La voce che qui dice fiore
passeggia titubante sul fiore, perché è di carta e perché, se piove – dopo
D'Annunzio e il modo in cui i suoi vestimenti leggeri, per retorica dei
tempi, sono diventati divise d'Abissinia, Spagna e campagna di Russia – non c'è
che l'ironia a salvarci. Già Montale, in Satura, fa il verso alla
pioggia del Vate, ma con il piede sul pedale dell'impoetico, rimando "Gazzetta ufficiale " e "sciopero generale".
Giovanni Borriero, filologo da sempre, ricama una ritmica tribale da quella decadente passeggiata in Versilia, pronunciandola con la lingua di strada, con qualche punta
d'autismo o d'estrema timidezza, fragile come i petali di una voce che si vuole
contemporanea, umile dunque, antiretorica.
Mi ricorda Corrado Costa, ma non so
se Borriero abbia mai letto una riga di questo nomade dell'area spatoliana. E se
anche fosse, in Fioredicarta e in No/non c'è l'autentico di una
poetica propria, matura, giocosa e profonda nel contempo, non separata dalla
sua professione di studioso. La si avverte particolarmente, questa sua
vocazione alla Lectio Magistralis, mascherata tuttavia, deformata in
voce di superficie, autodidatta e irregolare, tra il Sanguineti
post-neoavanguardia e le prose della letteratura selvaggia (l'autobiografia
illetterata, come la chiama Algredo Giuliani ne Le droghe di Marsiglia)
in No/non: balbettio d'amore verso i proprio luoghi di ristoro, il lago, i cachi, la parola prima che diventi concetto, potere. Averne di poeti così in
Italia!
Fioredicarta
se piove su un fiore che è fiore
e basta se un fiore che è come un fiore e basta se allora viene un giorno che
piove e piove su un fiore allora ci sono le gocce che sono sul fiore che sembra
che il fiore piange ma poco allora se un fiore è fatto di fiore e basta
ascolta se la parola che dici
leggera se piove su ogni sera il ciglio lo sbaglio se piove sulla parola che
dici e non dici se piove sulle nostre mani taci se non dici per ogni goccia che
cade per la lacrima nera per la sera amara che cade
piove se piove su un fiore che cade
piove su ogni fiore allora allora che piove e se il fiore che sente il peso il
fiore che colora di fiore e basta se oggi mi illudo se oggi io cado piove se
oggi che il fiore che pesa che cade oggi che piove se
ascolta non trovo le mani che
dici leggere non trovo le sere dimmi se dici non odo ascolta se taci e dimmi
non trovo le mani le tue di mani che piove non sento cosa dici ascoltami che
dico della sera che cade se dici leggera dimmi la favola bella fammi dormire se
piove ninna nanna ninna è
il fiore è tutto azzurro il fiore
è tutto calmo poi ci sono le ragazze moderne che non sono eterne poi c’è
l’azzurro che le veste di blu e il poeta non sa più se a cesena piove solo di
mercoledì io sono qui da solo sotto la pioggia cazzo qua da solo con un fiore in
mano che ti aspetto sotto la pioggia
dimmi dammi i tuoi freschi
pensieri quelli di oggi quelli di ieri ascolta le foglie che dici piove sui
pini neri sui pensieri neri sui semi neri sui distributori di benzina blu piove
mia stella stellina su ogni angolo buio piove sulla calce e la sabbia piove
sulle teste chine sulle fronde sulle ronde le sponde le onde e su te
piove sul nostro fiore di ieri
sul fiore di carta che ti dico piove sull’intrico di inchiostro ascolta se dico
se ti dico del fiore che tace e che dice del fiore di carta e basta che piove e
non trovo le tue mani ascolto se dici ma piove piove e basta
piove e basta piove e fiore e
basta
questo omaggio
a La
pioggia nel pineto è stato presentato il
2, 3 e 5 settembre 2008 dal gruppo teatrale Officine Orfeo nel corso della rassegna Notturni
dannunziani 2 (Gardone Riviera,
Vittoriale degli Italiani).
No / non
allora c’è il no e c’è il non
tipo dire no fare no che è diverso da non fare e non dire ma poi c’è il se il
se ma il ma forse poi c’è la piega tra le parole che diventa piaga la parola
come la mollica di pane che se la guardi da vicino è piena di buchi e allora
dentro ci trovi il pieno e il vuoto è come che mica puoi toccare le cose perché
le cose non ci sono e se ci sono è come se non ci sono oppure è no
semplicemente
ma se dico non non è mica come
dire no se guardo un albero che non ci sono le foglie allora non dico le foglie
no dico non ci sono le foglie dico non mica no dico perché se io vedo le foglie
che non ci sono allora un po’ ci sono dico solo non mica no
l’albero di cachi si chiama caco
perché è giusto così e io avevo o forse ce l’ho ancora un albero di cachi al
lago non gli ho mai dato un nome no mica gliel’ho dato e lui mica me l’ha detto
comunque è alla casa del lago che una volta era quella dei miei nonni o forse
no ma albero senza un nome non è che ha un nome no
insomma quell’albero lì è un
albero di cachi che è fatto proprio così è nudo coi rami secchi che sembra
morto sembra vivo proprio no mica non vivo insomma piuttosto morto ma poi fa
delle foglie che sembrano verdi e che sono proprio verdi
io parlo dell’albero ma dico
potrei anche parlare di altro tipo di questo e di quello però volevo insomma
partire proprio dall’albero che sta dentro a un’aiola tipo rialzata nella casa
che era dei miei nonni credo
allora a un certo punto che sei
al lago e piove e fa freddo ma l’albero sputa fuori tipo delle noci verdi con
un bitorzolo sopra insomma è come se ti dice guarda che sono mica morto non
muoio no cazzo ti ho fregato ti sembravo morto tutto secco e invece tiè sputo
fuori è che mi nascondo e tu mica mi vedi è che mi vedi no
l’albero dice più o meno sei un
coglione questo mi dice insomma perché io avevo pensato che no e lui continuava
a dirmi che non ma pensavo sei morto ma mica lo dicevo io lo guardavo e basta
ma il bastardo ascoltava
i cachi sono mica arancioni fanno
un frutto tipo il colore della luna ma più forte ma più morbido ma più grasso
ma meno rotondo ma più lucido ma solitario uguale dico insomma è un albero
secco pieno di luna e pieno di lune che quasi sempre dice non
mica no
Davvero belle. Anche all'ascolto dell'autore che le legge (sentite a Bassano, poco tempo fa). "No/non" mi sarebbe davvero piaciuto leggerla sul Corrierino dei Piccoli (che era una rivista serissima!), mia amata compagnia d'infanzia. Ma mi piace pure ascoltarla da grande, letta dal nostro talentuoso "Borrierino". Simpaticamente, GTZ ;)
RispondiEliminagrazie stefano. giovanni ha almeno 2 anime: quella concisissima delle sue splendide quartine di san francesco e questa letterarissima, così giocosa-avviluppata-ironico-ossessiva. un saluto ai 2 giovanni. roberto
RispondiEliminasì, verissimo. Poi ha quella più godereccia, che però condivide solo con gli amici :-)
RispondiEliminaCiao Stefano,
RispondiEliminache piacere leggere questi due testi di Giovanni. Puntualissimo il tuo commento. La lettura mi ha ricordato l'effetto sensibilmente piacevole e ipnotico del giro in giostra quando ero bambino. Così nel ritmo incalzante, ri-tornante -ma non ri-dondante- delle parole. Mi sembra anche una scrittura che non si è mai dimenticata di quella filastrocca, non so se hai presente, che io conosco come "La storia dell'ocarela", che mia nonna mi raccontava come 'ultima spiaggia' per farmi stare buono e che riusciva sempre a 'sfinirmi' senza arrivare mai a una soluzione. Complimenti!
Armando Bertollo
non ricordo quella filastrocca, ma mi trovi perfettamente d'accordo sul concetto. ciao!
RispondiElimina