Gli
imperfetti sono gente bizzarra (La Vita Felice, 2012) di Rita Pacilio,
conserva già nel titolo una distanza di sicurezza dal pregiudizio di chi non ha
il coraggio di incontrare la malattia. Da chi chiama bizzarro tutto ciò
che non capisce. Differentemente da loro, Rita Pacilio entra nel vivo del
mistero dell'essere umano, declinato, sul "lago di Nemi", in quegli
umani dalle "labbra di rosa vermiglio" e le "ginocchia
conficcate nella gola": immagine ossimorica, dove la salute delle labbra
confligge con il dolore tutto raggomitolato, fetale, di chi ha rinunciato alla
distensione degli arti ossia, metaforicamente, al cammino che porta verso
l'altro, verso la guarigione. Qui "non si torna indietro" ci dice
subito l'autrice, poetessa-sorella che racconta il suo viaggio, anche nel
tempo, incontro al fratello Alfonso, la cui prigione "ha le finestre
sorde".
Anche il paesaggio d'apertura
mostra le piaghe: l'acqua s'increspa, il lago morde nuvole, in affanno, i
visitatori "fissano / l'inquieta luce della sera". Il mondo reale sta
tutto in questa scena, tragica e dolcissima, e in quelle che raccontano il
disagio, normale negli spazi manicomiali. Luoghi incomprensibili con gli
strumenti del moderno: Pacilio, non soltanto dialoga con il fratello, in un
tenero e, in parte colpevole, versificare privato, ma denuncia ogni pretesa di
comprendere l'umano con la razionalità o il buon senso, come faremmo tutti noi
visitando quei cerchi infernali. Per questo sceglie talvolta metafore surreali,
vive d'immaginazione: vuole entrare in contatto simbiotico con lo sguardo
scaleno dei folli, per dire loro, siamo fratelli, tutti. E tutti prede del
medesimo silenzio. La vita è crudele perché non possiamo comunicare, se non per
vie traverse, con il grido o sottovoce, e con il contatto fisico, anche se
magari passa per sentieri violenti e incestuosi, come Pacilio ci racconta nel
suo monologo Non camminare scalzo (Edilet, 2011).
"La voce di Alfonso / mi
entra nella mano tutta intera" dice appunto l'autrice, coniugando suono e
tatto, parola e corpo. E per lei, cantante jazz e performer, non può che essere
così, non per scelta estetica, bensì profondamente esistenziale: il suo corpo a
corpo con la voce e con la parola fa tutt'uno con l'attraversamento
autobiografico, che trova, in queste quartine orientate all'endecasillabo,
temporanea pacificazione. Ma solo formale, perché il lessico è espressionista e
la visionarietà tragica.
Gli imperfetti sono gente
bizzarra è una dichiarazione di appartenenza al genere umano dolente,
l'unico davvero umano e per cui valga la pena parlare. Indipendentemente da
quale tenaglia lo stringa: è l'esistenza terrestre a piagare le carni, il
vivere stesso. Bizzarro, anzi spaventato o arrogante, chi finge il contrario.
Pacilio, mi pare, parla anche agli spaventati fuori dalle mura, insegna loro di
non temere la debolezza, ma anzi di farne una forza per rifondare la comunità
dei viventi.
da Gli imperfetti
sono gente bizzarra
Si increspa il lago
di Nemi
in un gesto di
doloroso silenzio
a vederlo mordere
nuvole
l’affanno arriverebbe
in cima.
Salgono visitatori
in una strada
scoperta riaffiorano
in mezzo alle piante
ragazze di colore
nude a metà
pascolano paure
e cosce raggelate. E
fissano
l’inquieta luce della
sera
come fosse un
contatto.
**
Verso nord-ovest aumenta
la scogliera
si arrampicano le
acque
dove si posa la
clemenza
le alghe consegnano
umori tra dita.
Convulsi baci a pieni
polmoni
all’abisso che rimane
tra i denti.
I
folli hanno labbra di rosa vermiglio
ginocchia
conficcate nella gola
quelli
del primo piano chiedono l’ora
collezionano
dossi per l’inverno.
Scrivono sui marmi
con il trucco
e sbavano meduse sul
mento
quelli del secondo
piano tremano
il morbo che cresce
nell’addio.
**
Le vertebre hanno il
petto impreciso
e aprono la pace
imbavagliata
sanno sbarrare fiumi
impacciati
colpevoli della fine
del tempo.
Sui boschi la luna
torna a Nemi
scivola trasparente
dai canali
e sembra una sposa
innamorata
ti rimbalza addosso
senza piedi.
Alfonso ha le ali di
angelo bianco
due voli che si
moltiplicano
come non ho mai visto
fare all’onda
un rotolare nel fondo
del sonno.
E come un affanno in
superficie
mi accade di cercare
la bocca
per affidarmi a quel
vuoto
il tocco della lingua
dalle cose.
Cosa posso farci se
sono neve?
Sospesa come raggio o
lanterna
chiunque può contare
le mie rughe
e cadere in ogni
insenatura.
Sprofondare
all’imbrunire in me.
**
Nel passo lento
ascolto
dalla suola si
staccano battelli
sono le prime ore del
mattino
quando l’alba è
ancora appannata.
C’è un giorno in cui
ti ricordo
come un’ombra
allungata sul muro
diminuire il dolore
in un tuono
la nascita anteriore
al bene.
Offro undici candele
pietose
come simbolo
liberatorio
come il resto di una
bugia
il pezzo di pelle che
amavi di me.
La crosta e il gemito
di viscere
in mezzo all’ordito
che baciasti
meridiano sotto il
derma freddo
nome vero della mia
schiena.
Sono la campana che
sei stato
il lume della tua
finta guerra
un camion
sull’autostrada vaga
adesso niente ritorna
dal niente.
Accarezzandomi
entrasti nella pena.
**
Ha tolto lo spillo
dalla costola
dove la Santa si
scioglieva rossa
nello specchio del
cielo cotonato
nell’orologio che lo
ignora.
Che è un gioco del
dio cieco
sotto le crepe
limpide di acqua
rimodella i collant
mezza sorda di
perdono e vita.
Sigilla il rifiuto e
il peggio
strappa le dita ai
guanti di carta
si traveste lumaca
nel parco
per salire alla
guancia umida.
I riccioli finti
hanno un ventre
lo spazio di un
occhio
la fronte allargata
dai segni
è urgente qui il suo
guardarmi.
I respiri ridono grinze
verdi
si spettina vestita
nella fiaba
mentre un pugno
smarrisce le mani
continua a masticare
la noce.
Non distrarre l’oltre
della mattina.
**
Mentre sorride al
lago superstite
diventa forcella
imbalsamata
sgozza i riccioli in
diagonale
come la nuova rotta
della luce.
È il terzo occhio
della poesia
con le scarpe
colorate di rosso
sembra sia uscita dal
suo disegno
o forse dalle quinte
del suo uovo.
Si imbratta le mani
con la vernice
conchiglie infilate
sono collane
conosce bene la sua
presenza
e piano, piano
apprende l’assenza.
Quando le sagome
diventano fosse
alcuni autunni
tornano prima
dal lago di Nemi
intreccio le dita
con i piedi porto
avanti le dighe.
L’amore prevede due
bugie
una crepa nel monte
un verbo finito sul
petto
dove i canneti hanno
smesso di dire.
Lontano dal battito
dell’altro.
L'autrice sarà a Padova il 2 marzo, a presentare il suo libro. Qui il dettaglio.
Rita Pacilio è nata a Benevento, Sociologa e Mediatrice familiare, si occupa di
Poesia e di Musica jazz e di Orientamento e Formazione nell’ambito dello
Sviluppo delle Politiche del Lavoro e nelle progettualità della Casa
Circondariale di Benevento, di Mediazione familiare e dei conflitti
interpersonali, di Prevenzione delle dipendenze.
Alcune poesie edite e molte inedite sono state
declamate durante serate di degustazione letteraria da attori d’eccezione come
Enzo Garinei nell’anno 2004 e molti suoi testi sono stati rappresentati in
manifestazioni teatrali.
Ha pubblicato:
• “Luna, stelle…e altri pezzi di cielo”; Edizioni
Scientifiche Italiane – Prefazione Felice Casucci - anno 2003 (Primo Premio sezione
“libro edito al Concorso Nazionale “Calicantus” I Edizione indetto da “ Il
Gazzettino del Tirreno” - ME anno 2005)”.
• “Tu che mi nutri di Amore Immenso” Silloge Sacra,
Nicola Calabria Editore (Patti, ME) settembre 2005
• “Nessuno sa che l’urlo arriva al mare” Nicola
Calabria Editore (Patti, ME) settembre 2005
• Ciliegio Forestiero” LietoColle collana Erato
maggio 2006
• “Tra sbarre di tulipani” LietoColle collana
Aretusa giugno 2008 (Menzione d’onore Premio Bellizzi anno 2010),
• “Alle lumache di aprile” LietoColle collana
Aretusa giugno 2010 prefazione A. Rigamonti e postfazione G. Linguaglossa
(segnalazione speciale della 15^ Edizione Premio Letterario Nazionale di Poesia
e Narrativa ‘Città di San Leucio del Sannio’ - Sezione C-Poesia edita -, il riconoscimento
di Merito Artistico Premio Made in Italy S. Agata de’ Goti per lo stesso anno
2010 e la medaglia ArTelesiaFestival 2010 Premio speciale all’Autrice Rita
Pacilio distintasi quale migliore Artista Sannita dell’anno.
• “Gli imperfetti sono gente bizzarra" La Vita
Felice 2012, prefazione di D. Rondoni.
'Il pensiero umano, sia percettivo che intellettuale, indaga sulle cause degli avvenimenti tenendosi il più vicino possibile al luogo dove i loro effetti si producono.' (Rudolf Arnheim – 1954, Arte e Percezione visiva)
RispondiEliminaGrazie, caro prof Guglielmin, per aver letto il 'dolore' di questo mio cammino poetico nella chiave dell'antropologia cosmocologica che passa, comunque, per la filosofia. Secondo Hegel il dolore è un privilegio degli esseri più elevati, un privilegio della vita, dell’uomo in quanto essere capace di 'sentire' l'essenza più intima della natura vitale. Per molti poeti (Novalis, Leopardi) il dolore era una giustificazione all'aver sofferto e per alcuni medici antropologi (Buytendijk)il dolore è un qualcosa che nella vita termina, mentre è l'aver sofferto che permane. S.Agostino e altri hanno cercato di non considerare il dolore come elemento fondamentale della esistenza umana per non sopravvalutarlo, forse.
Credo che il dolore sia un marchio, un distintivo, un sigillo che condiziona fortemente il nostro cammino personale, sociale e intellettuale. Montaigne attraverso i propri 'dolori fisici' ha imparato ad apprezzare, per quanto desiderava non soffrire, la qualità della lucida coscienza e dello spirito brillante, della salute mentale, quindi. Ecco, credo che la salute della 'ragione' sia un grande privilegio.
Grazie per l'ospitalità qui, luogo di alta poesia, di confronto, di crescita vera.
Rita Pacilio
il tuo commento è molto dettagliato e si concentra sul dolore. Se leggi bene, tuttavia, non c'è solo questo nella mia lettura. A me sembra che tu parli anche a chi sta fuori, ai "perfetti" che sono disposti a farsi accoglienza, a diventare relazione. Anche loro sono il tuo pubblico, non soltanto che ha patito. Ti sembra credibile questa ipotesi?
RispondiEliminaCerto! Essere riuscita a vestirmi da 'imperfetta' per dare una coscienza a chi non ne è in possesso per dialogare con un mondo, spesso, chiuso alla comunicazione, spento e disinteressato al colloquio con chi ha solo un corpo o pochissimi elementi di esso per 'dire' è stato un grande e sconvolgente 'progetto poetico/sociologico'. Il reale ha preso consistenza attraverso il poetare, sì, hai detto bene: ho dovuto utilizzare le metafore pungenti come lance, ho dovuto 'urlare' per farmi sentire dai 'più'. La narrazione ha mosso il 'dentro/fuori' trascinando una eco ampia, tanto quanto era la risonanza della richiesta che volevo partisse da un luogo come quello: 'Guardateci, non abbiate paura, sbaviamo, mandiamo cattivi odori, siamo a pezzi, la nostra mente funziona male, ma siamo come voi, pezzi di voi, apparteniamo al vostro stesso mondo. Ci basta un vostro sorriso, una carezza, non chiediamo molto, ma non ci escludete, non ci emarginate' Ed è vero. a loro basta davvero pochissimo per essere felici.
RispondiEliminaGrazie per aver colto tante sfumature psicosociologiche da queste mie 'parole'.
Rita Pacilio
mi chiedo come si possa stabilire chi non possieda coscienza.. e come, in vesti che pare l'autrice non consideri proprie, si pensi di poter essere in grado di 'dare' qualcosa che è, di per sé, quasi indefinibile..
Eliminase ho compreso male me ne scuso..
Quando si entra in un ospedale psichiatrico 'incontri' diverse patologie che riguardano molteplici disturbi mentali. Il mio non è stato un viaggio da 'operatore sociale' ma da autrice/sorella. Consiglio la lettura del libro e la documentazione a esso correlata per averne tutti gli approfondimenti. Vorrei a tal proposito riportare il commento al testo del prof Eugenio Borgna, forse può dire meglio di me:
EliminaGentile dottoressa,
non leggevo da tempo poesie contemporanee di questa dolorosa arcana bellezza e di questa meravigliosa attonita grazia. Le ho lette, l'una dopo l'altra, affascinato e commosso dalle immagini, dalle metafore, dalle invenzioni linguistiche, dagli snodi tematici, dalle intuizioni di quella che è la voce segreta e lancinante della sofferenza psichica, dalla delicatezza e dall'amore con cui lei fa suo il dolore dell'anima di Alfonso. Non sono, ovviamente, un critico letterario ma da sempre leggo poesie che mi aiutano a resistere, e a comprendere meglio il dolore e la tristezza, la gioia ferita e l'angoscia, che sono nel mondo; ma di queste emozioni lei ci dona testimonianze inaudite e indimenticabili. Non posso se non ringraziarla, di cuore, di questo libro che ho letto, e che rileggerò senza fine. Quasi qualcosa del pensiero poetante di Georg Trakl: giungo a dirle questo. Grazie, grazie infinite, e che il Natale le sia sereno.
Eugenio Borgna
4.12.12
Ai 'perfetti' ho voluto lasciare un messaggio di fiducia oltre che un monito, un comunicato di speranza. L'imperfezione o il male appartiene al mondo, così come la perfezione e il bene. Le contraddizioni sono insite nel nostro corpo e forse sono la nostra salvezza, la misura stessa del nostro confronto. Vorrei fosse l'amore, il coraggio d'amare, l'accoglienza all'amore la soluzione al dramma che ci declina costantemente verso la drammatica domanda: 'Perchè accade, perchè viene permesso?' Scivolare verso il dubbio arido e sterile ci pone in uno stato di sospensione oscura. Questo vorrei non accadesse al lettore del mio libro.
RispondiEliminaRita Pacilio
Che mi dici della scelta delle quartine quasi tutte, o forse tutte, chiuse da punto fermo? La trovi una misura adeguata per esprimere un pensiero?
RispondiEliminaHo 'parlato' utilizzando un ritmo teatrale che mi sembrava più idoneo alla scena che volevo rappresentare: i versi finiscono nella cadenza del loro stesso significato. Un modo, questo, che parla fuori dalla memoria, fuori dall'impulso giudicante, fuori dal limite dell'interiorità. Una scelta di stile e di oralità necessaria per resistere al disagio intenso e a una forma preconfezionata. Un pensiero può essere espresso in diversi modi: ognuno può utilizzare la propria costruzione emotivo/sintattica, rispettando, comunque, la poesia.
RispondiEliminaRita Pacilio
spogliarsi di perfezione per vestirsi di bianco imperfetto
RispondiEliminaleggendo mi giungono colori, i primi colori e le "scene" sospese e concrete, i gesti statici dell'ora essere "in ombra" ma voce
porgere la voce, dare voce al luogo-disegno che tutti (ci) abita come natura e prima della memoria
elina
come un'immersione nel lago. grazie.
EliminaMovendo dall'assunto che “tutta la poesia è oscura perché è polisensa e può essere letta a vari livelli” (Luciano Luisi), apro ogni libro di poesia con l'entusiasmo dello scalatore ai piedi di una montagna nuova, munito, sì, degli strumenti necessari a raggiungere la vetta ma libero da ogni pre-visione.
RispondiEliminaMai come nel caso de “Gli imperfetti sono gente bizzarra”, questa disposizione risulta fondamentale. Fermarsi ad un primo livello di lettura, quella più immediata nella quale vorremmo riconoscerci, significa interrompere la scalata a pochi metri dal terreno rinunciando alla visuale maestosa che ci aspetta in cima.
Il piccolo lago vulcanico di Nemi segna il confine fisico fra il mondo del consueto, riconosciuto come normalità, e un mondo altro, parallelo, dove vivono gli “imperfetti”, è trait d'union con la realtà e soglia liquida da oltrepassare per accedere al luogo di un altro vivere, ma per farlo occorre affidarsi al poeta, lasciare che ci prenda per mano e ci conduca con sé in visita al fratello Alfonso.
Man mano che ci si addentra nell'abisso, il linguaggio sublima da visivo a visionario, necessariamente, in un crescendo di dolorosa intensità che culmina nell'assunzione totale su di sé del dolore fraterno.
Il contatto è dialogo dei sensi, simbiosi delle anime che supera la parola, compenetrarsi di pupille, gesto di accudimento di sorella-madre che sa essere amore nel silenzio.
E il lettore è là, a pochi passi da loro, sopraffatto dal chiarore emanato dalla fredda consapevolezza delle descrizioni oggettive e segnato dalla grazia feroce con la quale il poeta donna è capace di denudarsi per mostrarci le piaghe più intime della sua stessa carne.
Maria Grazia Di Biagio
commento sentito, grazie.
EliminaHo cominciato a intuire la profondità e complessità di questo testo poetico che la poetessa dedica al fratello Alfonso dalle varie recensioni che ho letto sui blog. Certamente è impresa ardua nonché sofferta esprimere nel linguaggio poetico il disagio di una persona cara. Da quel che leggo mi pare che la Pacilio non cada mai nel tranello del sentimentalismo e della retorica. La sua è una poesia dolce e talora anche cruda che entra nell'animo.Di qui l'originalità. Peraltro la Pacilio è poetessa del sud e con i suoi versi fa onore alla nostra bassa Italia spesso dimenticata... Rosa Salvia
RispondiEliminaRileggo oggi con piacere l'accurata recensione del prof Guglielmin e ancora ringrazio :)
RispondiEliminabuona estate a tutti!
Rita Pacilio
grazie Rita!
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