martedì 18 settembre 2012

Giovanni Borriero (due inediti)




La voce che qui dice fiore passeggia titubante sul fiore, perché è di carta e perché, se piove – dopo D'Annunzio e il modo in cui i suoi vestimenti leggeri, per retorica dei tempi, sono diventati divise d'Abissinia, Spagna e campagna di Russia – non c'è che l'ironia a salvarci. Già Montale, in Satura, fa il verso alla pioggia del Vate, ma con il piede sul pedale dell'impoetico, rimando "Gazzetta ufficiale " e "sciopero generale". Giovanni Borriero, filologo da sempre, ricama una ritmica tribale da quella decadente passeggiata in Versilia, pronunciandola con la lingua di strada, con qualche punta d'autismo o d'estrema timidezza, fragile come i petali di una voce che si vuole contemporanea, umile dunque, antiretorica. 

Mi ricorda Corrado Costa, ma non so se Borriero abbia mai letto una riga di questo nomade dell'area spatoliana. E se anche fosse, in Fioredicarta e in No/non c'è l'autentico di una poetica propria, matura, giocosa e profonda nel contempo, non separata dalla sua professione di studioso. La si avverte particolarmente, questa sua vocazione alla Lectio Magistralis, mascherata tuttavia, deformata in voce di superficie, autodidatta e irregolare, tra il Sanguineti post-neoavanguardia e le prose della letteratura selvaggia (l'autobiografia illetterata, come la chiama Algredo Giuliani ne Le droghe di Marsiglia) in No/non: balbettio d'amore verso i proprio luoghi di ristoro, il lago, i cachi, la parola prima che diventi concetto, potere. Averne di poeti così in Italia!


 Fioredicarta


se piove su un fiore che è fiore e basta se un fiore che è come un fiore e basta se allora viene un giorno che piove e piove su un fiore allora ci sono le gocce che sono sul fiore che sembra che il fiore piange ma poco allora se un fiore è fatto di fiore e basta

ascolta se la parola che dici leggera se piove su ogni sera il ciglio lo sbaglio se piove sulla parola che dici e non dici se piove sulle nostre mani taci se non dici per ogni goccia che cade per la lacrima nera per la sera amara che cade

piove se piove su un fiore che cade piove su ogni fiore allora allora che piove e se il fiore che sente il peso il fiore che colora di fiore e basta se oggi mi illudo se oggi io cado piove se oggi che il fiore che pesa che cade oggi che piove se

ascolta non trovo le mani che dici leggere non trovo le sere dimmi se dici non odo ascolta se taci e dimmi non trovo le mani le tue di mani che piove non sento cosa dici ascoltami che dico della sera che cade se dici leggera dimmi la favola bella fammi dormire se piove ninna nanna ninna è

il fiore è tutto azzurro il fiore è tutto calmo poi ci sono le ragazze moderne che non sono eterne poi c’è l’azzurro che le veste di blu e il poeta non sa più se a cesena piove solo di mercoledì io sono qui da solo sotto la pioggia cazzo qua da solo con un fiore in mano che ti aspetto sotto la pioggia

dimmi dammi i tuoi freschi pensieri quelli di oggi quelli di ieri ascolta le foglie che dici piove sui pini neri sui pensieri neri sui semi neri sui distributori di benzina blu piove mia stella stellina su ogni angolo buio piove sulla calce e la sabbia piove sulle teste chine sulle fronde sulle ronde le sponde le onde e su te

piove sul nostro fiore di ieri sul fiore di carta che ti dico piove sull’intrico di inchiostro ascolta se dico se ti dico del fiore che tace e che dice del fiore di carta e basta che piove e non trovo le tue mani ascolto se dici ma piove piove e basta

piove e basta piove e fiore e basta


questo omaggio a La pioggia nel pineto è stato presentato il 2, 3 e 5 settembre 2008 dal gruppo teatrale Officine Orfeo nel corso della rassegna Notturni dannunziani 2 (Gardone Riviera, Vittoriale degli Italiani).



No / non


allora c’è il no e c’è il non tipo dire no fare no che è diverso da non fare e non dire ma poi c’è il se il se ma il ma forse poi c’è la piega tra le parole che diventa piaga la parola come la mollica di pane che se la guardi da vicino è piena di buchi e allora dentro ci trovi il pieno e il vuoto è come che mica puoi toccare le cose perché le cose non ci sono e se ci sono è come se non ci sono oppure è no semplicemente

ma se dico non non è mica come dire no se guardo un albero che non ci sono le foglie allora non dico le foglie no dico non ci sono le foglie dico non mica no dico perché se io vedo le foglie che non ci sono allora un po’ ci sono dico solo non mica no

l’albero di cachi si chiama caco perché è giusto così e io avevo o forse ce l’ho ancora un albero di cachi al lago non gli ho mai dato un nome no mica gliel’ho dato e lui mica me l’ha detto comunque è alla casa del lago che una volta era quella dei miei nonni o forse no ma albero senza un nome non è che ha un nome no

insomma quell’albero lì è un albero di cachi che è fatto proprio così è nudo coi rami secchi che sembra morto sembra vivo proprio no mica non vivo insomma piuttosto morto ma poi fa delle foglie che sembrano verdi e che sono proprio verdi

io parlo dell’albero ma dico potrei anche parlare di altro tipo di questo e di quello però volevo insomma partire proprio dall’albero che sta dentro a un’aiola tipo rialzata nella casa che era dei miei nonni credo

allora a un certo punto che sei al lago e piove e fa freddo ma l’albero sputa fuori tipo delle noci verdi con un bitorzolo sopra insomma è come se ti dice guarda che sono mica morto non muoio no cazzo ti ho fregato ti sembravo morto tutto secco e invece tiè sputo fuori è che mi nascondo e tu mica mi vedi è che mi vedi no

l’albero dice più o meno sei un coglione questo mi dice insomma perché io avevo pensato che no e lui continuava a dirmi che non ma pensavo sei morto ma mica lo dicevo io lo guardavo e basta ma il bastardo ascoltava

i cachi sono mica arancioni fanno un frutto tipo il colore della luna ma più forte ma più morbido ma più grasso ma meno rotondo ma più lucido ma solitario uguale dico insomma è un albero secco pieno di luna e pieno di lune che quasi sempre dice non

mica no



Giovanni Borriero è nato a Schio nel 1968. Filologo romanzo, si occupa soprattutto di lirica medievale: insegna attualmente Lingua e letteratura galega all'Università di Padova. È' presente, con le Quartine di San Francesco, nel volume Il valore del tempo nella scrittura (Fara 2011).


5 commenti:

  1. Davvero belle. Anche all'ascolto dell'autore che le legge (sentite a Bassano, poco tempo fa). "No/non" mi sarebbe davvero piaciuto leggerla sul Corrierino dei Piccoli (che era una rivista serissima!), mia amata compagnia d'infanzia. Ma mi piace pure ascoltarla da grande, letta dal nostro talentuoso "Borrierino". Simpaticamente, GTZ ;)

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  2. grazie stefano. giovanni ha almeno 2 anime: quella concisissima delle sue splendide quartine di san francesco e questa letterarissima, così giocosa-avviluppata-ironico-ossessiva. un saluto ai 2 giovanni. roberto

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  3. sì, verissimo. Poi ha quella più godereccia, che però condivide solo con gli amici :-)

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  4. Ciao Stefano,
    che piacere leggere questi due testi di Giovanni. Puntualissimo il tuo commento. La lettura mi ha ricordato l'effetto sensibilmente piacevole e ipnotico del giro in giostra quando ero bambino. Così nel ritmo incalzante, ri-tornante -ma non ri-dondante- delle parole. Mi sembra anche una scrittura che non si è mai dimenticata di quella filastrocca, non so se hai presente, che io conosco come "La storia dell'ocarela", che mia nonna mi raccontava come 'ultima spiaggia' per farmi stare buono e che riusciva sempre a 'sfinirmi' senza arrivare mai a una soluzione. Complimenti!
    Armando Bertollo

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  5. non ricordo quella filastrocca, ma mi trovi perfettamente d'accordo sul concetto. ciao!

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