Esce oggi su "La Poesia e lo Spirito", a cura di Giorgio Morale un florilegio di libri sulla scuola, che si potrebbero leggere o regalare per Natale (o per il primo dell'anno, volendo essere pagani). Fra questi, c'è anche quello segnalato da me; articolo che riporto qui. Invito tuttavia a leggere l'intero post su LPLS perché davvero istruttivo.
Per una scuola
nuova ci vuole un libro vecchio come Lettera a una professoressa di don
Lorenzo Milani. Per fortuna, alcuni professori sono finalmente usciti
dall'idea, classista, che la cultura sia tutto ciò che ha dato lustro alla
nostra civiltà: libri in classifica, morali per bene, imprese eroiche,
rivoluzioni industriali. Ma in generale la scuola, su quelle leve, ha edificato
la sua fortuna. Il risultato di questa selezione culturale plurisecolare è
stata la formazione di una elite dominante e privilegiata (magari mascherata,
come oggi, da illuminata riformatrice), e di uno sterminato serbatoio di forza
lavoro. Ce lo ricorda ancora don Milani, anzi, i suoi allievi raccolti intorno
alla Scuola di Barbiana, negli anni Sessanta. Tutti ragazzini malnati a inchiostri
e calamai, e che pure ammettevano che la scuola fosse "meglio della
merda". Pronunciata da un figlio di contadini è una frase forte, ambigua
in fondo, perché il letame concima, è risorsa. Ma la scuola è meglio, se fatta
bene. Concima infatti le menti, le libera dalla sottomissione ai poteri
meschini. Le impegna per i poteri necessari, per quelli che vogliono realizzare
una società equa.
Qualcosa è cambiato
da allora, ma non tanto a pensarci bene. La bocciatura, come strumento invasivo
per liberare il corpo sano della scuola dagli incapaci, sta tornando in
auge; professori che non si vogliono aggiornare perché sottopagati aumentano di
continuo; per non dire dell'idea che la scuola sia un'azienda che non può
permettersi disavanzi, per cui chiede programmazioni e bilanci che tengano
conto delle quantità spendibili anziché di formare cittadini capaci di spirito
critico e solidali con il prossimo.
Rileggere Lettera
a una professoressa significa tornare alle questioni di base, alla funzione
ideologica della scuola e a quella di selezionatrice della classe dirigente.
Per capirci: il primo anno di riforma Gentile, più di tre quarti degli
esaminandi fu respinta. La borghesia gridò allarmata: ma come, noi paghiamo il
regime e voi impedite ai nostri figli di diventare la futura classe dirigente?
Il regime corse ai ripari abbassando gli obiettivi minimi. Ora siamo in
un'altra fase, opposta, direi. In quella in cui gli obiettivi minimi sfiorano
lo zero (non dappertutto, sia detto con chiarezza). La ragione è evidente: il
rinnovo del potere passa per altre vie. Più clientelari, come si è ben visto.
Il professor Monti ci è invece arrivato per meriti acquisiti, ma questo capita
solo quando il sistema clientelare non riesce più a disbrigare la matassa. Però
è sempre lui, il sistema, ad avere l'ultima parola. Parola che il popolo
riscrive così: a pagare sono sempre i soliti. Ma anche ad essere esclusi da una
formazione di qualità sono sempre i soliti; e a subire un indottrinamento
consumista; e a non riuscire a godersi l'effimero della bellezza, assorbendo
acriticamente il bello di moda, quale effimero della produzione standardizzata.
Lettera a una professoressa ci insegna la democrazia, l'esatto contrario
dell'Italia contemporanea, corporativa, razzista, opportunista e cinica, dove
uomini mediocri – dietro ai quali, tuttavia, ci sono precisi gruppi di potere
intelligenti – decidono i destini d'intere generazioni (vedi la disoccupazione
giovanile e la riforma delle pensioni). La scuola non ha leve per scardinare
tutto ciò, ma, se ben fatta, offre agli allievi la chiave per comprendere che
matrix esiste e pulsa meno intensamente quanto più noi riusciamo a pensare
creativamente. Il libro scritto dagli otto ragazzi di Barbiana può aiutarci a
vivere meglio, ad essere artisti non per vanità, ma per liberarci dagli
stereotipi, per combattere il virus conformista che ci ammala. E ciò malgrado
qualche riga sia davvero improponibile oggi, come l'invito, "nei casi
estremi", ad usare "la frusta" e l'idea che insegnare sia una
vocazione talmente alta da chiedere, se possibile, "il celibato" o la
castrazione preventiva.
io non ho letto il libro e non so si arrivero a leggerlo. Ma é vero che non ha cambiato niente. É tutto uguale. Dal Venezuela a Italia, i professori sono sempre gli ultimi. Mi ricordo della mia maestra Tania, poverina, era sottopagata e logicamente non sapeva niente di pedagogia...e il mio amico Giovanni Rizzti o come sia che si scriva...non voleva studiare, non era colpa della maestra, non era colpa della scuola, non era colpa sua...allora? e sempre la stessa storia, vero?
RispondiEliminaprova a leggerlo, ti darà le risposte che mi chiedi.
RispondiEliminalo sai che l'altro giorno, su rai storia, ho visto un documentario italiano del 1969 su ciavez: è presentato come un capo della non violenza, un sindacalista che aiuta i campesinos contro il capitalismo americano. come cambiano le cose!
Stefano, ma ti riferisci aLl'attuale presidente del Venezuela (Hugo), oppure ad uno dei più grandi esponenti della nonviolenza attiva(Cesar), morto nel 1993 e a cui era dedicato il documentario del '69?
RispondiEliminaBuone feste! GTZ
mi sa che hai ragione! probabilmente era Cesar, ma assomigliava moltissimo a Hugo.
RispondiEliminaps. mi è arrivato il tuo libro. Grazie!
you are welcome, mate. Marry Christmas and Happy New Year. GTZ
RispondiEliminaanche a voi!
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