venerdì 1 febbraio 2013

Andrea Donaera



Nel segnalare la scelta oculata degli autori da parte della Marco Saya Edizioni, mi soffermo su Certe cose, certe volte di Andrea Donaera, giovanissimo pugliese, già al sesto libro di poesia. Il registro basso, d'impianto narrativo, mette al centro un inetto goffo e grasso, che ha letto Montale, ma parla come un analfabeta e che ha la netta percezione di stare svanendo. L'effetto è tragicomico; il grado di realtà, denso.  Personaggi così li abbiamo già incontrati, soprattutto nella narrativa, da Luigi Malerba ad Aldo Nove, ma è un bene che  entrino anche nell'alveo della poesia (lo aveva fatto benissimo Matteo Fantuzzi in Kobarid): la riportano per terra e soprattutto rimettono in questione quell'alto tasso di egocentrismo che sporca la creatività contemporanea. Danaera è un giovane colto, per questo usa l'arma dell'ironia. Non è un tragico che racconta la propria inattualità sofferta né un naif che improvvisa una lingua fuori dall'accademia: l'anacoluto, lui, lo sceglie quale sintomo di una civiltà – anche nella sua parte istruita – che non sa comunicare; lo prende in prestito per darle la parola e così mostrarla nella sua nuda inconsistenza. E tuttavia, si dimostra pietoso verso gli uomini persi. Ce li fa amare attraverso questo personaggio dominato dalla tenerezza, che aderisce ai cliché mass-mediatici (la finale dei Mondiali, le scommesse al "Fantacalcio", Dylan Dog), ma soprattutto che cerca affetto in una donna che non lo vede ("Dunque mentre facevi ritorno non vedesti / la macchia nera sul muro bianco che ero io") e non potrà mai raggiungere, tanto da suggerirle: "Dai / fa un bambino", fatti mettere incinta dal tuo uomo, "e chiamalo come me".

Certe cose, certe volte è una dichiarazione d'amore fatta a cuore aperto, dopo aver svuotate le viscere dal sentimentalismo e messo in pari idiozia e purezza; ed è un punto d'arrivo anche sotto il profilo stilistico: lo si capisce dalla dichiarazione di poetica de "il giorno del compleanno, per esempio", dal sublime che ancora contiene. Tutte le altre poesie sembrano passate con la verichina per toglierlo, per stare quanto più possibile vicino alla vita psichica del personaggio. Poesia, qui, significa mimesi emotiva e, nel contempo, sottile distacco ironico. La funzione poetica la dà il secondo termine, difficilissimo da governare, da tenere attivo proprio per la sua effimera consistenza.




Io l’altro giorno stavo affacciato al balcone
e la ringhiera del balcone traballava,
mi faceva paura quel traballare,
e niente, e allora ho guardato di sotto,
c’era la strada, un gatto
investito, e niente, sono rientrato.



*

Il giorno del compleanno, per esempio

L’idea per una poesia
che parli di quei baci che si danno sulle guance –
il giorno del compleanno, per esempio –
ma non dire nulla
delle labbra che si appoggiano sulla barba,
non dire nulla
del piegarsi verso un volto e lasciarsi raggiungere,
dire invece molto – molti versi –
sul passaggio
da una guancia all’altra
rapido, rapidissimo,
e della folata di respiro
che mi hai seminato sulla bocca
nel passaggio
da una guancia all’altra
rapido, rapidissimo,
la sera del 20 giugno.



*

Poi hai iniziato a lavorare e il lavoro,
si sa, disabilita l’uomo, rende
distanti due come noi che mai sono
stati uno, mai tipo Montale e Mosca,
ma che ci vuoi fare, che ci vuoi fare,
adesso che sei un’impiegata a tempo
determinato, che non leggi più
i miei versi ma soltanto scartoffie
da firmare, contratti da redigere,
e porti i soldi a casa e porti lui
a cena, lui che affitta case, lui
che magari ti mette incinta e poi
la smetti di fare questo lavoro
che mi rovina, mi rovina i versi,
questo tuo lavoro è la mia rovina,
mi fa sembrare un narratore che
narra cose senza pubblico. Dai,
fai un bambino e chiamalo come me.



*

Io da te voglio che stiamo su una panchina

Io da te voglio che stiamo su una panchina,
ridere di certe cose che dici,
certe cose che dico,
non lo so, cos’è?, una pretesa?, dimmi,
senza alzarti, resta ferma seduta,
dimmi, che così mi ricordi il mare
d’Olanda, agitato, freddo, stai ferma,
io da te voglio che stiamo così,
che mi guardi e prendi bene la mira,
le cose che mi dici non voglio che mi manchino.



*

Poi è venuta mia nipote, mi ha chiesto:
«Ma è vero che quando uno muore vola?»,
«Non lo so, tu che dici?»,
«Ma io non sono mica morta, ancora,
che ne so? Tu lo sai? Tu sei mai morto?»



*

Il Bar della rabbia

E brindo a chi è come me
al Bar della rabbia.
[Alessandro Mannarino, “Il Bar della rabbia”]


Al bar, dietro di me, c’erano due,
che questi due si baciavano forte –
facevano quei rumori che fanno
i baci, quei rumori –
e niente, mi sono voltato, ho detto:
«Abbiate pazienza, eh,
ma è meglio se coi baci la smettete un pochetto,
che insomma, per favore, dai», ho detto a quei due al bar,
e loro niente, loro continuavano, loro,
che si amavano, è chiaro, pure molto
si amavano, quei due, secondo me,
ma io non li potevo mica capire,
che io di certe cose non ne capisco,
no: io i baci, l’amore, non ne capisco.


Andrea Donaera è nato il 20 giugno 1989 a Maglie (Lecce), da padre sardo e madre salentina. Vive a Gallipoli, dove studia Filosofìa presso l'Università del Salente, e si occupa di teatro, musica e poesia. Ha pubblicato: De atra Lacruma (Premio Barocco Editore, 2009); Sfoglia me — con Antonio Brunetti (Autoprodotto, 2009); Ombre e Quesiti (ApprodoSalento Edizioni, 2010); Additato (Edizioni II Papavero, 2011); II latte versato (Sigismundus Editore, 2012). Diversi suoi testi sono stati pubblicati e segnalati su riviste web e cartacee nazionali, ed è presente in numerose antologie.

  

20 commenti:

  1. ESSERE FAMOSA

    Sei tanto bella
    e tanto forte
    in confronto alle altre donne.
    Basta fare il tuo nome,
    che ti danno gratis
    liquori, caffè e sigarette.
    Sei quindi come una raccomandazione,
    ti chiamerei Democrazia Cristiana.
    Sei sulla bocca di tutti,
    ma non in male, in bene.
    Cammini sullo stradone,
    capisci qual è il problema del giorno
    e subito parli, dici la soluzione.
    Intorno a te
    un ronzio di contentezza.

    Quella qui sopra è una poesia di PINO SIMONE, un uomo grande e grosso, timido, con barba, che stava al CIM di Martina Franca in Puglia, e che scriveva poesie come forma di terapia. Belle poesie in molti casi, con questo taglio un po’ naive che ho riscontrato anche nelle poesie di Donaera.
    Ecco, sono d’accordo su quanto dice sopra: riportare la poesia alla marginalità della vita, negli spazi dimenticati, oltre sé, è utile importante. Ma mi chiedo sempre, senza alcun intento polemico, solo per esperienza, fino a che punto sia valida un’operazione che è pur sempre mimesi, rappresentazione, quando poi ai veri umili, ai marginali come Simone ad esempio, o a poeti ancora più bravi di lui, non viene data, o solo in rarissimi casi, la possibilità di mostrarsi, e solo se diventano un “caso”, quindi tirati fuori dalla marginalità, che a quanto pare proprio non riusciamo a sopportare così com’è. Non è uno strano cortocircuito?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. su Blanc si pubblica chiunque sia capace. Mi mandi le poesie di Pino Simone e, se mi piacciono, le posto.

      Elimina
    2. Marco Scarpa2/2/13 16:44

      Ragionandoci è una domanda da porsi quando la marginalità (fisica, sociale) di una persona e la sua magari specificità (cultura sghemba, visione differente, parlata alternativa) diviene letteratura (poesia, prosa, altro) e quando rimane solo fenomeno da osservare per capire magari un dato contesto o una data situazione. La scrittura può avere molte conseguenze e a volte rimane la testimonianza a volte qualcosa oltre la testimonianza, un solco nuovo, uno scollamento, uno spostamento di un confine. Ora non è il caso emblemativo quello trascritto su Blanc ma la questione può diventare interessante, ragionare sulla valutazione di un'opera anche a seconda del suo fascino per le cose diverse, distanti più che per la loro reale portata di "scavo". Non che sia necessaria una scala di valori, una semplice testimonianza può essere ugualmente fondante, ma capire le logiche e le conseguenze dietro ad un testo è dato che mi incuriosisce.
      Pensieri al volo, condividendo,
      buona giornata,

      Elimina
  2. “io da te voglio che stiamo così,
    che mi guardi e prendi bene la mira,
    le cose che mi dici non voglio che mi manchino.”

    Questi versi, tra i tanti, sintetizzano una poesia che racconta e soprattutto osserva la propria vita e le vite altrui attraverso un linguaggio pienamente radicato nei rapporti umani. Una poesia che ci dona delle istantanee dove il minimalismo del dialogo, quasi un lieve pensare “a voce alta”, sta a significare, forse, il tentativo di una generazione ( la sua ) di aprire discretamente la comunicazione all’essenzialità della parola, una parola densa e pregna di significato, un inizio per poter essere un altro da quel “mi fa sembrare un narratore che narra cose senza pubblico.”

    RispondiElimina
  3. La bellezza della poesia di Andrea sta nell'essere strettamente connessa al quotidiano, al linguaggio di tutti i giorni, con un parlato minimale, che si trascina dietro quello "slang" tipico meridionale (in questo caso pugliese, come me) che sento molto vicino. Però la poesia è forte quando seppur minimale riesce a tracciare l'intensità giusta, in questo caso lanciata dal pulpito di un essere "semplice", "modesto" quasi uno "gnaghi" sclaviano, dunque un "freak" del nostro tempo, che nella sua ingenuità riesce a dare voce alle grandi verità dell'esistenza e non solo a quei super voli pindarici, quasi mai visibili, che richiamano all'oltre, in molta poesia militante. (Io da te voglio che stiamo su una panchina, o Il bar della rabbia penso rispecchino bene questo discorso). Complimenti ad Andrea e al post di Stefano. Devo dire che Marco ha fatto una bella selezione nella sua collana, catalogando diversi stili ma di qualità, dunque sono felice di appartenere alla schiera dei suoi "prescelti", da quel che ho letto il livello è medio-alto, dunque bene (ovviamente mi escludo, dalla qualità, però leggendo Maurizio, Franz, Andrea e altri noto con piacere la bellezza e la diversità di ciascuno). Un caro saluto

    Antonio Bux

    RispondiElimina
  4. Sono d'accordo con Antonio Bux, una poesia minimalista ma che paradossalmente riesce a dar voce alle grandi verità dell'esistenza. Dunque Bella! Complimenti!

    RispondiElimina
  5. bene. anche per la collana di Saya.
    dopo, dico: pensare alla poesia come a un corpo significa che si condivide l'idea di verità come essere plurale. C'è quindi la testa e il culo, la bocca e il piede. Tutti sono necessari se sono davvero testa culo bocca e piede.

    RispondiElimina
  6. Andrea Donaera2/2/13 17:24

    Grazie mille. È una recensione bellissima.

    RispondiElimina
  7. Belle poesie. Complimenti! Bello lo sguardo, "di taglio", sulle cose. Una poesia che è azione sul mondo, ossia è (ri)fare il mondo, guardandolo da una prospettiva che non può che essere al margine.
    Grazie.
    Elena

    RispondiElimina
  8. ecco.. a me piacerebbe proprio saper scrivere così.. ma purtroppo non sono abbastanza 'libera' per farlo..
    per 'così' intendevo il modo.. non quel 'così' che è solo suo.. e anche alto direi..
    insomma mi piace proprio tanto questo autore..

    RispondiElimina
  9. un bel dire forte e chiaro, anche senza drammi grandi; l’indicazione di un punto di vista sulle cose che mi vien voglia di frequentare. e poi come un invito a dare ascolto, e magari ogni tanto voce, al freak che ognuno ha dentro. grazie
    raffaele

    RispondiElimina
  10. per scrivere così bisogna essere così (almeno da qualche parte dentro, come scrive Raffaele)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. vero, ma a volte non basta, non sempre si sa dare voce a tutto ciò che si è o che si è stato.. però ritrovarsi nelle parole degli altri è bello lo stesso.. :)

      Elimina
  11. 300 visite in due giorni: niente male!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. alle 20,55 del 4/2: 410.

      Elimina
    2. più avanti vi dirò perché vi do questi dati

      Elimina
  12. Io ho già visitato più volte.
    E adesso scrivo tutto il mio apprezzamento.

    Francesco t.

    RispondiElimina
  13. Molto interessante, questa scrittura. Fa un bell'effetto il contenuto ultradiscorsivo e bassissimo (anche se credo solo apparentemente casuale) confezionato in un un contenitore poetico tradizionale. Del resto, fa un bell'effetto anche il contrario. L

    RispondiElimina