martedì 26 aprile 2011

Ai miei insegnanti


Ricavo la mia parte da un'intervista di Giorgio Morale, fatta a più poeti e uscita su La Poesia e lo Spirito, relativa all'importanza che hanno avuto gli insegnanti nel farci amare la poesia.


Caro Giorgio,

non ho ricordi forti riguardo alla poesia conosciuta ai tempi della scuola. All'esame di terza media, tuttavia, ho portato l'Ungaretti di "Porto sepolto". Vuol dire che qualcosa i miei insegnanti avevano seminato, malgrado l'impostazione fosse didascalica o, peggio, un esercizio di memorizzazione. Esercizio che allontana forse dalla poesia, ma che da adulti aiuta a dare un nome alle cose. La nebbia di Carducci o l'aspro odor di vini, in autunno ancora mi punzecchiano le narici. Ai miei tempi (e per fortuna), le elementari erano una palestra per imparare la grammatica; forse perché la poesia, probabilmente, spiazzava anche gli insegnanti, poco preparati a fare didattica su un testo dove la vita e la morte, la gioia e il dolore sembravano esperienze troppo adulte. A noi piccini rimanevano i suoni e qualche filastrocca. Ricordo però con piacere "Bella ciao", imparata in terza elementare (ma eravano nel sessantotto, ora che ci penso...).

Durante le scuole superiori le cose non sono troppo cambiate. Anche perché forse non tutti sanno che io ho frequentato l'istituto per geometri, per cui, ad Omero e Dante, si preferiva la trigonometria e l'estimo. Alla poesia mi ha involontariamente avvicinato il mio compagno di banco, che, adolescente, mi leggeva il suo diario. E' stata la prima volta che mi sono detto: anch'io posso farlo. Anch'io posso tradurre quel che sento in una lingua che finora ho usato male. Avevo molto da dire, soprattutto riguardo alla mia compagna di banco, che amavo di un amore totale, quasi mortale.

C'è stata invece un'insegnante che mi ha aiutato ad approfondire la mia passione per la psicoanalisi e per la filosofia. E' siciliana ed è ora in pensione. Facevo tra l'altro da baby sitter a suo figlio, lei che era rimasta vedova poco più che trentenne. Parlavamo di tutto, ascoltavamo musica, mi consigliava dei libri. L'ultimo anno delle superiori (per mia scelta naturalmente), invece di approfondire le materie tecniche, leggevo Fromm, Freud, Marx. E anche Herry Miller, che avevo scoperto per caso in biblioteca civica. Poca poesia (Neruda e Prevert, come tutti in quegli anni). Evidentemente queste passioni non mi aiutarono all'esame di maturità tanto che dovetti ripetere l'anno. Ebbi così più tempo per cominciare a leggere Aristotele, Platone, Schopenhauer e Nietzsche. Infine, mi iscrissi a Filosofia: non potevo fare di meglio. Avevo 20 anni, tanta voglia di viaggiare e di studiare, amici così cari da insegnarmi che cosa fosse davvero la vita e la morte, qualche amore maledetto e, dunque, la condizione perfetta per cercare la parola esatta, quella capace di toccarmi nel profondo. Ho impiegato vent'anni per trovarla.

Nessun commento:

Posta un commento