Riccardo Martelli è un poeta che non può
mancare su Blanc, a partire almeno dall’enigmatico titolo della seconda
raccolta: Calamite arimaniche e il senso
tattico (Campanotto, 2000), dove il primo aggettivo rinvia al Signore delle
Tenebre, che, nell’intendimento steineriano, presiede al compito satanico di
indurre l’uomo in tentazione materica, di ancorarlo al basso del tattile. Lo fa
tatticamente, per allontanarlo dalla spiritualità luminosa di Dio. Se Steiner
ci dice che tutto il moderno è calamitato dalla materia, in bilico sul male,
Martelli coniuga la preoccupazione in senso catastro-pop, esibendo un circo di umani
teatranti, intenti a distillare il sacro da profane quisquilie, non ultimi i
poeti, principini del trapezio. Una messa in scena di Sodoma e Gomorra fatta da
“macchinette radunate in una mania elencativa”, cui partecipa lo stesso
Martelli, preda di una verbigerazione nevrastenica eppure che rende bene l’idea
di che cosa sia diventato il mondo dopo la diluviata secolarizzazione del bene
ontologico. Un libro insomma ben collocato nella scia sperimentale di
Campanotto e che Alberto Bertoni, nella introduzione,
trova addirittura imparentato con i vociani, assidui frequentatori di Bologna,
ci dice. In effetti, la prosa lirica vociana, “l’impotenza narrativa” dei
vociani, come la definisce Romano Luperini, espressione di una rivolta
esistenziale, priva di soluzioni collettive (cfr. Gli esordi del Novecento e l’esperienza della “Voce”, Laterza,
1984), se applicata a Martelli, ci racconta tutta la frustrazione di una
generazione, la sua, sconfitta dal capitalismo volgare, massmediaticamente
idolatrato nei simboli da basso impero, tra show girls e “drenaggi delle
voluttà”.
Il suo ultimo libro, anagraficamente vecchio
per l’effimero blogghismo, Oro lustrale
(Cierre Grafica, 2009), prosegue il viaggio fra i corpuscoli del reale, con
testarda indifferenza al richiamo del verso facile e quotidiano. Il metro si fa
tuttavia più irregolare, il respiro non asseconda più la sequenzialità fluviale
del circo precedente, ma incespica sul mondo, lo riscrive tramite il
prosciugamento dei nessi sintattici, così che ciascuna parola, ancor più delle Calamite arimaniche, diventa uno spazio
significante, un tratto tristemente vero che pesa, per quanto non apra mondi né
vie d’uscita. L’effetto è questo: “Cornici d’oro di scene campestri sostenute /
da gomme masticate”: contorni, appunto, supporti dove manca l’uomo, dove le
cose abbondano. Forse siamo nei dintorni del realismo terminale oldaniano, ma
credo che Martelli sia giunto a questo crocicchio per vie autonome e
probabilmente più drammatiche. L’ironia, infatti, è solforica e “ripartire da
postulati comici” è soltanto un intendimento memore del paradiso dei fratelli
Marx.
Sullo sfondo di tutto questo, le donne,
Michela, Arianna, Nasino rosso, messe in dedica, alle quali il poeta dona quest’inferma
budineria contemporanea, “il ronzio delle frasi dello psicodramma
collettivo”, non riuscendo o non volendo
scrivere loro parole d’amore. E questo è il punto su cui lo invito a riflettere,
ossia sulla funzione che egli attribuisce alla scrittura, a quale radicalità
aspiri: se al mimetismo della ghiottoneria mercantile oppure alla prossimità
creaturale che in quel bailamme senza luce è ancora possibile istituire, non
per consolarci borghesemente, ma per restituire alla parola il peso di una
tradizione civile, alternativa alla barbarie contemporanea.
Da
Calamite arimariche e il senso tattico
per Michela
i giovani prendono in giro i gestori dei bagni
raccontano le sculettanti della dimora delle ombre virili
bighellonando tra ballerine televisive e show-girls
nella città a piste di go-karts al tempo degli haiku
si rosola la fame un caduceo uscitole dall’occhio
i posters delle ragazze svestite sospendono il mondo
**
D’aloglifi appunti
nonostante pane da spezzettare per usignoli
luci di case su chi rigoverna stracci
devozione comicità sul bisogno di palco
ghirigori dell’intenzione sulla tua campagna apparecchiata
fischiettante insonorizzando il pianto zodiacale
nell’indifferibile lettura di libro inattuata
in asteniche nubi da aggettivare
spagiria di quisquillie per fabbricarsi un mazzo di carte
*
Durante il nitore mattutino un nome sbianca sull’agenda
Ventaglio per un moribondo
Bianchi e neri sassi su un abaco sparpagliati
Una raccolta di more nel giallore
Sgrano filatteri nel traffico
Marce convalescenti in boschi medievali
Ogni due ore uno sfarfallio
Da Oro
lustrale
ad
Arianna
a
Michela
a
Nasino rosso
I
La
via delle sciabole adorna di semafori rossi
attimi
dell’imbrunire sorprendono
la
donna smaltata oltre gli appuntamenti
musa
non musona della tonicità
lagunare
zigzagare
testacoda
di battute avallano rimpatriate
non
esistono tensione e distensione
franto
un irritante ottimo doppiaggio
il
suo frinire si estende al parco cittadino
Del
cinema all’aperto dialoghi sul sonnoveglia
entrano
imperativi del ballo dell’estate
catarifrangenti
si allontanano dalla notte
la
circonvallazione delle prostitute accovacciate
non termina mai
il
pranzo di cichetti è motivo di
decorazione
tutto
si archivia in quattro o cinque raccoglitori
in riti di
prepensionato del compagno di ventura postcoloniale
II
antiche
pergamene false dissepolte
l'aspetto
immutato tranne capelli grigi
la
scia delle illusioni intrecciate è
segreto
risalgo
la colonna sonora
mentre
ramifico la tavola genealogica
mi
rinvengo in eremitaggi di venti minuti
sono
meno irrisorio di te
voci
di bimbi e di uccelli
spaziano
tra le arborescenze primaverili
affioro
dalle increspature d'acqua di piscina
da
architetture edificate per reggere
la
cottura di cibo e di uomini in vacanza
privo
di accortezza e di semplicità
meglio
di celebrità
mi dileguo verso lo strazio di un tramonto
sbandando
tra faunesse
sopra
l' andamento psicoracolare
rombo
metà di aereo metà di tuono
assistiti
dal comfort e l'inflessione li determina
fondo
un pubblico per le mie battute spiritose
al
cospetto di cibo luculento ci intendiamo
porzioni
di panorami di pensieri
trovate
e sottoscritte
nella
trasposizione cinematografica
della
seconda parte della giornata
III
al
sorriso che allumerebbe
il
bianco da dove estraggo parole nere
nel
recinto di canzoniritornelli
frequenze
e armoniche nei neurocircuiti
emetto rintocchi distorti di campane
buio
si appoggia sul nasino rosso
devo
mettere i margini alla favola
amministro
versi da viaggio
diurna
luce deglutisce il volto biondo
effetti
femminili sostituiscono
fronde
nel vento passaggi di passeri
velleità
non funzionali di entità bioletteraria
che
mangia repertori
così
vesto e produco endorfine
e
brandire contorsioni lascive
nella
collusione della collisione
impugnato
il volano dell’affanno
IV
apnee
e iperventilazioni si succedono
ti
credo poltergeist a forma di risucchio
reputandola
la donna sortita finalmente assonno
sovrappenso
con protesi di saggezza
se
insieme cospirassimo nel tempo di una sigaretta
amami
da estraneo
nella
visione dell’odore
nella
brama non gioita
con
foschia senza foschia
abbraccio che nelle
semitenebre si ritrae
per
il mattino della dilatazione delle bellezze
reduce
da situazioni infermieristiche
autocostretto
ad autocostruire in fretta
Riccardo
Martelli
è nato a Bologna nel 1957. Presiede l'associazione
culturale "Hermo Nes Troupe". Ha allestito una messa in scena
poetico-visiva all'Osteria delle Dame di Bologna nel 1979; scritto testi
teatrali, tra cui il testo di uno spettacolo allestito al QBO' di Bologna nel
1986. Insieme al poeta Paolo Badini ed allo scrittore Carlo Maria Milazzo ha
scritto i testi per lo spettacolo "Il passaggio degli
uomini-giaguaro", con musiche del trio jazz Ermones, realizzato al Naima Club
di Forlì, al Castello del Vescovo di Arcetto (RE), al 1° meeting di poesia
interdiscplinare a Bologna, al Circolo degli Artisti di Faenza ed in altri
locali; in collaborazione, ha scritto anche la sceneggiatura di uno spettacolo
di cabaret andato in scena al teatro "Capitolino" di Bologna. Ha
pubblicato le raccolte di poesie Della
recitazione-La veglia (Ed.
Pontenuovo, 1987) e Calamite
Arimaniche e il senso tattico (Campanotto
Ed., Udine, 2001). Altre poesie e scritti sono apparsi su riviste letterarie.
a una prima lettura mi paiono un po' gravose... tornerò.. come sempre.. per cercare di capire se so entrare.. e se entrando si aprono più leggere..
RispondiEliminaprova a leggere l'introduzione che ho scritto, magari aiuta...
RispondiEliminalo faccio sempre.. :)
Elimina:-)
Eliminamai perdere il senso tattico delle cose ...
RispondiEliminapassavo per salutarti di nuovo, parto stanotte
i preparativi sono un grande fermento :-)
un saluto caro a Blanc!
grazie, buone vacanze!
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