La casa editrice Dot.com Press Le
Voci Della Luna, in collaborazione con la casa editrice Pivec di Maribor
(Slovenia), per il secondo anno consecutivo ha organizzato le selezioni
italiane per lo European Poetry Tournament, il cui bando era stato pubblicato
anche presso questo sito. I vincitori delle selezioni nazionali dei paesi
coinvolti (Austria, Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Ungheria, Slovacchia,
Italia) saranno invitati a partecipare, oltre alla serata finale di Maribor il
17 novembre, anche agli eventi promozionali che si terranno a Zalaegerszeg, in
Ungheria, il 15 novembre, ed a Sarajevo, in Bosnia-Erzegovina, il 13 dicembre.
Al segretario del premio
Francesco Tomada sono pervenuti 86 elaborati, che i giurati (Gabriella Musetti,
Stefano Guglielmin, Giovanni Tuzet, già vincitore lo scorso anno) hanno
esaminato in forma rigorosamente anonima, essendo ciascuna poesia
contraddistinta solo da uno pseudonimo. La giuria ha constatato che tutti i
lavori proposti rispettavano le condizioni previste dal bando, e che i
componimenti di elevato valore erano numerosi, per cui il lavoro di selezione
non si è rivelato facile.
Il vincitore della selezione
2012, che parteciperà quindi alla fase internazionale dello European Poetry
Tournament, è
Daniela Raimondi, con la poesia “Ritratto”.
Daniela Raimondi, con la poesia “Ritratto”.
RITRATTO
(DANIELA RAIMONDI, VINCITORE)
Aveva
lavato i più piccoli dentro il catino.
Sfregato
col sapone le ginocchia, il collo,
la
piega dietro le orecchie.
Il
fuoco era acceso. I corpi fumavano.
Aveva
lustrato le scarpe, spazzolato le giacche,
messo
un nastro nei ricci della bambina.
Poi
era uscita: il piccolo in braccio,
un
altro per mano.
I
più grandi seguivano.
Camminavano
svelti, gli occhi abbassati,
i
corpi stretti dentro i cappotti.
Quel
giorno mia nonna andava a fare un ritratto.
Voleva
una foto dei figli da mandare al marito.
In
Abissinia – dicevano,
a
Natale il sole brucia ancora le pietre,
le
donne hanno sguardi che fanno tremare le tigri.
Lì,
invece, l’inverno splendeva sui loro capelli,
il
ghiaccio copriva i rami dei pioppi.
Il
fotografo li compose come un mazzo di fiori:
tre
davanti e tre dietro.
Aveva
aggiustato le frange, poi i fiocchi, i colletti.
Tutti
fermi. Sul viso hanno lo stesso
stupore.
Li
osservo. Nella foto ogni cosa ha il suo
posto:
la
tenda di damasco, le schiene diritte,
la
mano del primogenito sulla spalla del fratello più giovane.
Fissano
l’uomo nascosto sotto il nero del panno.
Nessuno
sorride.
Uno
ha il cappello calato di sbieco,
l’altro
indossa un maglione infeltrito.
Nella
fila di dietro, mia madre: tredici anni, il viso sottile,
un
vestito severo, nemmeno un accenno di seno.
Mia
nonna manderà quella foto al marito.
Scriverà
che tutti crescono bene,
che
il più piccolo ha messo due denti,
che
deve comprare scarpe nuove, e le maglie, e i quaderni.
Tacerà
del freddo che ghiaccia i canali,
del
gelo che s’attacca sui vetri, dell’olio finito.
Tacerà
del settimo figlio che già calcia nel ventre.
È
successo l’ultima volta.
Era
tornato con addosso l’odore dell’Africa.
Ogni
notte saliva sopra il suo corpo
e
spingeva nel buio.
– attento a non fare rumore, attento
che i bambini poi sentono... –
Poi
restava in silenzio:
gli
occhi fissi sulla finestra,
e
la paura che lui le piantasse nel ventre
un
altro bambino.
Adesso
gli spedisce la foto.
Non
gli dice del figlio che le ingrossa le vene.
Non
vuole parlargli del peso che già preme contro le ossa
e
reclama il suo pezzo di letto, un lembo di fame, una voce,
la
saliva che brilla
e
già scava il suo nome nel buio.
ROSA DELL’ANIMALE (MARIA GRAZIA CALANDRONE)
questo suono d’incendio della
carne dunque è il cielo.
carne che arde come legna e
infiamma
i tralci e le colonne: dal
capitello delle tue gambe ora
sale un bianco d’inferno.
quando un uomo ringrazia per
il corpo ha detto sì: sì
al dono e alla prigione
e la sua gratitudine leva un
rumore
di metallo battuto e
tamburelli
nel più alto dei cieli,
innalza
l’essere erbaceo del mondo
nella gioia di questo
che è. la gioia degli uomini è la sola lode
che piace a Dio. quest’uomo
non avrà smesso di cercare,
solo
è felice, incamminato nella
direzione delle cose:
nel carminio del cuore, nella
ferita che diventa fiore e nel veleno
al quale è preparato dalla
nascita. ora è potente come l’animale che
non sapendo
sa. non lo
turba l’insonnia. Dio è questo
animale, l’uomodonna, la
frusta
dei nervi tesi dall’eresia,
la nostra ombra gemella
di cerva e tigre, di cane
e serpente femmina che si
acciambella
nel rovo dei tuoi denti, la
mia spirale nobile e infernale
sui tuoi polpacci e il morso
di tutti gli animali, del
cinghiale e del lupo
la zampata dell’orso e la sua
fiamma
terminale nel rosso del mio
cuore.
amami dunque.
tienimi
nell’aperto del tuo petto
con
odore di scimmia
e
d’erba secca e menta e ibis scarlatti, tienimi nell’odore
di
albero bruciato del tuo cuore, tra le fiere dirotte
del
tuo cuore: sotto la dentatura delle scimmie
che
masticano bambù
e
sono a somiglianza degli umani
nude
e rapaci come un’infezione
profonda.
scimmie
sotto
le foglie a cuore delle catalpe, scimmie come dettagli
di
inferni bruegeliani
mi
guardano dal fondo del tuo petto con l’occhio umido degli animali
sottomarini
(l’occhio perlaceo e fisso
delle
murene), si sfregano come diavoli
fino
alla trasparenza della pelle
hanno
una garza sull’osso
portante
della schiena, sono innocenti.
io ti accolgo, ragazzo, come
il morso di bestia
LA CASA OBLIQUA (ANTONIO BUX)
Era una porta in principio la testa, bussando il
polso,
il pensiero della casa. Niente si è esposto, dopo
nel moto inverso, invisibile dell’abbraccio celeste,
la funzione del perimetro, l’insorgere alle finestre;
e così gli spifferi impronunciabili, e l’uscio obliquo
negli arredi al buio, il miracolo dei muri. (Che
inizia
dal basso, la geometria della visione, dalla calce
comprimersi in un filtro -vincolarsi-
nell’effrazione).
E allora tutto implode, dalla botola dell’esistenza:
si arriva nel sangue delle tubature, si taglia il
cuore
s’accampano le ossa. E quindi, più del dolore disegna
la casa, la rivolta; degli oggetti si conosce la
polvere
il nome, la scatola d’ombra. E il condono dunque
è svuotare gli stipiti, appendere il futuro agli
angoli.
Ma doveroso è il censimento: il ritratto fuori,
nell’insieme
sotterraneo cede, aderisce all’inferno,
all’insubordinazione
anatomica del passo, che non sa retrocedere
nell’origine
e scompare, misurato dal lungo metro dell’attesa
dove si precisa il tetto, la
funzione urbana, la strada spaccata.
BALBUZIE
(CRISTINA ANNINO)
Quella colla lo riporta indietro.
BU
l’allarga, non vuole, braccia
in su, lui ha
fretta, ma anche
allentandola, di più
stringe. E’ carica al peggio di sé, la sua
liquefatta altezza. Macché
sale della terra, noi! Distante
100 milioni d’anni dalla prima formica,
eppure siamo le sue larve, ché ancora
si scrive sulle Papaie, non ermetici né anarchia!
Esibiva, per prova misera
libri farneticando, come
l’ultimo sogno del gran
Disumano.
******
Nella stanza di palme zitte,
sdraia
sotto la schiena le gambe;
pareva
un tallo. Pensa al sistema
abitativo di loro, rotoli di tabacco
puro nell’ozono dei rami. Poi
libri,
sale, le
guerre; conta: “più-meno-
memoria” Con balbuzie pulsante accese
e spense film: Fukuschima, pesante
troppo sulle persone (altro
calcolo
gratis), sarà sempre sulle
nostre spalle, come questa
colla! sulla corte
dei conti, persino
sui gonfi tacchini e il
volgare
pollaio di qualche scienza.
Peserà. Così
gli parve. Poi basta, poi
via, poi destra sinistra
dello stesso
collo, la sua balbuzie
diventò carne.
CONFINI (MARCO BELLINI)
Davvero non si pensava che anche un
fosso,
lì, appena discosto dallo sterrato,
potesse essere un nido, quasi un
letto;
che fossero uno stelo d’erba e una
ciglia
legate alle stesse ore. La paura
una coperta per l’età di questi
uomini
che si contano le unghie scure
nella terra
e sul vicino il sudore animale.
Oggi è così
i rumori sparati, i rumori lanciati
si diradano,
tornano nel fosso i movimenti, le
articolazioni allungate.
Tra loro non si guardano, non fanno
domande
nessuno si riconosce, nessuno
racconterà quelle ore. E il giorno
dopo:
un tronco cavo, una corda,
agivano sulle cose attorno per tenersi saldi.
Misuravano il rischio da prendere, la forza
della corrente. Di là un argine fiorito
la cadenza di un nome diverso, di una bandiera,
i suoi colori mai incontrati. Cercavano
un’altra opportunità; da lì sarebbero passati.
Lo studio del terreno, le curve,
la spinta della bracciata; per avere un riscontro
non bastavano, come credevano.
***
San Felice
sul Panaro
20 maggio
2012
(FEDERICO
FEDERICI)
senti? polvere che adorna la
rovina della terra
si solleva a scatti, a sciami
afferra le caviglie,
alle radici stringe la sua
frusta e tira, strappa
i vetri e vortica tra i
buchi, si divarica in fessure,
sale sradicando arbusti e
vene nella roccia,
artigliando travature in
bilico sul vuoto
nei cantieri, scortica
grovigli elettrici
di cavi, scaraventa recidiva
nugoli
di pietre e fumo, toglie il
peso ai vivi
dopo la vertigine la veglia,
le vigilie
mute d'altri tuoni senza
lampi, notte
e giorno stesi nei rigurgiti,
nei gorghi,
le gengive nere per la terra,
gonfie
di poltiglia densa e getti
d'acqua
ininterrotti – l'emorragia
continua
cancellate, crepe e cumuli di
pietre
circondano a settori il
vuoto:
qui un altare senza ceri o
croci,
lì un giardino sconsacrato
senza fiori
i fischi, i pianti, i gridi e
le sirene
ricadono più inerti di macerie,
è solo un alveare di arnie
vuote
la città, in cui non c'è più
casa,
o cosa intatta, o verbo a
ricucire
il labbro alla ferita e
metterli tacere
semi secchi senza odori,
rotti, ossi,
tonfi sordi, rotolati nei
rigagnoli dei fiumi,
rimangono sospesi in acqua
che non scorre
e trema con la terra e col
sudore sulla fronte
nello spasmo che contrae le
viscere vacilla
ancora la città sui resti,
l'acqua erompe
densa dagli scantinati,
spinge i suoi rifiuti
morti fuori, i gusci e le
immondizie, i mezzi
vivi ad occhi chiusi in
agonia da parto
sino a che c'è forza da
sfogare, il ventre
inciso, smarginato, prosciuga
le sue piaghe,
non si cuce addosso la
voragine che sputa,
ingoia e sputa coi detriti il
sangue
la polvere s'affina nella
luce alle fessure,
la pioggia ferma cenere che
soffia il fuoco
spento e fa cadere a peso il
fumo; scure
spire di fuliggine tempestano
i gironi
terrestri, neve nera di altri
giorni porta il buio
NELL’ANNO CHE SORTIVO
DALL’OSSARIO (FRANCESCA MATTEONI)
Buio – io credo sia stato
ma come un lampo nel campo rovesciato
nell’anno che sortivo dall’ossario
e m’invischiavo al cretto
svenavo l’amnio della camiciola
nel foro sgangherato della terra.
Te la ricordi, la voce quando è un filo senza bocca
un fumo risalito come certe arie dell’alba
poi è limpido lo stelo,
la prima cavolaia, la farfalla?
Scendono per tre giorni le trivelle
inghiottono la pelle e il tremolio.
Sono il bambino-ghiaccio, il bimbo immobile
roccioso, il singhiozzo.
Non è che tutto ha sempre una ragione.
Dal fascio acceso della televisione, sei come me
mi senti, puoi salvarti. Puoi esistere
anche tu dimenticato, orbato
del tuo pezzo di paura. Non vedo più
troppo bene il sole.
Altri bambini, altrove, si proteggono.
Si calano l’un l’altro nel mio cuore.
Dev’essere così, mamma, che accadono
le cose morte, velocemente inutili nel mondo
– la screziatura delle pratoline
le ciocche troppo lunghe, aggrovigliate,
i graffi quando si corre forte
le braccia raggiate nel sudore
l’odore, le teste immerse, sporche.
IL RETICOLATO (FABIO FRANZIN)
Lo
ha estratto il mio figlioletto dalla terra
ammorbidita
da una pioggerellina
benedetta
dopo un mese di siccità
e
caldo infernale, questo pezzo storto
di
reticolato arrugginito che ora
mia
moglie ha infilato, lì, ritto,
in
uno dei suoi bei vasi di vetro,
come
se fosse un fiore. Raccolto
sabato
scorso durante un picnic
sul
Montello lungo un vigneto
di
prosecco, a due passi dal Piave,
dai
resti dell’abbazia di Nervesa[1].
Venti
centimetri di ferro attorcigliato,
in
centro le tre stelle dalle punte acuminate.
Gli
dico che lo tendevano, tre file lunghe
ogni
asta, davanti alle trincee, come ostacolo
all’attacco,
come ultimo baluardo prima
dello
scontro all’arma bianca. Lo guardo,
questo
spezzone troncato chi sa se
da
una bomba o da una tenaglia, chi sa se
storto
da un corpo crollatogli sopra, morto.
Lo
guardo, questo pezzo della corona di Cristo,
questo
rovo rimasto piantato dentro la terra
per
quasi un secolo senza mai produrre more,
questa
reliquia del male, dell’odio. Lo guardo
come
si osserva un fossile, una menzogna.
Ora
che le spine dell’Europa sono composte
dai
numeri rossi e negativi di spread e debiti,
dagli
eserciti inermi dei disoccupati, e non
è
bastato il giovane sangue versato fra l’erba
e
i sassi per far spuntare il fiore della pace.
***
O i vostri nati torcano il viso da voi
P. Levi
(AZZURRA D’AGOSTINO)
Si
apre un cielo di stelle incantabili:
credevamo, venendo qui, di numerare
sul quaderno altri modi: passare in rassegna i visi,
o i chiodi che reggono i muri,
i duri sassi sotto montagne di scarpe.
Ma per noi, i residuali, è poco più di una sterpaia
questa slargata campagna orientale, e ci fa male
un qualche punto del cuore che non è proprio il nostro cuore,
ma una cosa da poco, involtolata in fretta
per essere portata via.
Potremmo dire che in qualche modo
tutto comincia da qui: è in questi
secchi occhi di postumi che si specchia ora il mondo.
Dovremmo forse essere tante cose migliori di questa,
di questo vialetto interrotto, di questo vento astratto, tardivo,
che ci sganglia come fanno le parole:
un breve animarsi di foglie secche,
un'ombra nel cielo deserto,
l'amare soltanto quello che è perso.
credevamo, venendo qui, di numerare
sul quaderno altri modi: passare in rassegna i visi,
o i chiodi che reggono i muri,
i duri sassi sotto montagne di scarpe.
Ma per noi, i residuali, è poco più di una sterpaia
questa slargata campagna orientale, e ci fa male
un qualche punto del cuore che non è proprio il nostro cuore,
ma una cosa da poco, involtolata in fretta
per essere portata via.
Potremmo dire che in qualche modo
tutto comincia da qui: è in questi
secchi occhi di postumi che si specchia ora il mondo.
Dovremmo forse essere tante cose migliori di questa,
di questo vialetto interrotto, di questo vento astratto, tardivo,
che ci sganglia come fanno le parole:
un breve animarsi di foglie secche,
un'ombra nel cielo deserto,
l'amare soltanto quello che è perso.
11
marzo 2012, Auschwitz-Birkenau, Polonia
NUOVO DISCORSO DA UNA MONTAGNA ANTICA (GUIDO CUPANI)
Beati coloro
che imparano
sull’autobus
che scala il purgatorio mattinale
l’inutile di
litigare per un posto – siamo tutti accatastati
nel sacchetto
come articoli a basso costo
e non è meno
scomodo occupare il corridoio
per chi scende
o attendere davanti al predellino
per chi sale o
ripiegarsi nello scatto delle porte –
beati coloro
che lo imparano
senza alzare la
voce
prima della
sera del tempo prima delle macchie sulle mani
perché il regno
dei cieli comincia un lunedì di traffico
e segni
inconfondibili proclamano
che il
capolinea è vicino
Beati coloro che
si aggrappano
MINISERIE (INGAGGI) (LUISA
PIANZOLA)
*
sei un uomo amato da molti
lo hai capito fin da piccolo e ti sei messo sul
mercato.
ne hai tratto profitto dai tredici anni in su.
le donne ti cercano, ti richiedono.
tu spesso ti dài un voto: otto.
sei una donna benvoluta e ammirata.
nel mercato rionale della tua città,
ma anche in quelli di milano, al tuo passaggio
non è che ti pestino, ti fanno largo come
a una qualunque signora con prole e altri requisiti.
tra l’altro hai una struttura fisica
più che decente: il tuo punto forte sono
culo e gambe. lo sai dalla seconda media,
ma non hai mai smesso di confezionare ricerche
scolastiche mettendoci il massimo dell’impegno.
per un certo periodo, durato parecchio in verità,
hai piombato le tue doti fisiche in una foiba
esistenziale
che pareva senza rimedio.
ma il rimedio è stato trovato.
le cartucce residue sono nell’ultimo cassetto
del mobile in soggiorno.
*
ti dice: sei ancora bella, ma forse non puoi più
darmi un figlio, e io ne ho all’improvviso
un bisogno pungente.
gli dici: andiamo e facciamo, comperiamo.
il calendario ha tutti i mercoledì rossi,
soprattutto quelli vicini alla fine dei mesi.
tra poco salteranno giù dalla pagina e partiranno
per un viaggio di sola andata. non te ne devi
dimenticare,
soprattutto di quelli vicini alla fine dei mesi.
ti dice: andiamo e facciamo. acquistiamo.
i figli, se non li puoi fare, si acquistano.
si prendono una vagina amorevole, un utero
ancora più amorevole e si compila il bonus.
*
i bimbi sono nati. c’è una scheda nuova di pacca
per le loro individualità. fratellini e sorelline
in girotondo nel cortile dell’opera. bianchi e marrone
chiaro, il coro degli insegnanti ragazzi li
elettrizza.
abbiamo messo le culle vicino alla finestra
perché possano vedere e sentire già da ora.
nel loro silenzio di occhi piccini, nel loro vagare
con lo sguardo già da ora.
mandiamo avanti loro perché ci sia qualcuno
che si nutra con avidità e sviluppi in santa pace
ossa muscoli e organi vitali.
*
i bimbi sono cresciuti. uno sfavillio
di domande, di vita di tutti i giorni, quella
un poco snervante. ripercorriamo i loro
spostamenti giù dal letto su per le scale
dentro i cortili della fitteria. tra qualche anno
ne faremo una squadra, di quelle che vincono
o comunque puntano alla vetta della classifica.
ma per ora ci accontentiamo di salvarli
un poco alla volta, scuoterli con minacce alla mano
e stimoli alla riconoscenza.
TRASMIGRANO (MARIA PIA QUINTAVALLA)
I)
Trasmigrano i corpi, così
l’amore
che mi sposta e muove
ali che si toccano sfilano
appena
il collo, gli occhi più
leggeri
nel sorriso. Sogno:
anse di nomi spinti da sonno
cieco e
cani che riaprono l’alba
lui, lei che si ricambiano
il cerchio del piacere -
dopo i cimiteri delle
macchine là fuori,
e trattengono il cuore, lo
smarrito
se balbetta il tuo nome,
o tenerezza.
Terra scoscesa e bretone,
nel verde
che disegna menhir in
magnitudine,
parole come calvari in pietra
-
Tra i nostri amori è l’acqua
dove
una promessa sarà certissima
nel cuore,
colmo e con incerta mano
dai baci incoronata
la t u a voce.
II)
Ha fede e ostinazione il mio
diletto,
sparge il suo dire a
coprifuoco
cerca mappe alle stelle -
per arrivare fino a me, la
sera
una promessa, un rilevante
sogno
in balbettii leggeri
esse-emme-esse che si
sollevano
(deve essere già integro,
discreto
lui, se lo capisce).
III)
Il mercato è la regola
della circolazione delle
merci,
e non dei sensi
che amplificano il regno -
Volessi io tornare al segno
dove
l’anima e il corpo si
fronteggiano,
si palpano da ciechi
un tesoro ai tuoi piedi io
governo,
tu lo porgi
dal libro dell’amore inviti,
voli alto in dolzore
sopra le braccia poiché
il ragno della vita, la mia
la tua
rinascano
in nuova c a s a.
Ti amo intanto, piccola
figlia nel bozzolo, mentre ti
prende
il gioco della crescita;
ritorno un poco indietro,
attenta
scelgo sedermi calma, cerco
la c e n a dell’amore vivo.
[1]
L’abbazia è quella di Nervesa della Battaglia, famosa perché Monsignor Della
Casa, intorno al 1551, ivi vi scrisse il famoso “Galateo”. Nella prima guerra
mondiale fu quasi totalmente distrutta durante i bombardamenti sulla linea del
Piave, e così, mozza e sventrata, accoglie ancor oggi i suoi visitatori fra le
colline del Prosecco.
Grazie, Stefano, per la pubblicazione del mio testo, luisa p.
RispondiEliminaScusate la ripetizione del mio commento precedente... ma, non contenta, ne lascio un altro (spero in versione singola): Bello, il testo di Francesca Matteoni. Buona notte, luisa p.
RispondiEliminaGrazie per la segnalazione, complimenti alla vincitrice.
RispondiEliminaA presto
Antonio B.
ho tolto il commento ripetuto di Luisa Pianzola, ma tengo i suoi complimenti per la poesia di Francesca Matteoni.
RispondiEliminasono tutti testi che meritano di stare qui.
Complimenti vivissimi a Daniela Raimondi, innanzitutto. Davvero una selezione di testi notevoli.
RispondiEliminaRingrazio anch'io Stefano per aver postato tutte le poesie segnalate.
Un caro saluto. Fabio Franzin
Grazie innanzitutto a te, Stefano, per questa vetrina che mostra testi davvero notevoli di autori che amo e ammiro molto. Felice di essere stata selezionata, ma anche felice di stare fra loro :) Grazie anche ad Antonio e Fabio.
RispondiEliminaun saluto a tutti.
Daniela (Raimondi)
e un grazie agli altri componenti della giuria, che hanno lavorato con serietà. E a Francesco Tomada, senza il quale la sezione italiana non sarebbe possibile.
RispondiEliminaAnche io vorrei fare i complimenti alla vincitrice e ai segnalati: purtroppo vince uno solo, ma i lavori di valore erano molti. E ringraziare la giuria e Fabrizio Bianchi: soprattutto senza di lui non saremmo parte di questo evento, che è in ogni caso una piccola/grande opportunità gratuita e realmente anonima.
RispondiEliminaUn saluto a tutti, grazie a Stefano dell'ospitalità e dell'appoggio, e speriamo un arrivederci al prossimo anno.
Francesco t.
sarebbe bello che Daniela, prendesse appunti negli incontri balcanici e poi li pubblicasse qui.
RispondiEliminaGrazie delle belle segnalazioni, me compresa, a Stefano, e auguri molto cari alla vincitrice!MPia Quintavalla
RispondiEliminaGrazie delle belle segnalazioni, me compresa, a Stefano, e auguri molto cari alla vincitrice!MPia Quintavalla
RispondiEliminaCerto, Stefano, il resoconto arriverà ;) Ciao Maria Pia, un caro saluto.
RispondiEliminadaniela
lo aspetto, allora. grazie!
RispondiEliminaComplimenti a Daniela Raimondi per il risultato e grazie a Stefano per la pubblicazione delle poesie segnalate. Marco Bellini.
RispondiEliminaComplimenti a tutte/i. Testi davvero intensi. Un livello di qualità altissimo. Volevo chiedere a Daniela Raimondi se il suo fa parte della silloge "Lettere dall'Africa" di cui ho letto altro domenica scorsa, al premio A. Osti...Un saluto, GTZ
RispondiEliminaNo, la poesia appartiene ad un'altra silloge inedita, non a quella presenta all'Anna Osti. Complimenti a te per il tuo primo premio :)
RispondiEliminami associo a Daniela, per i complimenti a GTZ per aver vinto l'Osti.
RispondiEliminaGrazie ad entrambi. Complimenti ancora a Daniela, sia per questa poesia che per quelle di Lettere dall'Africa, che mi son piaciute moltissimo, e che sperò leggerò quanto prima pubblicate. Un saluto, GTZ
RispondiEliminaGrazie, Antonio. Contenta che le poesie ti siano piaciute. Di nuovo, un saluto a tutti.
RispondiEliminadaniela
Avrei voluto leggere anche la mia poesia tra queste, io ragazzo del '90. Ma ben poco si poteva fare: tutti poeti già battezzati, più esperti di me, con un blog o con un cognome da poeta a certificare il valore, valore che tracima l'anonimato. Per fortuna ho abbandonato i versi da tempo (perciò non vorrei che questo fosse il tipo commento del perdente). Il mio era solo un tentativo per "fare finta che ci credo ancora". Complimenti dunque agli autori delle poesie, poiché dopotutto ci sono alcuni versi belli, e teniamoceli stretti. Giuseppe C.
RispondiEliminail concorso per la giuria è anonimo. credici!
RispondiEliminaCaro Giuseppe,
RispondiEliminaper i giurati il concorso era del tutto anonimo: io ho copiato tutti i files in un documento unico e tenuto qui da me i loro dati. Se poi qualcuno sia stato riconosciuto per la sua scrittura, questo è certamente possibile, ma credo inevitabile, e i componenti della giuria sono persone integre, di cui mi fido ciecamente. Ti assicuro inoltre che fra i nomi nemmeno segnalati ce ne sono diversi probabilmente di notorietà ben maggiore dei selezionati.
Io vengo ignorato nella maggior parte dei concorsi a cui partecipo:-) Dunque continua a crederci, e soprattutto a scrivere, che è cosa che si fa prima di tutto per sè; il resto è accessorio.
Un saluto a te, e in bocca al lupo per il futuro.
Francesco t.
ciao a tutti e complimenti ai testi qui e alla vincitrice
RispondiEliminaun saluto caro a F Tomada
c.
complimenti a Daniela e tutti gli altri, a Francesco t. e a Stefano che li ha ospitati qui.
RispondiEliminavincenzo celli
Mi associo ai complimenti per le belle poesie di Daniela e di tutti
RispondiEliminagli altri poeti.
Un caro saluto agli organizzatori del premio.
Cristina Annino.
Ciao Cristina!
EliminaCiao a tutti.
RispondiEliminasolo ora leggo e esulto felice del risultato ottenuto da Daniela!
sono felice perchè la sua dedizione alla poesia lo merita, perchè il suo valore e l'onestà lo meritano ( così come lo meritano certo tutti gli altri poeti - ma qui sono un po' di parte per il grande affetto che mi lega a lei)
tutti testi molto interessanti. immagino che per la giuria sia stata dura "scegliere".
un grande abbraccio a Daniela!
un caro saluto a Stefano e a Francesco, a Fabio.
ciao, iole
grazie Stefano per il post! e complimenti a Daniela e a tutti noi! Francesca
RispondiEliminaciao Francesca!
EliminaCaro Giuseppe C, non ti preoccupare. Anch'io (ragazzo dei '60) non sono stato selezionato. Non che io sia chissà chi, ma questo è un premio serio e ben gestito, e quando le cose sono serie, vale la pena partecipare. E la riprova è che il valore dei lavori dei segnalati, è, per me, fuori discussione. Se io fossi stato nella giuria, e, paradossalmente, avessi pure inviato un testo sotto mentite spoglie, al di là del gabbo, avrei dovuto arrendermi all'evidenza e scartare il mio testo a favore di questi. Nessun dubbio. Come ti dice Francesco T., anch'io ti esorto a continuare a scrivere. Ma ancor di più, ti invito a leggere, leggere, leggere. Cosa c'è di megolio di un bel libro di poesia, sdraiati su un'amaca in giardino (ma pure sul balcone di casa)? ;) Buona vita. GTZ
RispondiEliminaRingrazio Francesco T.(omada) e GTZ per le parole gentili. Non era mia intenzione mettere in dubbio la serietà del concorso e dei giurati. Il senso del mio post era: ho sbagliato a partecipare ad un concorso che coinvolgeva poeti non dilettanti.
RispondiEliminaAl momento non voglio più avere rapporti non protetti con la poesia; preferisco preservarne l'essenza nella prosa. Davanti a questi componimenti posso dire "oh ma guarda che bravo, vedi come ha risolto questo verso", ma di più no; dire che imparerei a memoria questi versi, no. E la poesia dovrebbe essere la cura più efficace contro le amnesie. Problema mio, sicuramente. Alla prossima. Giuseppe C.
non so se la poesia cura le amnesie; di sicuro non cura le giurie, che si leggono tantissime poesie e devono decidere qual è la più interessante.
RispondiEliminaFai bene Giuseppe a preservare l'essenza poetica per la prosa. poi magari fra qualche anno torni alla poesia e via così. la ricerca consiste appunto nel non sedersi, al di là dei premi.
bei testi invece, belle poesie-poesie, poesie-mondo, direi - bravi! piaciute molto, con nota speciale a francesca matteoni (da far tremare i polsi) e a luisa pianzola (gran classe raggelante)
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Vorrei rispondere a questo Giuseppe del '90 (stesso anno di Micaletto tra l'altro, che dal nulla è uscito e ha vinto e continuerà a vincere, e se lo merita). Dunque, qui trovi molti nomi illustri della poesia contemporanea, già belli maturi e consci di sé (dalla Annino alla Calandrone, da Franzin alla Matteoni, Quintavalla, D'agostino la stessa Raimondi). Gente anche non più così giovane. Dunque, il tuo discorso è ok, ma è evidente che questi poeti hanno ormai una soglia importante, una voce ben precisa. Io ti dico che non ho mai vinto niente, mai segnalato a niente, era la prima volta che partecipavo a qualcosa, e che ho da due settimane pubblicato il mio primo libro, dunque all'epoca dell'esito finale del concorso, io ero ancora un poeta "inedito" (va beh che cambia poco anche ora, resto comunque "inedito" letteralmente parlando). Dunque come vedi, se hai un briciolo di talento e fortuna, e se hai costanza, e se il tuo lavoro poetico è uno scavo continuo, prima o poi ci arrivi. E non demordere che non hai 50 anni...Tanto il tuo talento, se ce l'hai, non lo vedrai mica esclusivamenteattraverso questi riconoscimenti. Però l'onestà della giuria non la mettere in dubbio. Certo, alcune voci sono così singolari, che anche senza saperne il nome, un testo si riconosce. Ma mi pare sia indiscutibile la qualità qui riportata, rispetto alla poesia contemporanea che gira. (Io ho partecipato con uno dei miei migliori testi, su centinaia e centinaia di inutili testi che scrivo quotidianamente, dunque sono andato a colpo sicuro, altrimenti, stanne certo, non sarei in questa bella rosa di finalisti).
RispondiEliminaUn saluto
Antonio Bux