Nel nuovo numero de Le Voci della Luna (luglio 2013), trovate questa mia lettura di un inedito di William Stabile, sul quale ho già scritto qui.
Credo sia utile
leggere "Dr. Livingstone, I suppose", parte del libro inedito La
Forza degli Schiavi, come se fosse un blues, con i suoi tic tematici (e il
suo ripetitivo giro di accordi): l'io che dialoga con Dio, che Gli racconta del
lungo viaggio spaesante per conoscere se stesso e il mondo, del perdersi e del
trovarsi tra le Sue pieghe, sempre con un leggero senso di colpa, in parte
risolta con un'autoironia giocata in punta di lingua. William Stabile, su
questa tessitura nera, ricama tuttavia una biografia bianca, dentro una realtà
tardo-moderna dove ognuno cura il proprio orticello, e prende il taxi e gioca a
sudoku, senza soluzione di continuità. Il procedere versale scarta rapidamente
di lato, così che le scene, in questa preghiera infinita agìta dentro un
capitalismo crudo, si succedono come le avventure dell'Orlando furioso,
che qui, in apertura, si presenta sotto le mentite spoglie del Dr. Livingstone,
che a propria volta sembra il doppio di Kurtz nel Cuore di tenebra
conradiano. Tutto questo racconto senza rive, plurilingue, potrebbe essere
letto come l'allegoria della scrittura, nostra pratica quotidiana dentro le
tempeste e gli acquitrini della vita. La citazione di Plinio il Vecchio
"Nulla die sine linea", posta verso la fine del canto, serve a ricordarci
che il viaggio nella parola non ammette chiari di luna, bensì pretende
esercizio costante, che non porta – pare dirci l'autore – in alcun luogo
sicuro, ma ci tiene nel mondo, in una vigile presenza. Ed è questa la
"nostra rivoluzione" non armata, pacifista.
Dr. Livingstone, I
suppose !
“in te ipso redi, in interiore homine habitat
veritas”
Sant’Agostino Le Confessioni
well
yes I am
dear Stanley
io che avevo una fissazione
per l’uomo e
mentre ti aspettavo
ho letto la bibbia 4 volte
e mentre leggevo e leggevo
amavo osservare sulle rive
l’umana sofferenza
dentro le disgraziate
capanne negre
che orrore ! Stanley
che orrore !
tutto era profonda
tenebra
finalmente ho
capito
la vita è sempre
un dono
e non va mai
sfidata
(come ho fatto io)
Stanley
non c’è niente di nuovo
-per l’uomo -
sul fronte occidentale
le ragioni della polvere
consumano sempre nelle cose
è tutto sotto il cielo - e sopra
nulla
solo l’amore cambia
oh mio Signore
grazie
ero un parto scagliato
verso un mondo
in un arco una freccia
a cercare una traccia
prima che tu ci fossi
eravamo già tu ed io
insieme - Signore
e tu senza saperlo
eri già tutto in me
presente in me
dentro di me
& io attratto
mi allontanavo da te
e costruivo per me
un’architettura di dolori
e tu preparavi per me
opere e missioni
la mia speranza
che gradualmente
diventava parola
con architravi forti
di essenza
ponevo fragili
colonne di pensieri
e così per mia gioia
ripagavo te in una vita
para bellum
mordendo
un odio largo
quanto un lago
del continente nero
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
io intesi ingenuo
che utilizzando la sinistra
avrei cambiato il mondo
ma tu -Signore -
cambiasti me
mi indicasti la rotta
da funambolo
su soglie di luce
e segni e segnali che scegliesti
tu od io?
e venivi a me
con le tue idee
-le mie-
a partorire immagini
dal profondo ed ora
tutt’intorno
il mondo tuo
mi parla
la lucertola sul caldo asfalto
la bouganvilla
sul muro
bianco di calce
emettono un senso
di estremo linguaggio
lo sniffare del cane
emaciato africano
sull’uscio della capanna
l´anello di comprensione
finora mancante
il muso umido
nel concavo del ginocchio
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
ti chiedevo (interrogavo)
mi dicesti
when you’re ready
you’ll find it
così ho attraversato il mondo
e spesso in questo mondo
mi son perso -Signore
cercando cercando
ma il mondo eri tu
e la mia casa
e nell’economia
dei sensi ritrovai
la rotta del dolore
che cessava
non era compito mio
cambiar(e)mi
mi feci solo da parte
e lasciai che l’alfabeto
s’incagliasse (sedimentasse)
sul fondo mio
di fango
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
qui radio londra
abbiamo trasmesso
alcuni annunci speciali
the streets of London
are paved with gold
a quei tempi vivevamo
in Gloucester Road
col sole dritto in faccia (fronte)
tutto era ordine e lustro
in UK ognuno curava
il suo orticello
& io non potevo
stare fisso
alla forca delle 7
non volli cedere
alla sconfitta pendolare
della cella del sudoku
ero ricercatore urbano
& africano
non impiegato
del verso capitale
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
camminavo per le strade
ma stavo
già viaggiando
osservavo le persone
la domenica nei bar
ben vestite
passeggiare
e sapevo
tutto ciò
non mi appartiene
le case ben arredate
ed ordinate degli amici
in cui non potevo
essere partecipe
-se non a metà -
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
più che produrre reddito
piacere mio era
produrre idee
e solcare la traccia
per nuovi cammini
e così decisi:
non attraversai più il viola
del parco della vittoria
monopoli del mondo
nei sentieri cercavo
una sintassi di parole
nei luoghi fluidi
mi compivo
esistevo
-straniero alla mia
stessa terra -
nella favela dell’anima
nella dissenteria spirituale
nei posti dove (de)strutturavi
la mia marginazione
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
e mi indicavi come
imparare ad essere niente
ed intanto apprendevo
a nutrire la (mia) calma
e tu venivi a me
a salvarmi dalla mens sana
in corporate sano -Signore-
quando anche dei libri e
della poesia &
delle sporche scarpe di fango
era oramai
l’estremo ennui
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
la voglia irrefrenabile
di sovvertire l’ordine
a me che neanche
la BBC radio di notte
al buio della stanza
mi acquietava
io che
salendo in auto
salutavo tassisti
prima di pagare
la tariffa
credevo ancora
nell’uomo ma
ancora cosciente che
detengono il potere
a questo mondo
i poster delle ragazze
nude
nelle officine
ed il pianto dei bimbi
nelle tue messe
null’altro Signore
& era “nulla die sine linea”
*
così sull’orlo
di questo letto
inizierò il mio verso
il più delle volte
ci si nutre di piccole cose
che poi si sommano a fiumi
parole affluenti
ed arriva il tuo verso
-oh Signore-
ad estuario o a delta
preciso o confuso
in tempesta sull’acqua
parola
ciò non importa
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
non importa dove scorra
l’alveo
-se rompa gli argini
la traccia-
è solo prendere la
faretra
(penna) in mano e
scagliare frecce al cielo
che conta - Signore
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
tutto contiene l’uomo
l’oro ed il fango
l’unico dono
è dopo tutto
la forza degli schiavi
di ascoltare
la forza degli schiavi
di rialzare la testa
la forza degli schiavi
di guardare in volto
la bellezza e
solo degli schiavi
di aprire
sempre
le braccia
e sempre
al prossimo
che ti si para
davanti
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
perché tutto è
come deve essere
porterò ancora alta
nel vento la bandiera
bianca della nostra rivoluzione
William Stabile è nato a Milano nel
1973. Dal 1998 ha vissuto in Inghilterra dove ha lavorato come giornalista
finanziario tra Londra e Milano. Nel 2000 si è imbarcato su una nave in giro
per il mondo.
Ora insegna lingua e cultura
italiana a 3.600 mslm a La Paz, Bolivia.
Sui versi sono usciti su varie
riviste e siti di poesia italiana e straniera. E’ presente in alcune antologie
di poeti italiani contemporanei.
Ha pubblicato una raccolta di poesie
con Fara Editore “Contrappunti e Tre
Poesie Creole”, 2006.
Ha ricevuto una segnalazione nell’ Antologia del Premio Nazionale Biennale
“Cittá di Solofra”.
Un suo contrappunto, in inglese, è inserito nell’ultimo libro del poeta
irlandese William Wall
“Ghost Estate”, 2011.
Si riconosce nella frase
del poeta salernitano Alfonso Gatto: “Se voi vi domandate perché un poeta scrive,
in che modo si è deciso a scrivere [….. ], comprenderete perché la poesia
appartenga agli uomini che non si difendono, che passano nella vita, lungo
tutta la vita, senza appropriarsene, amandola anche per gli altri che credono
di averla spesa o di poterla spendere senza mai riuscire nemmeno a destarla.”
Molto apprezzata la forma, che così frammentata da forza al canto, che così rafforzato da respiro al pensiero, che così espresso fa pensare a una preghiera, quasi un'invocazione, sottolineata dagli esclamativi!
RispondiEliminami piace molto, è una voce che trasmette.
mi ha ricordato Neruda nel suo "no tan alto" e Dylan Thomas per la verde miccia.
ciao Gugl :-)
sapevo di dover aspettare il momento giusto per leggerla.. quello in cui dopo i primi tre versi non puoi più abbandonarla.. è un tuttodunfiato di pensiero che arriva ironico, disincantato eppure morbido.. o forse spossato..
RispondiEliminami piace molto questo uso disinvolto della parola
è un testo che entra e si 'vede'..
Lascio a William la risposta a questi vostri lusinghieri commenti.
RispondiEliminaciao!
grazie e stefano per la finestra che a voluto aprirmi sul suo blog. e grazie per i vostri commenti.
RispondiEliminanon sono molto bravo a commentare le mie poesie, non so bene perche' scrivo e perche' si scrive, ma mi lusingano molto le vostre parole...
grazie ancora.
il titolo della composizione prende ispirazione da the energy of slaves di cohen.
un libro che incontrai a londra a casa di un amico, non so se lo conoscete?
un saluto dalla bolivia
non lo conosco, perbacco! lo cercherò. però Cohen lo ascolto spesso. grazie per questo intervento. ciao!
RispondiEliminacome mi piace l'intervento dell'autore :)
RispondiElimina(anch'io lo ascolto e non conosco)
un ciao anche da me..
stupenda invocazione di aiuto alla natura madre;io vi ritrovo a parte le sovrastrutture territoriali il Leopardi
RispondiEliminastupendo , mi sembra un'invocazione alla natura con una debolezza intrinseca del poeta che si lascia trascinare dalla corrente
RispondiEliminaho conservato entrambi i commenti perché si completano. manca però la firma :-(
EliminaUna voce sicura, intensa.
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