso
muffa.
rosso aurora, rosso ife, rosso
acido.
rosso vulva, rosso sangue, rosso
croco.
rosso intenso, rosso Marte, rosso
globulo.
rosso alga, rosso brace, rosso
porpora.
rosso mestruo, rosso stigma, rosso
afide.
rosso rame, rosso lipstick, rosso
spora.
rosso quarzo, rosso argilla, rosso
oro.
rosso volpe, rosso Luna, rosso
incendio…
da Dell’acqua
dell’acqua
profonda è sodale
la lingua
che dubita, annaspa
e s’incava –
che duplica
e inquieta,
abitando l’erranza.
---
nel catino di zinco sbiancato
galleggia una chiazza
oleosa, un residuo di resina.
sono accanto al pontile.
sto lavando i miei piedi.
il larice specchia i suoi rami
nell’acqua increspata.
non c’è ancora nessuno.
soltanto un cielo cavo
che si stinge.
tuberi che stringono
le tube rimediandone una lingua.
da L’urna e la Luna
c’è un
tappeto nell’atrio.
una piccola
stuoia
di plastica,
iperico e vetro.
tra i ritagli
di tetrapak.
c’è una
quercia oltre il fosso.
un libro
aperto sulla terra.
ricicli gli
avanzi di cibo,
e convochi i
morti.
c’è una
finestra accanto al letto.
una lavagna
che delimita
la notte.
senti il
bosco, la Luna.
ti alzi.
coi gessetti
rimasti disegni
i rilievi
dell’argine,
intorno alla
casa.
---
lunula, valvola, tuorlo e bisillaba.
magma, cerniera, molecola
e vulva. trottola, enigma,
ghirlanda e cervice. sfera
errabonda, albedo e matrice. malva
corolla, Selene ed ovario. bussola
prua, eone e diatomea. cenere
assiolo, pupilla e bivalve. femmina
spora, albume ed aureola.
lucciola perla, clitoride e cellula. mix
di materie che culla e germoglia.
acino bocca, Navicula e arnia.
nottola, arnica, alveolo ed anello. rotta
notturna, falena e baccello. cruna,
nottambula, ovulo e
specchio.
capsula, maschera, epistola e urna.
cardine, origine, botola e iride.
ciclo, dimora, gibbosa lanterna.
pagina, sposa, vocabolo e ala. globulo,
falda, vestale e semenza.
argine, opale, placenta e scintilla.
da Agnizioni
spazi in
tentativi di unità,
date le
locuzioni, le mucose
sul muschio,
– nella crescente acidità
dell’uvaspina
che scompagina le ovaie.
ecco il
corpo, il telaio: l’agnizione
dettata
dall’aporia,
nel processo
che segue.
generando
all’interno altro seme, vigore
e dissidi.
vere necrofanie,
se fiorisce
nell’utero.
nell’olio
che tornava a colare
impregnando
i colori, – l’icona
residua in
funzione di un nome, di un’alba
più fertile.
fonte viva
nella quale si lava.
---
finiva così la stagione invernale.
la fedeltà
delle sostanze.
mi tramuto
in ortica.
circostanza prevista da un modello teorico.
gusci, –
genealogie dell’universo.
un cieco ti guida mostrando il dipinto.
sorprendente
scoperta della notte.
fedele alle matrici più spietate.
nella luce
che cela ogni traccia.
sequenziamento del linguaggio.
buio
simultaneo alla mia veglia.
trasparenza, parole, orditura.
tempo che
diventa infiorescenza.
Nicola Ponzio
(Napoli,1961), vive e lavora a Torino. Poeta e artista visivo, dal 1987 ha
esposto i propri lavori in diverse mostre personali e collettive sia in Italia
sia all'estero. Sue poesie sono apparse su Nuovi Argomenti, L’Ulisse, Nazione
Indiana, Blanc de ta nuque, gammm, eexxiitt e Lettere Grosse.
Ha pubblicato Scanning, con
le fotografie di Paolo Mussat Sartor, postfazione di Marco Giovenale (Corraini
Edizioni, 2014), l’e-book Breve storia
del blu, 2014: http://gammm.org/wp-content/uploads/2014/09/Ponzio_Blu.pdf,
Il mio nome nel tuo nome, postfazione
di Giampiero Marano (Oèdipus, 2014), 10
Wunderkammern (La camera verde, 2012), L’equilibrio
nell’ombra (LietoColle, 2007),
Esercizi del rischio (e-book, Biagio Cepollaro e-dizioni, 2007), Gli ospiti e i luoghi (Nuova Editrice
Magenta, 2005). È presente in antologie e testi critici.
le poesie che mi si confanno sono quelle tratte da Imago picta, Dell'acqua, L'urna e la luna.. e tornerò a rileggere per assorbire..
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