Il primo libro che ho
letto di Lina Salvi s’intitola Abitare
l’imperfetto (La Vita Felice, 2007); si capisce subito che a scriverlo è
una persona dotata di talento: nessuna sbavatura dovuta al sentimentalismo,
nessuna concessione al prolisso, bensì l’asciutto di uno sguardo lucido e di
una parola che abita perfettamente gli spigoli del mondo, che li sa trattenere
per un attimo, misurandoli per poi consegnarli al nostro giudizio. Tutto questo
non per mettere alla gogna l’esistente, in quanto il sapere sulle cose, ce lo
ricorda lei stessa, è “sempre in bilico” perché in bilico – tra l’avvento e la
perdita – è il presente, sommatoria di presenze
che vengono dal nulla e là finiscono, troppo rapidamente per essere comprese. La
poesia, per l’autrice, serve appunto a fissarle, a dar loro durata, una durata non
per forza salvifica; lo ribadisce anche Gabriela Fantato nella introduzione,
parlando di questa poesia come di un presagio di estraneità: “Il destino che
avverte Salvi è esilio, solitudine e non appartenenza”.
Tale metafisica
cognizione trova la sua indole pubblica in Socialità
(edizioni d’if, 2007) e poi in Dialogando
con C.S. (Edizioni della Meridiana, 2011). Se nel libro d’if, il nucleo è
familiare e l’impianto da bildungsroman,
nel secondo il conflitto raccontato è quello interno alla polis, in particolare
fra gli esseri senza potere e l’autorità. La prima poesia, ne riassume i
termini: da un lato i “senza dimora”e, tra questi, il “suonatore / di flauto”;
dall’altro il sindaco, “il comandante / dei vigili urbani”, i ricchi negozianti
con la merce firmata ossia il potere costituito per ottenere quiete pubblica, sviluppo
e profitto. Evitando la facile ideologia, e cercando la pulizia espressiva di Abitare l’imperfetto, la Salvi ci porta
a spasso per la Lombardia opulenta e sardanapàla
(come direbbe il Foscolo), ma anche nella vita di ufficio, impiegatizia e
stereotipata. L’ironia non manca in questi versi, ma non tracima, per lasciare
invece alla descrizione il compito primo di raccontare lo sfacelo, senza
bisogno di effetti speciali. Il Dialogo con Charles Simic (da cui le iniziali
del titolo) è anche stilistico, ma per empatia, non per imitazione, tanto che
trovo i due poeti ancora più in sintonia in Abitare
imperfetto, libro che ha la capacità di tradurre il reale in allegoria dell’esperienza
umana intrisa di caducità, senza mai farsi tentare dal racconto, come invece
accade in Socialità e, in misura
minore, in Dialogando con C.S., che
tuttavia non di rado contiene versi geometricamente sintetici come questi: “[…]
Restano / le corse nel Sempione, che buttano / fuori gambe e spalle / una certa
asimmetria del volo”.
Di recentissima uscita Lettere dal deserto, una plaquette di
otto poesie in 100 esemplari numerati, edita dal circolo culturale Seregn de la
Memoria e contenente un’incisione di Federica Giudici. Il tema è il deserto del
Wadi Rum, nella Giordania meridionale. Lina Salvi esce dal rumoroso Occidente
per tornare alla metafisica attraverso lo spazio inabitabile del deserto, disseminato
di esseri residuali: “spore, rami secchi, / gusci scavati, vermi, misere /
forme di sopravvivenza”. Le presenze umane sono parte del paesaggio, “uomini
senza rifugio”, e lei è un grande occhio, preso nel contempo da incantamento e
orrore.
Da Abitare
l’imperfetto
Nel quadrilatero delle carceri le case
non hanno geometrie verticali
non hanno torri dipinte d’acciaio
tetti rigonfi di un seme
dune assolate
nel quadrilatero delle carceri
Giovanni giocava
alla prima guerra mondiale
nelle strade si assommavano
bambini a sassate
**
La messa è finita
raccogli dunque il tuo pane
l’epifania del lago, i battelli
battezzati, un nome solo
a memoria.
La parola non è che
un corpo innaturale
pelle avida di sale.
**
E’ uno strano movimento
del cervello, il girare a vuoto
nella sagoma di un coltello,
la solita infiammazione di un nervo,
un fuoco che pervade il cerebrale
lo stare della scrittura su una gamba
sola.
da
Dialogando con C.S. – Edizioni della Meridiana, Firenze
2011
Farsi del bene è scrivere
oppure immaginare il marcio
che c’è dentro, benigna indifferenza,
chi si slaccia una scarpa, poi mira l’altro,
per il biglietto una monetina,
qualche centesimo per il piccolino:
siamo a Napoli Centrale
si scende da tutte le parti,
si scende di qua.
**
Da
Feltrinelli vado in Duomo
dove
sulla porta ci sbaraglia
quella
bella foto della Lessing,
già
li vedo i miei lettori
far
la fila a una cassa,
di
certo non per me, portare
sottobraccio
gentilmente
quei
sacchetti dei bei fratelli,
dei
Prada, e chissà
se
anche gli Alfred o le Emil, tutti
mai
lo sapranno, o la stessa Plath
che
per avere il suo bel libro
bisognava
andare fino in Inghilterra,
immaginato
di indossare orecchini,
blu
e neri, orecchini a palla
occhiali
per protezione raggi
doppio
zero, zero, cento.
**
Credono di essere il paese,
ma sono fuori dallo Stato,
appiccando il fuoco con viso
coperto, a tradimento, alla baracche
di quei nomadi, che con un euro
comprano tre mattoni
per una casa nel loro paese,
i nostri sono scappati incuranti,
nelle auto ritoccate, i bambini
a decine chiedono notizie
dei loro compagni, ritornano
ai giochi preferiti, perplessi,
in un’altra storia.
**
Vivo
arso l’indiano da mani
italiane,
spesse tre dita
come
il vetro oltre cui giace
Navtej,
la mummia, di cerotti e garze,
ha
le dita trafitte dalla flebo
riaprendo
piaghe e ferite, gonfiati
i
polmoni dalla ventilazione artificiale,
sono
tornati a sollevare la cute
con
pelle di cadavere:
perché
in un paese civile
ci
si può curare chiedendo
un
prestito per la pelle
all’istituto
di credito.
**
Quella
notte c’ero anch’io
il
ricordo della Cancelleria,
non
tutta bianca non tutta nera
l’unificazione
non fu, poi il difficile,
andai
alla sauna, alla birra
poi
al passaggio di frontiera
due
straordinarie cose: un’isola
bella
nel Mar Rosso, l’altra
tutta
per la Capitale,
mini
finestre e quartieri
no-single,
ottantasei tipi
di
salsicce, la città a misura
d’uomo,
la città del muro
inenarrabile
battaglia.
**
Dalla
sezione “Visioni in prosa”
Sconfinamenti.
Deragliamenti.
Più labili i confini. Non esagerate con la classe, dell’anima fluidità
dirompente. Troppo grande arguta la battaglia, nella nebbia la polvere
sollevata. Repertorio, formule
d’esistenza.
Deragliamenti
Da
Lettere dal deserto – N.59 Fiori di Torchio (Seregn de la
Memoria)
Del
deserto non ho voglia
cavalcate ai margini del cielo,
nel
deserto già ci sono:
ahlan wa salan*,
nel
deserto popolato di uomini
buie
città, annuvolate,
assediate
di ogni specie animale,
alberi
con rami tondi,
bocche
infuocate.
Della
tundra, del polare,
che
dico? Se non quel volteggiare
in
aria, terra, affondare
il
piede in una zolla
del
viaggiatore la sua ombra
così
lunga, così distante.
(*
saluto di benvenuto)
Lina
Salvi è nata a Torre Annunziata (NA) nel 1960. Nel 1982 si trasferisce
in provincia di Lecco, dove vive e lavora. Si è dedicata con una certa
assiduità alla poesia, a metà degli anni 90. Ha pubblicato la plaquette: Negarsi ad una stella (Dialogolibri,
Olgiate Comasco 2003, con pref. di Giampiero Neri), seguita nel 2007 da Abitare L’imperfetto (La
Vita Felice, Milano – Vincitrice del Premio Donna e Poesia 2007,
Finalista Premio Baghetta 2008), Socialità (Edizioni d’if, Napoli –
2007, Finalista al Premio I Miosotis), Dialogando con C.S. (Edizioni
della Meridiana, Firenze 2011, con prefazione di Elio Pecora – Vincitore del Premio Sandro Penna sez. inediti
2010), Lettere dal deserto (Seregn de
la memoria, Circolo Cultura, 2014, con un’incisione di Federica Giudici).
felice per questa lettura dei testi di Lina, grato a Stefano
RispondiEliminacorrado bagnoli
mi hanno colpito le prime, quelle di Abitare l'imperfetto e l'ultima da Lettere dal deserto, molto meno le altre.. probabilmente per mia inclinazione..
RispondiEliminagrazie a voi per il passaggio su blanc
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