Uno de "I quaderni di Hebenon" s'intitola Scritti sulla poesia di Camillo Pennati (Supplemento a "Hebenon", nn.9-10, 2002). Ci sono interventi di: R. Bertoldo, G. Fantato, P. Flecchia, G. Gramigna, P. Lezziero, E. Krumm, G. Luzzi, M. Marchisio, S. Montalto, E. Salvaneschi, ma anche quelli di S. Quasimodo e V. Sereni.
Riporto gran parte dell'intervista di Roberto Bertoldo, direttore di "Hebenon" (pp.30-33).
All'impressione del direttore che la poesia di Camillo Pennati agisca
sulla "distinzione tra
suono e immagine", tra "fonismo e naturalismo", Pennati risponde:
R. Ogni mio verso, compiuto significativamente in sé, è contessuto di
un suo ritmo, di un suo timbro musicale specifico che parimenti si concatena al
successivo e così continuando fino alla chiusa di ogni testo. Sono anelli,
inanellamenti, ciascuno consistente d'un suo significato (oscuro o no che possa
essere o sembrare) e di una sua incorporata o consustanziale assonanza
timbrica senza la quale non esisterebbe. La consapevolezza di ciò mi deriva dal
lavoro di ripresa e di restauro (in questo caso con cose vecchie o persino di
stampa). Ossia quando non soddisfatto di un certo verso perché ancora sciatto,
trascurato, piatto, incolore, amorfo al significato che vo cercando dentro di
me perché invece combaci nel suo affiorare al massimo d'una concettiva
raffigurazione: in quell'istante di apnea estrattiva tengo la frase tra una
sinapsi e l'altra e la lavoro, la rielaboro sempre con un mio 'metronomo' che
l'intesse e la troverà accettabile, se non specularmente risolta, se non
quando collimerà con la sua musicale assonanza, col suo ritmo di consistenza e
quindi di sussistenza, almeno momentanea. Anzi dico che ogni mio testo parte
da un attacco o incipit già formulato nel suo affiorare fantastico da una
fusione che deve eliminare le intercorrenti dissonanze (o cacofonie) quali
'spie' di un fraseggio non ancora armonico e armonizzato nel suo significante
contenuto. È il ritmo, quindi, come pulsione ed echeggiante suono a decantare
il verso. Quindi una 'strumentata' vibrazione. [...]
D. Il ritmo, appunto: non è esso il risultato di un diverbio 'risolto'
tra suono e immagine? E dunque il ritmo delle tue poesie non è andato sempre
più a ricrearsi nelle dissonanze risolte? E risolte, mi pare, più che altro in
una sorta di gruppo irregolare di note, quasi come un ritmo barbaro (intendo
"barbaro" nell'accezione carducciana, là riferita alla metrica). E'
come se stessi cercando di riprodurre un ritmo che è nel pastiche visivo
dell'architettura postmoderna.
R. "Il diverbio risolto tra suono e immagine", "le
dissonanze risolte" in cui il mio ritmo "è andato sempre più a
ricrearsi". Certo, dico e aggiungo e sostengo io, ma ritenendo e
desiderando appunto di averli risolti, e in ciò latenti o indecifrabili, al
critico, al lettore. E sono cose che tu sai in quanto da me già esplicitate.
[...]
D. Io non condivido la tesi di Jameson che il 'pastiche visivo' di una
certa architettura sia postmoderno, ma questa sua definizione mi è utile per
cercare di rendere più esplicita l'anticipazione musicale della tua poesia.
Insomma, l'atmosfera sonora intrisa di contemporaneità, e proprio per questo,
se non forse per lo stile, già postcontempora-nea, mi sembra una forma di
recupero creativo, e dunque non manieristico, e dunque barbaro, che apre ad
emozioni e sensazioni nuove.
Ora, spostando ma non di troppo il discorso, vorrei chiederti: quanto e
come ha contato, in questo e per questo, lo sforzo di adesione alla terra,
affinché «morir non sia / soltanto la fatica d'essere / una vita d'uomo, il
transito / pesante sulla terra», come recitano i bellissimi versi di Quest'ora
(in L'ordine delle parole, Mondadori, 1964)? E ancora: oltre a Nietzsche,
quali filosofi ieri e oggi nelle tue letture più amate?
R. La mia scolastica traiettoria va dagli Eleati, da me i più amati, e
su cui mi soffermai conquiso e di mia sponte, al Leibniz meno preso da elucubrazioni
titaniche e forsennate, e da autodidatta (secondo la definizione di Contini,
dettami a voce, e cioè quanto si apprende in proprio dopo l'Università) il
Voltaire del Dizionario filosofico, Nietzsche in parte, quindi i Sufi e
poi Bertrand Russell, il Popper di Scienza e filosofia e infine il
Wittgenstein delle Ricerche filosofiche, non quello del Tractatus
logico-philosophicus, per me troppo lontano, se non in qualche tratto, per
poi passare ad interessi più specificatamente scientifici (anche qui distinguendo
tra elucubrazioni creativistiche e osservazioni concretamente scientifiche):
botanica, insettologia, geografia, fisica, mineralogia, oceanografia,
sociologia, ecologia, senza nemmeno sognare di diventarne un cultore.
[...]
D. Ma la tua adesione alla terra può dirsi oggi più estetica che
civile? La tua poesia mi pare sia divenuta sempre più avara di chiarimenti,
sempre più tesa all'ascolto della bellezza. Inoltre per te la bellezza, la
«bellezza sensibile», è ancora ogni segno che è «slancio e guizzo» ove
convergono «sostanza e forma» (cfr. Sotteso blu, 1983)? A me pare che la
bellezza per te oggi non possa essere più, in altre parole, armonia.
R. Il discorso sulla bellezza mi porta a pensare ad un'emozione
estetica dall'indifferente e vario configurarsi della fisica immanenza del
visibile; ad una congenialità biologica che assembla fattezze & tratti
fascinosi & ammalianti nei canoni di un'armonia pre-estetica &
pre-culturale a se stante però più intensamente percepibile tramite quelli;
alla commovente comprensione d'una temporalità & spazialità che doppiamente
ci sfuggono poiché non ci appartengono se non nel trapassarle nella
consapevolezza di lasciarle senza averle mai davvero & intensamente &
corporeamente abbracciate; ma tutto mi si sfalda ambiguamente tra l'additarsi
del pensiero solo restando una ancor più stupita compassione per questa forma
d'esistenza che rappresentiamo. Quanto a una mia adesione civile, rimando il
lettore, bontà sua, a rileggersi la sezione Eros stravolto m Sotteso
Blu ove rozzamente intendevo additare alla mia meta, consistente
nell'abbandonare ogni elucubrante metafisica per la fisica intesa come fisicità
di intuizione e di rapporto e di percepente e sensuale comprensione
sensibilmente esercitata (a motivo e in opposizione all'ineluttabile nostro
impaurente sapere e incubo della caducità, che ci differenzia inesorabilmente
per cultura da tutto il regno naturale) quale possibile modo, almeno, di
accomunarci al naturale esistere.
Confuto l'aggettivazione di estetica alla mia
adesione alla terra, in quanto è un'adesione che più perseguendola mi
differenzia dalla natura stessa comprendendone il perdurare cosmico rispetto
all'umano durare e la sua connettiva essenza ed essenzialità rispetto alle
sconnesse vite, non esistenze, degli umani. Estetico, oltre che
trasgressivamente morale, nel mio tragitto d'uomo, di pensatore e di scrittore,
è certamente il mio desiderio di trasfigurare in versi - sopra quel criminale e
dissennato scempio degli umani - la fenomenica bellezza della natura che ignora
ogni sua manifestazione in senso estetico e figurale in quanto è e non ha
necessità di dirsi, si pensa in sé e di sé senza esternazione, si esprime nella
sua essenza, non nel tradursi, che è solo un esercizio e dell'estetica e d'una
inseparabile distanza d'estasi. Sapendo come la natura non sappia che farsene,
ignorandoci, del nostro antropomorfismo. E a che la corruzione della mente e,
per filiazione culturale, del corpo possa non dilagare distruttivamente e
perniciosamente, avanti l'auspicabile estinzione dell'homo sapiens.
Grazie a Roberto Cogo per avermi fatto conoscere questo poeta "dimenticato". Ora, questa voce, in cui risento il tono della cosmologia greca, quel lasciar accadere, lo svelamento, la contemplazione, torna a farsi sentire più viva che mai. La potenza delle meteore: "e nello spazio a misurarne così intangibile ciò \ che più avverte come un continuo suscitarsi \ per accadimento su quel consistere di sconfinato \ riconcentramento d'atomi" (C. Pennati, Nubi, Paesaggi del silenzio con figura, Interlinea, Novara 2012).
RispondiElimina...vista la scarsità degli interventi (ma dove sono finiti i numerosi visitatori abituali del blog di stefano!?) - anche nel post precedente - è probabile che pennati rimarrà ignorato ancora per molto...forse esistono molte altre voci poetiche come la sua (di cui non mi sono accorto...),oppure la sua originalità(che può anche non piacere, ovviamente)fa paura o solo infastidisce...attendo reazioni. roberto cogo
RispondiEliminaMi dispiace per l'amareggiato intervento di Roberto Cogo; per quel che può servire la mia opinione, penso che la poesia di Pennati sia originalissima, quella di un maestro, in poche parole; il suo lavoro sul linguaggio e sulle immagini è di un livello assoluto;lo scavo, la pazienza, la consapevolezza del fare poetico e la ricerca esemplari per chiunque eserciti la scrittura poetica; colgo l'occasione per ringraziare Cogo della sua appassionata presentazione di Pennati e, nuovamente, Guglielmin per queste occasioni di lettura (e mi riferisco anche alle proposte da lui fatte di altri poeti).Un'ultima cosa: le risposte di Pennati alle domande rivoltegli dal direttore di Hebenon sono esse stesse poesia, musica in atto.
RispondiEliminahai ragione Roberto. Sarebbe comunque stato importante che anche Pennati fosse intervenuto: il suo silenzio pesa.
RispondiEliminaGrazie Antonio.
se può interessate, questo post ha avuto 21 visite. Quello precedente, sempre su Pennati, 47. Numeri medi.
RispondiEliminaIeri pomeriggio, una sola poesia di Camillo Pennati è bastata per vedere lo sguardo fuggito, rapito, estasiato di una lettrice. Pennati, Cogo, Guglielmin, Devicienti, la potenza della poesia, ora visibile, ora sommersa, è potenza.
RispondiEliminami fa piacere. bisogna essere ottimisti.
RispondiEliminala questione tuttavia è un'altra: la poesia in rete ha bisogno della partecipazione degli autori, altrimenti manca dello specifico, che è appunto la possibilità di scambio diretto con i lettori.
grazie antonio devicienti
RispondiEliminami piace che tu abbia capito il vero senso del mio fare poesia camillo pennati
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