Ossi di seppia di
Eugenio Montale non solo soltanto il libro che apre alla poesia del Novecento
italiano ma anche un occasione di coniugare poesia e pensiero come non si era
fatto dal tempo di Leopardi. Leggere questo libro significa cimentarsi con una
visione nichilista dell’Essere, che tuttavia non rinuncia alla speranza di “un
varco” che renda possibile la speranza, l’altrove salvifico. In un percorso dove paesaggio scarno e parola
asciutta concorrono a delineare la condizione di inettitudine dell’uomo
novecentesco, Montale inventa un’idea nuova di bellezza, dove paesaggio e figura s'incorniciano nell'emblema della terra desolata, in linea con la
migliore poesia europea, e dalla quale nessun poeta contemporaneo può
prescindere.
Arsenio
I turbini sollevano la polvere
sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi
deserti, ove i cavalli incappucciati
annusano la terra, fermi innanzi
ai vetri luccicanti degli alberghi.
Sul corso, in faccia al mare, tu discendi
in questo giorno
or piovorno ora acceso, in cui par scatti
a sconvolgerne l'ore
uguali, strette in trama, un ritornello
di castagnette.
E' il segno d'un'altra orbita: tu seguilo.
Discendi all'orizzonte che sovrasta
una tromba di piombo, alta sui gorghi,
più d'essi vagabonda: salso nembo
vorticante, soffiato dal ribelle
elemento alle nubi; fa che il passo
su la ghiaia ti scricchioli e t'inciampi
il viluppo dell'alghe: quell'istante
è forse, molto atteso, che ti scampi
dal finire il tuo viaggio, anello d'una
catena, immoto andare, oh troppo noto
delirio, Arsenio, d'immobilità...
Ascolta tra i palmizi il getto tremulo
dei violini, spento quando rotola
il tuono con un fremer di lamiera
percossa; la tempesta è dolce quando
sgorga bianca la stella di Canicola
nel cielo azzurro e lunge par la sera
ch'è prossima: se il fulmine la incide
dirama come un albero prezioso
entro la luce che s'arrosa: e il timpano
degli tzigani è il rombo silenzioso
Discendi in mezzo al buio che precipita
e muta il mezzogiorno in una notte
di globi accesi, dondolanti a riva, -
e fuori, dove un'ombra sola tiene
mare e cielo, dai gozzi sparsi palpita
l'acetilene -
finché goccia trepido
il cielo, fuma il suolo che t'abbevera,
tutto d'accanto ti sciaborda, sbattono
le tende molli, un fruscio immenso rade
la terra, giù s'afflosciano stridendo
le lanterne di carta sulle strade.
Così sperso tra i vimini e le stuoie
grondanti, giunco tu che le radici
con sé trascina, viscide, non mai
svelte, tremi di vita e ti protendi
a un vuoto risonante di lamenti
soffocati, la tesa ti ringhiotte
dell'onda antica che ti volge; e ancora
tutto che ti riprende, strada portico
mura specchi ti figge in una sola
ghiacciata moltitudine di morti,
e se un gesto ti sfiora, una parola
ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,
nell'ora che si scioglie, il cenno d'una
vita strozzata per te sorta, e il vento
la porta con la cenere degli astri.
mi perdonerai se parlo di me, ma il ricordo della prima volta di 'meriggiare pallido e assorto' (insieme ai 'soldati' di Ungaretti) lo sento come una specie marchio, non ricordo se avessi 11 o 12 anni, e dopo l'innamoramento alle elementari, in quel momento sentii netto un senso di appartenenza alla poesia (come fruitrice ovviamente) perché la sentivo come un miracolo di luce (non so dirlo meglio) e quegli ultimi versi:
RispondiElimina'E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.'
diventarono una sorta di manifesto interiore..
poi, tutto il resto..
Grazie per questo 'atto di fede' :-)
RispondiEliminaCredo che ci siano molti poeti che, da bambini, sono stati baciati da questi versi. Poi si cresce, e allora "Arsenio" parla in modo ancora più convincente. ciao!
eh già.... ciao ;)
EliminaNon credo esista un poeta italiano, dal Novecento in poi, che non sia stato segnato, nel suo affacciarsi al mondo della poesia, da questo libro.
RispondiEliminasono d'accordo!
Eliminaoccorre però ricordare il debito, ammesso dallo stesso Montale, con ''Alcyone'' del D'Annunzio; debito suo e di tutta quella generazione di poeti
RispondiEliminaSì, in effetti :-)
RispondiEliminadebito che, mi sembra, sia anche qui (e nella raccolta in generale) visibile, specie nelle descrizioni della natura; e mi sbaglierò, ma nella prima strofa c'è, se non nel metro, almeno nel ritmo una qualche eco de ''La pioggia nel pineto''
RispondiElimina"Godi se il vento ch'entra nel pomario
vi rimena l'ondata della vita:
qui dove affonda un morto
viluppo di memorie
orto non era, ma reliquiario."
forse perché anche qui "ario" / "quario" c'è molta acqua e l'imperativo "Godi" dove là è "Taci": certo sono due azioni non per forza sinonimiche :-)
RispondiEliminanotevole che nel Ditirambo III, di ''Alcyone'', si parli de ''l'osso di seppia''; avrà suggerito il titolo alla raccolta?
RispondiEliminaSoltanto che lì ci sono gli oleandri, e, negli Ossi, i limoni. Però in fatti di sensualità e abbandono, d'Annunzio è insuperabile.
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