La violenza maschile sulle donne è il nucleo
ossessivo attorno al quale è cresciuto Femminimondo (Ed. Polimata, 2011)
di Alessandra Carnaroli. Lo confermano anche l'associazione Erinne-donne"
di Viterbo, Stefania Cantatore e Tommaso Ottonieri chiamati a sostenere il
messaggio in prefazioni o postfazioni che sembrano poco interessate alla
specificità del testo poetico, prese invece dall'urgenza della questione, certo
drammatica. Carnaroli presta la voce alle donne massacrate e, talvolta, agli
uomini aguzzini. Sempre la stessa: gergale, registro basso, verbi tutti
all'indicativo, anacoluti, predominanza degli oggetti, simulacri e feticci
della civilizzazione patita, a sottolineare la sottocultura di provenienza (due
esempi: "bisogna che fanno capire chi comanda / bisogna che ci sono delle
regole"; "all'ikea di roma ci trovi la libreria / gli strofinacci
anche le pentole e i rubinetti / ci puoi anche mangiare dentro c'è un
ristorante"). Scelta, a dire il vero, un po' stereotipata, in quanto omologa
arbitrariamente un circo mortale più complesso, che avrebbe potuto includere
retori sopraffini e ingegneri nucleari, lingue del potere anziché del solo
sottoproletariato urbano, ma comunque sufficiente a confermare la tesi
(statisticamente documentata) che le donne sono vittime, anzi, dice Carnaroli,
sono "morte". E infatti, le loro voci provengono dall'aldilà, ma, a
differenza del cimitero di Spoon River, esse non hanno casa, patria perché
hanno vissuto in un esilio anziutto culturale, in una sudditanza di genere che
le ha relegate in un cono d'ombra senza diritti, in una selva dominata dalla
legge del più forte. Femminimondo ci racconta infatti lo stato di natura
che popola le case del popolo bue, governate dall'uomo-lupo, assetato di
sangue, parola che torna di continuo e della quale si sente persino l'odore e
l'umidità appiccicosa. Pregio dello stile e che compensa, in parte, quanto
detto sopra: la fenomenologia della violenza è più stratificata, ma Carnaroli è
brava a fotografare situazioni, anticipate da frammenti di un discorso
violento, posti sulle pagine di sinistra, e rese nel dettaglio poetico sulla
destra. Forse sta qui l'elemento più delicato, nella misura in cui l'autrice,
così facendo, chiede la condivisione di un punto di vista unico, stabile,
involontariamente conforme, nel metodo, alla prassi conoscitiva della civiltà
fallocentrica occidentale. In altre parole, se la scrittura di Carnaroli
mantiene la disseminazione, il passo mobile, che non edifica né monumenti né
fortini, la logica induttiva messa in gioco per dimostrare, attraverso gli exempla,
la tesi che donne e bambine sono il paese più straziato, rischia di
reintrodurre quello che lo stile vorrebbe sospendere: la scientificità della
prova quale elemento base del proprio argomentare, esattamente quanto fa la
"ragione strumentale", come la chiama Max Horkheimer, ossia quel
grimaldello con il quale l'occidente borghese ha dominato la natura. Tale
evenienza non è così esplicita in Femminimondo e lo stile s'incarica di
nasconderla ulteriormente. Rimane tuttavia evidente l'indecisa presa di
distanza dalla logica che costituisce la fisiologia del moderno, azione che
avrebbe potuto diventare l'alternativa nomade, per dirla con Bruce
Chatwin, la via altra, femminile, di conoscenza del reale, dove vita e morte e
sangue e benedizione del seme non siano antagoniste, bensì la ragione dialogica
del nostro essere mortali. Uomini e donne. Animali e piante. Il libro rimane
invece di qua, nella cronaca, per quanto raccontata dal di dentro e con
maestria, indugia nella contrapposizione frontale tra vittima e carnefice,
nella denuncia documentaria, poetica per il forte mimetismo con il linguaggio
dell'oralità, ma non ci aiuta a conoscere la radice di questo spaesamento né la
possibilità di fare esperienza di quella pratica relazionale tra donne che
potrebbe diventare modello di una nuova civilizzazione.
Qui una differente lettura e alcune poesie.
La sua biobibliografia:
sono nata nel 79 a Fano e vivo a Piagge (nelle Marche).
il primo libro è taglio intimo del 2001
poi scartata, premio delfini 2005
in mezzo tre figli, case piene e vuote, gambe da
piegare, voci, salame.
ho fatto più che altro poesia.
in effetti.
i margini, il filo della carta, qualcuno che taglia.
ecco.
alessandra.
Ho avuto il privilegio di ascoltare la Carnaroli leggere a RICERCABO dal suo Femminimondo, e mi ha colpito tantissimo. Una poesia, la sua, che mi ha ricordato due voci femminili da me molto amate: Agotha Kristof della "Trilogia" e la Muller di "Bassure".
RispondiEliminaFF
Femminimondo è durato un anno. raccoglievo articoli di giornale, ritagliavo fotografie di scarpe aperte e piedi duri, inviavo mail, ascoltavo voci di donne che stringono i denti e di donne che li perdono sul pavimento. Ho scoperto che le botte si danno sempre al presente. che non ti pisciano addosso col congiuntivo. che quando hai un coltello puntato alla gola la grammatica si spacca. come unghia e pelle. miagola gatta. sei in casa. la borsa della spesa. Una cosa è certa. le mie donne non ce l'hanno fatta. è una delle critiche più vere e forti che sia stata mossa nei confronti del libro. Non sono riuscita ad andare oltre. a parlare di rinascita. di riconquista. sovvertire, liberare. dire insieme. ecco, dire insieme. grazie per questo spazio. a.
RispondiEliminaDella Carnaroli ho apprezzato "Taglio intimo" e adesso leggendo queste nuove poesie mi sembra di riconoscere il percorso della sua scrittura intrapresa gia' allora. complimenti, sia all'autrice che a Gugl che le ha presentate.
RispondiElimina(A. Salvi)
Io apprezzo l’onestà nella vita e quando li scopro nelle loro poesie e nei loro saggi levare pugni e grida ne sono disgustata e dubito della loro veridicità. E penso tra me “Forse è solo per un piatto di riso che gridano” Forugh Forroxzād
RispondiElimina@ Alessandra: anche puntare il coltello alla gola ha una grammatica: è quella del potere, quello che ci nega il congiuntivo (il modo della possibilità) per imporci il modo dell'assertività, l'indicativo appunto.
RispondiEliminaIl riferimento al parlato, tuttavia, voleva sottolineare che la violenza la subiscono tutti i deboli, indipendentemente dalla loro condizione sociale e culturale.
Ma il rilievo principale, lo hai colto benissimo alla fine del tuo intervento:"non sono riuscita ad andare oltre. a parlare di rinascita. di riconquista. sovvertire, liberare. dire insieme."
E' proprio questo il compito della poesia. La cronaca la fanno già i mass-media, con grande forza persuasiva.
Apprezzo gli altri interventi, a sostegno dell'autrice. L'ultimo però mi è poco chiaro.
RispondiEliminacredo di aver capito quello che dice Forugh Forroxzād, dice che è disgustata in quanto pensa che alcuni poeti e scrittori scrivano di dolore per vendere di più. (e comprarci quel "piatto di riso"... carnaroli, a questo punto, spero...).
RispondiEliminaIl dubbio è più che legittimo, sicuramente parlar di violenze e vittime non può lasciare indifferenti i lettori, che si mettono quasi automaticamente dalla parte dell'autore. è un giochetto facile facile. Eviterei comunque di parlare di onestà nella vita, visto che non ci conosciamo direttamente. e resterei disponibile a parlare di onestà poetica. perché anche questa è una critica che mi è stata rivolta in diverse occasioni. alessandra.
ultimo. questa cosa de L'Aquila non l'abbandonerei... anzi potrebbe diventare una doppia adozione...L'Aquila che adotta un poeta, un poeta che adotta L'Aquila... nel frattempo buone cose. a.
RispondiEliminanon credo che Forugh Forroxzād intendesse questo o che comunque si riferisse a te. la tua poesia la trovo molto sincera e nata da una tua costola.
RispondiEliminasu L'Aquila: bisognerebbe spiegarlo ai lettori (che ci sono, anche se non lasciano commenti): tu vorreesti che scrivessi che sei nata a L'Aquila anche se non è vero. Ciò per la forte commozione che ti ha dato vederla distrutta dopo il terremoto. il fatto è che la lista dei poeti, regione per regione, non vuole parlare di patrie ideali, bensì di situazioni reali, utili a costruire una mappa del poetico italiano. Tu sei marchigiana e dovresti andarne fiera.
Ma non è un problema di essere fieri o meno del posto in cui si nasce, nel quale si cresce, dal quale si scappa e al quale si decide di tornare. è che c'è un buco. che dura da tre anni. una ferita che ci dobbiamo sentire addosso tutti. e probabilmente dire anche io sono aquilano serve a tamponare. nell'attesa che lentamente smetta di uscire sangue. e spuntino quei fiori di "rimavera" che abbiamo letto il 21 marzo a L'aquila per la giornata internazionale della poesia. e che siano fiori spontanei. fiori di campo, fiori sul campo, come anna maria giancarli e isabella tomassi, per esempio...
RispondiEliminaale
ci vogliono soldi e progettualità politica, resposnabilità individuale, lavoro: la poesia è l'ultima cosa che serve in quel contesto...
RispondiEliminagugl...hai ragione, servono (nella mia città) tutte le cose che hai detto. Vero. Cose che in parte però ci sono già state. Progetti, quanti progetti. Soldi anche, non tantissimi, non tutti quelli che servono, ma ce ne sono stati tanti da poterne sprecare. Lavoro, sì, che lavoro? Edile per caso?
RispondiElimina-
Sarò di parte, ma la prima cosa che ci serve è la poesia (=creazione). Poesia intesa come cultura nuova, di frontiera, vera avanguardia. Qui si vive almeno 5 anni avanti rispetto al resto del paese, qui sappiamo già come andremo tutti a finire. Serve poesia intesa come cultura e come idea. Servono fondamenta su cui ricostruire prima le persone, poi la città e così l'Italia.
Non è una visione romantica. La poesia è sempre servita a questo. Poesia = creazione.
in questo senso la poesia serve ovunque e sempre, ma non si ottiene con gesti simbolici. purtroppo le amministrazioni sono fatte di burocrati e servi di partito; i rari creativi sono messi fuori perché destabilizzano l'ordine costituito, che è conservatore e di casta. qualcuno diceva che creatività e rivoluzione, ma nemmeno quella si è rivelata tale. Da parte mia non posso che farvi gli auguri e lavorare sempre meglio a scuola per far crescere una generazione consapevole.
RispondiEliminamolto bello l'evento poetico che hai raccontato nel tuo blog. E' sicuramente una iniziativa importante, che tocca le anime ma non le cambia, purtroppo. Forse io sono troppo pessimista, non so.
RispondiEliminaIn ogni caso, metto su facebook il link di quell'evento.
ciao!
Ti ringrazio per la condivisione.
RispondiEliminaIn merito alla questione, c'è tanto lavoro da fare. Le cose cambieranno, se cambieranno, col tempo.
Cambiare è una scelta che richiede tempo, coraggio, impegno.
RispondiEliminaMa eventi e manifestazioni e libri e parole voci "toccanti" servono: sono un massaggio dell'anima che ci aiuta, nel tempo, a ritrovare forza, a tenere dritta la schiena, a rialzare la testa...
http://personelibrodonnedicarta.wordpress.com/2012/03/22/una-citta-di-poeti/
giusto per rimanere in tema...
alessandra
sì, servono. così si fa da tempo: da sarajevo a l'aquila. grazie a voi per averlo ricordato. l'importante è non partecipare per essere visti, come invece capita tra i poeti, gli attori, i cantanti...
RispondiEliminanon alessandra, certo.
ma... sicuramente c'è una parte di protagonismo, ce l'abbiamo tutti, nessuno è immune dalla smania di apparire, mostrare, dimostrare, esserci per non essere tagliato fuori, dimenticato... un gran lavoro di autopromozione... la differenza sta nell'impegno e nella durata... nella costanza, nella volontà di costruire non amicizie per profitto... ma rapporti d'amore in grado di rivoluzionare lo stato delle cose...
RispondiEliminaalessandra
RispondiEliminaio su queste cose sono intransigente: chi vuole apparire, per me, resti a casa a specchiarsi. La smània è quella che fa crollare le case a l'aquila.
RispondiEliminaLeggere la tua recensione a Alessandra, mi fa venir voglia di reimpostare ,anche se con le stesse idee, sensazioni, ipotesi, il discorso sulla scrittura delle donne.
RispondiEliminaAvverto la tua attenzione al tema della scrittura di genere. Mi piace anche che tu abbia capito la bufera, che,a volte, è nelle madri. E iltuo commento al testo postato s sulla scrittura delle donne, in cui dicevi che non sono capaci di fare rete. E' vero.
Ma poi dovrei anche dirti di certe idee che mi sono venute conversando con un mio amico gay. E' uno schema. Tu dici però la solita cosa che gira tra donne e uomini, che dobbiamo camminare insieme. No, non ancora. Io so di segreti, migliaia di segreti di genealogie, di cui le donne scrivono o di cui parlano. E sono sempre le stesse violenze, molestie, umiliazioni, anche oggi con le figlie piccole. Quando avremo meno spazi e ansie che ci dividono, allora comincerà il cammino della civiltà, quella vera.
Mi vien voglia di far rete con le donne, pur sapendo che poi lasciano. ma dove te ne parlo?
io cerco di non ragionare per schemi, ma in rete è difficile sviluppare qualcosa di articolato. Affronto quindi per punti, le questioni che poni
RispondiElimina1) la bufera è nella madre delle madri: la storia. Non si tratta di differenza di genere, ma del suo contrario: nessuno si può chiamare fuori.
2)camminare insieme nel lavoro da fare per ripensare le categorie del pensiero occidentale, lavoro che stanno meravigliosamente facendo alcune filosofe (anche italiane: penso a Cavarero, Travi, Magli).
3) la violenza è una patologia, ma non si cura sino a quando c'è bufera nella madre. Occorre lavorare nel punto 2 e, tutti insieme, chiedere una società più giusta, perché la violenza è sui deboli (bambini, uomini, donne, animali, piante) e dunque sulla possibilità del futuro, che è il respiro più debole, ma più necessario, che abbiamo.
grazie per aver alimentato questa discussione
vuoi parlarmi della rete di donne?
RispondiEliminaLa violenza è sui più deboli, certo.
RispondiEliminaMa non dimentichiamoci che, in Italia, così come in altre parti del mondo, c'è una emergenza chiamata violenza degli uomini sulle donne, che troppo spesso si conclude con il FEMMINICIDIO.
La morte della donna. E non pensiamo allo sconosciuto che rapisce , violenta e uccide. Questo accade ma in una percentuale bassa dei casi. la maggior parte delle violenze e dei femminicidi avviene "in casa". Femminicidio. Oltre a non essere riconosciuto dalla legge anche il computer me lo segnala come errore....
ale
il dato è sicuro, documentato sumolte agenzie. che cosa deve fare la poesia: ripeterlo?
RispondiEliminaLa poesia può anche questo, non come cronaca, ma come verità di dolore, di paure ancestrali di quel che è sempre accaduto, anche nei miti greci e ancora prima. Sì le filosofe Cavarero , Magli, anche Muraro,Cutrufelli, ma scrivono su libri.
RispondiEliminaDifficile fare rete con donne. In realtà oggi hanno tutti i difetti degli uomini, competitivià, ansia di successo, desiderio di piccoli poteri. Se assicuri gratificazioni, visibilità lo fanno.
Grazie Stefano, sono sempre contributi che dai al problema di oggi.
Non avevo capito che la bufera nella madre era riferita alla stori. In realtà anche la madre simbolica o non simbolica oggi è malata, molto.
E' necessario inventare nuove forma di collettivi poetici,o economici e politici per combatterla violenza simbolica e salvarci tutti, uomini e donne.
Comunque la scrittura femminile è diversa. Andrò a sentire anche Marcia Theophilo, che mi interessa molto. Forse una donna dell'Ammazzonia, una ,per fortuna ancora nata da selvagge,(come nel libro di Pinkola Estes), ci potrà dire qualcosa di diverso!
Non so cosa voglia dire "essere nate da selvagge", so cosa significa essere nata alla fine degli anni settanta, essere madre oggi, insegnare in una scuola dell'infanzia, portare avanti piccole e grandi battaglie contro gli stereotipi di genere, la violenza sulle donne, ascoltare le vittime, dare loro una voce, ricevere minacce, essere etichettata come "nazifemminista"... in fondo femminimondo è solo cronache di strade, scalini e verande.. non mi interessava parlare di madre, grande madre, miti e storia. volevo parlare di teresa, emiliana, gabriella. provare a dire il dolore, tirare fuori la poesia da una tazza. rotta. trovare una voce bassa, che tormenta e rode... ripeterlo... ripeterlo... perché sono ancora in troppi a mettere in discussione quel dato. perché troppo spesso la vittima viene percepita come carnefice di sé stessa, anche nei processi e nell'opinione comune. dai titoli di giornale alle sentenze dei tribunali... ale
RispondiEliminaale
cara Alessandra, sei riuscita a parlare di ciò che volevi e bene anche Non torniamoci più sulla tua bravura; sì invece sulla questione femminile, che è "questione" solo perché la donna è ghettizzata entro il recinto: problemi da risolvere da parte dei maschi dominanti.
RispondiEliminavediamo dunque di parlare ancora su Blanc. Anche con Gloria che cerca voci non civilizzate come un antropologo illuminista. Come darle torto?
sì, sulla questione femminile:
RispondiEliminahttp://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2012/03/27/cest-moi-qui-lai-tuee/
a
PS e i commenti... assolutamente!
RispondiEliminaho letto l'articolo e i commenti. la cosa è ovviamente complessa e piena di implicazioni. giusto non semplificare. normale qualche fraintendimento e qualche, voluto, maschilismo. ciao!
RispondiEliminaAh, erano mesi che Blanc non aveva questo numero di commenti. Brava! :-)
RispondiEliminava beh... è semplice, posto commenti sempre io...
RispondiEliminaalessandra
sì, come si dice da me, sei una ciaccolona :-)
RispondiElimina