Sezione A
Patrizia Dughero - Le stanze del sale - 1° premio
Mario Bertasa - Un'altra, un'altra volta - I1° premio
Enzo Campi - Il Verbaio - III° premio
Silvia Cecchi - Colloqui- segnalata
Filippo Farinelli - Calviniane - segnalato
Aldo Ferraris - Res - segnalato
Jacopo Galimberti - Senso comune - segnalato
Matteo Poletti - Moto scomposto - segnalato
Sezione B
Marco Bini - 1° premio
Luciano Mondini - II° premio
Michele Porsia - III° premio
Ada Crippa - segnalata
Narda Fattori - segnalata
Andrea Lanfranchi - segnalato
Francesco Iannone - segnalato
Roberto Uberti - segnalato
Scrive Bianchi:
La pubblicazione dell’ultima meritoria fatica di Giorgio Linguaglossa La nuova poesia modernista italiana (Edilet 2010) sarebbe probabilmente passata anch’essa, come tante, sotto assordante silenzio, se il nostro autore non avesse iniziato quattro mesi fa un suo intelligente battage promozionale in rete, inviando ad una lunga lista in chiaro di addetti ai lavori (critici, poeti, operatori culturali a vario titolo) una sua serie di riflessioni/provocazioni atta a stimolare un vivace dibattito, come in effetti è poi accaduto. Anche se la maggioranza dei destinatari in elenco non avrà letto tutti gli sviluppi della cosa (peraltro ospitata all’inizio sul blog di Stefano Guglielmin, Blanc de ta nuque, e per intero sul sito LietoColle, dove è tuttora consultabile nel suo svolgimento), l’obiettivo principale di Linguaglossa è stato raggiunto. Il suo nome, la sua immagine di critico capace di una rilettura diversa degli ultimi cinquant’anni di attività poetica in Italia, i destinatari della affollata mailing list ce l’avranno d’ora innanzi ben presente. Non so quante copie in più del suo libro saranno state vendute, ma ogni risultato anche in tal senso, seppur minimo, vale il suo sforzo, visto che la Edilet non è Mondadori e non può certo permettersi pubblicità e diffusione forzatamente capillare. Linguaglossa va dunque ammirato anche per il suo attivismo, oltre che – ovviamente - per la sua attività di studioso: va ringraziato per aver inquadrato l’ultimo lungo periodo di storia letteraria con un’ottica diversa, ridistribuendo i giusti valori su nomi spesso non adeguatamente considerati nei lavori antologici pubblicati precedentemente. Ricordiamo qui tra le firme femminili del passato soprattutto la ‘nostra’ Helle Busacca, di cui Linguaglossa riconosce la straordinaria potenza espressiva, riposizionandola al centro degli esiti degli anni ’70, anche se conosciuta e apprezzata solo da un’élite (ma che élite!) di critici e poeti. Contemporaneamente, innescato su Absolute Poetry da un post provocatorio di Luigi Nacci rivolto ai ciòfani (proprio così) poeti, è partito un lungo thread, non ancora concluso e condiviso con Matteo Fantuzzi [neopadre da pochissimi giorni: complimenti vivissimi] su Universo Poesia, dove un altrettanto serrato dibattito sulla poesia si incardina però sulle ultimissime generazioni e sulle loro attese. Anzi: sulle attese di chi le ha immediatamente precedute, su di loro. Quasi un chiedersi a chi poter passare il testimone.
Terzo notevole accadimento in rete, la nascita di Poesia 2.0, un portale-piattaforma nato da proposte e discussioni su Poesia e Rete (incontri di Villasanta e Verona) incanalate poi sul blog di Stefano Guglielmin e fatte proprie e finalmente realizzate da una redazione di tutto rispetto. E che si propone di occuparsi di poesia a tutto campo, con l’obiettivo e la speranza “di ricostruire attorno alla Poesia una comunità capace di restituirle quel senso di collettività e la forza per sostenerne il peso” unendo la potenza del web alla presenza sul territorio. La struttura del portale è già di per sé più di una speranza, e dimostra un’attenzione davvero unica ai tanti volti e alle tante implicazioni del fare poesia oggi. Tra i numerosi redattori e collaboratori, che vi invitiamo a conoscere direttamente sul sito, citiamo solo Mario Bertasa (uno dei premiati al Giorgi di quest’anno), e i due ciòfani Luigi Bosco e Francesco Terzago che hanno un po’ rappresentato (e bene) la categoria “figli del tardo impero” reagendo vivacemente alla chiamata in causa di Nacci e Fantuzzi di cui alla nota precedente. Dagli infiniti spunti di riflessione offerti da queste recenti occasioni si può solo tentare di ricavare alcuni punti fermi, delle indicazioni di tenuta particolarmente significative. Ci provo, citando in un continuum poeticamente collettivo spezzoni di interventi (tratti principalmente da Linguaglossa, Romanò, Lucini, Abate, Dall’Aglio e Bertoldo: non sono più in grado, per come ho fatto la raccolta, e me ne scuso, di indicarne voce per voce gli autori).
Maurizio Cucchi recentemente ha detto che le riviste di poesia sono «irrilevanti». Ha perfettamente ragione. Ma in questo contesto generale di de-valorizzazione tutto diventa irrilevante: diventano «irrilevanti» anche le collane di pseudo-poesia di Einaudi, di Mondadori, di Garzanti, di Guanda, di Fazi, di Donzelli, della Passigli, di Scheiwiller, etc. È tutto il settore cultura che è diventato irrilevante. Si è passati (in questi ultimi trenta anni) dalla società di massa a quella della post-massa: da una situazione di imbarbarimento a quella di degrado totale: la de-valorizzazione spettacolare globale. Se ci si guarda attorno, non si vedono che reduci da una disastrosa guerra e da una disastrosa sconfitta: oggi i cittadini (tra cui i poeti) devono fronteggiare una situazione più buia che i tempi bui brechtiani. E continuare a promettere felicità (secondo la definizione di Fortini la poesia è solo “promessa di felicità”), oltre che con le religioni anche con la poesia, può sembrare come minimo indecente, tanto sono cresciute le potenze ostili che impongono infelicità e orrori. E perciò è essenziale riconoscere che la letteratura (e la poesia in modi apparentemente meno evidenti…) non è stata mai fuori dai conflitti di potere o dai giochi di potere. I valori interni alla letteratura e alla poesia non sono mai mutati senza che mutasse in modi più o meno vistosi «l’ordine extraletterario» che le istituisce. La scelta che oggi si pone a uno scrittore, a un giornalista, a un intellettuale, a un poeta, a un semplice cittadino è questa – come posso vivere, fare esperienza, produrre arte, agire politicamente, ribellarmi, senza che tutto ci si esaurisca in un gesto ininfluente? Come posso far sì che la mia attitudine critica, l’impegno civile l’esperienza politica non sia una forma di intrattenimento, di mero consumo culturale, un passatempo come un altro, nella società spettacolarizzata? D‘altra parte, non è neppure reale che la poesia italiana vada poi così tanto male e addirittura si parli di punto di non-ritorno. Si sono visti anche ottimi libri, in questi ultimi anni. E' vero, due o tre all'anno, non di più. Ed è giusto pensare che forse proprio la poesia non sia mai in crisi, in quanto nasce proprio dalla crisi, che lei infatti riconosce essere ovunque. Questi tempi invivibili, dunque, sono invece maturi proprio per la grande poesia. Una poesia che torni ad essere l’espressione della resistenza e della rinascita culturale e umana di un popolo. La crisi vera della poesia è invece una crisi di sincerità. Se si trova la sincerità si trova il linguaggio e lo spessore, qualunque cosa si scriva. E se anche fosse inutile, spronare la mente e la sensibilità a vivere più profondamente è un atto titanico che ci riscatta dalla vacuità imperante. Bisogna porre un forte accento sulla restituzione di senso alla parola poetica. Tutti gli autori più significativi della «nuova poesia» si pongono il problema: è possibile il discorso poetico senza un forte investimento di senso? È possibile un discorso poetico slegato da un proprio mondo di esperienze significative? È possibile il discorso poetico slegato dall’«autenticità»? Quale linguaggio per la poesia futura? Se si individua un poeta vero, in comunicazione con se stesso, anche il problema del linguaggio non si pone più: anche la poesia del quotidiano, del minimale, persino del banale e dell’impoetico può essere allora poesia “vera”. La cosiddetta poesia sociale poi deve venire non dall’ideologico e neppure esclusivamente dall’ideale etico, ma da un porsi da poeta di fronte alla realtà, reagendo nella forma in cui si riesce a reagire, dal profondo di un sentire umano. Se uno scrive e non comunica con la sua verità interiore, con il se stesso, non dice nulla, ma si limita a ripetere il mondo senza esserci dentro. La frammentazione, a tutti i livelli, del discorso poetico, la sua estrema soggettività e la conseguente incapacità della critica di unificare l’esperienza di ciascuno in un quadro di valutazioni coerente e oggettivamente riconoscibile, determina la “solitudine” del poeta contemporaneo. L’unica possibilità che probabilmente resta a chi scrive poesie è di sfruttare al massimo la propria marginalità rispetto a questo stato di cose. Non dimentichiamo che ogni margine è il centro di qualcosa d’altro, basta spostarsi.
Da ultimo: è lecito parlare di «canone»? Il canone è una costruzione «artificiale», ideologica, un espediente strategico finalizzato a promuovere una «linea» piuttosto che un’altra. In realtà (e per semplificare) la questione del «canone» è una operazione di politica estetica e di politica editoriale di una élite intellettuale: soltanto quando questi due elementi entrano in gioco contemporaneamente si può parlare, propriamente, di «canone». E’ però verosimile che nessun canone, nelle accezioni qui sopra descritte, possa offrire qualcosa di buono alla poesia. Il poeta non dovrebbe preoccuparsi affatto del canone. Deve concentrarsi solo sul suo scrivere. Il canone viene dopo, e lo stabiliranno i critici, e i lettori (e i poeti) delle generazioni successive, proprio su quanto lui e gli altri suoi ‘colleghi’ coevi hanno scritto. Se si preoccupa del canone vigente (basato sul passato) non ha capito niente e la sua è solo la preoccupazione di un arrivista che sgomita perché vorrebbe entrare subito per il suo piccolo prestigio, in quel canone. Che è inevitabilmente trascorso, tardivo, superato dalla scrittura veramente in atto. E’ invece necessario che il poeta debba seguire delle regole, o meglio delle scelte appropriate a quello che sta scrivendo, darsi una regola sua che il lettore sia in grado di individuare e di criticare. E per far questo è indispensabile che ogni poeta si preoccupi della sua poetica. Se uno sa come scrive significa che ha trovato il suo canone, la sua regola, elaborata dalla sua mente, dalla sua sensibilità, dal suo respiro polmonare, dal suo concorso emotivo, dalle sue convinzioni estetiche ecc. La regola inventata "dentro" il processo di costruzione del testo, non è affatto facile, è anzi, molto più difficile di qualsiasi canone, perché implica la consapevolezza del poeta nel suo essere poeta e implica una necessaria empatia del critico e del lettore. Detto così è semplice, ma è anche un concetto finalmente davvero etico, che chiama forte il dovere di responsabilità.
Ecco la poesia d'apertura di Le stanze del sale, di P. Dughero (a cura di F. Alborghetti, Le Voci della Luna, 2010)
Compito
A volte li frantumo i sassi
per vedere se trovo qualche pezzo
buono da salvare.
Difficile risalire le parole, appellativi,
come fatua, ad esempio, che impedisce il peso
di ogni mia lettura.
Difficile tessere fili che vedi sparpagliati
se non sei abituata a ore di telaio.
Un giorno una veggente che mi piaceva
consultare - era molto brava -
disse che il mio compito è tutto ciò che è materiale.
Basta con la meditazione e la contemplazione
e tutto ciò che è trascendente.
Occorreva appoggiare i piedi a terra.
Non l’ho ascoltata e ho continuato.
Ma quando il dono è arrivato, io l’ho accolto.
Ho iniziato a trasportare ciò che ricevevo, onorando,
a tramandarlo, lasciando che trabocchi su altri.
Ho iniziato a trasportare mattone su mattone
asciugando il sudore con la pietra bianca.
Mi hanno insegnato che esiste il taglia e cuci
anche per i vecchi muri: tecnica raffinata.
Io l’ho osservata e ora è quel che faccio,
che tento, coi gesti e le parole, se posso.
Scavo dei buchi ai vecchi muri e poi li copro
li intesso con mattoni nuovi e poi li mostro.
Vinco la vergogna, a volte, sperando
che sia utile e che serva.
............................Un compito pesante.
per il signor Cucchi le riviste sono 'irrilevanti'; ebbene per noi è irrilevante.
RispondiEliminaottimo testo. complimenti.
un abbraccio
alessandro ghignoli
.trovo il tuo post molto lucido e condivisibile in pieno
RispondiElimina.il tutto sembra ricondursi (almeno per quello che attualmente io penso del "canone" poesia) ad un impronta più prosastica e meno legata a stili artefatti .il testo di patrizia dughero lo conferma .tonino
Condivido quello che Fabrizio scrive, con una lettura accurata e attenta di ciò che accade. E mi sembra che per molti aspetti non sia troppo distante da quello che, in Senza Riparo, scrivevi anche tu.
RispondiEliminafrancesco t.
--"forte investimento di senso",
RispondiElimina--"autenticità"
--"costruzione di un proprio personale canone"
Sì, Fabrizio, sono davvero questi i tre capisaldi di chi oggi -ma credo sia sempre stato così- voglia tentare di scrivere "poesia vera". Requisiti indispensabili. Aggiungo una dimensione incompatibile con il fare poesia in autenticità:
ogni "operazione di potere",non solo in ambito editoriale e accademico, ma anche in rete, mascherata da compito di diffusione/dibattito(del resto sappiamo come il tempo renda poi inutili queste illusioni), in realtà volta ad ottenere gratuito prestigio spendibile in varie forme che nulla hanno a che fare con la scrittura autentica di cui parliamo. (del resto sappiamo come il tempo poi renda inutile ogni sgomitamento e falsa illusione)Onestà dunque, il non barare, prima di tutto con se stessi.
Un abbraccio a te e a tutti gli autentici, Annamaria Ferramosca
per capire la mia posizione e anche quella di Fabrzio, immagino, andrebbe approfondito il concetto di "investimento di senso"; non credo significhi: semplifichazione, prosaicità, linguaggio quotidiano, anzi: proprio dove il senso pare mancare, lì esso ci chiede raccoglimento, autenticità, impegno.
RispondiElimina.si..." l'investimento di senso" che non credo significhi semplificazione, prosaicità, linguaggio quotidiano, anzi: proprio dove il senso pare mancare, lì esso ci chiede raccoglimento, autenticità, impegno."
RispondiElimina.ora ...non vorrei dire qualcosa di scontato ma mi viene da aggiungere, ATTENZIONE:
tutto questo grado di autenticità del poeta; di doversi dare (ed io personalmente ribadisco che debba essere così) una regola sua; di doversi concentrare solo sul suo scrivere; la poesia del quotidiano, del minimale, persino del banale e dell’impoetico che può essere allora poesia “vera”…
...tutto ciò potrebbe portare paradossalmente proprio ad una chiusura, e quindi creare un effetto contrario al fine perseguito, a prescindere da quello che ci circonda,in sostanza ad una non lettura,ad un riflusso sia dai canoni,ma anche dal sociale, un novello poeta potrebbe essere stimolato fortemente nel “partire a testa bassa” …al riguardo sarebbe da evidenziare e calza alla perfezione con quanto voglio dire, il pessimo fenomeno Leoncini (Thomas), che con l’avallo di forti media cavalca impropriamente la poesia…tutto in aperto contrasto con il dovere di responsabilità cui si accennava sempre nel post
.per non cadere in questa trappola, occorre una grande maturità, per cui il punto è proprio come raggiungere per le nuove generazioni, la maturità e quell'investimento di senso che tu dici, premessa dell’AUTENTICITA' …
.qui si ritorna in un bel circolo vizioso
.tonino
sono d'accordo: la monade leibniziana funziona solo in un sistema armonico. Noi invece viviamo in una bufera centrifuga e cacofonica. concentrasi, dunque, significa porsi in ascolto di queste onde disturbanti, di questi rumori. Ci vuole perciò la maturità di non sapersi autofondanti (o autoreggenti:-) e dunque fare i conti anche con il falso che suona dentro di noi.
RispondiElimina.per il secondo ed il terzo posto le raccolte resteranno inedite invece? .almeno le dinamiche del Giorgi mi sembra fossero queste ...
RispondiEliminasì. d'altro canto mi sembrerebbe eccessivo pubblicare anche il secondo e il terzo.
RispondiElimina.sai se è possibile trovare qualcosa in rete delle raccolte suddette
RispondiEliminanon credo.
RispondiEliminaMaurizio Cucchi recentemente ha detto che le riviste di poesia sono «irrilevanti».
RispondiEliminaAnche Maurizio Cucchi è irrilevante. Ed anche i suoi articoli su La Stampa.
Leopardi è irrilevante, Chomsky è irrilevante, Kant è irrilevante, Smith è irrilevante, l'economia è irrilevante, la geopolitica è irrilevante (per non parlare di quanto sia irrilevante la politica). Io che parlo sono irrilevante. Chi legge è irrilevante. E anche chi non legge lo è.
La vita - questa vita - è irrilevante. Tutto diviene irrilevante se si riduce il piano dell'esperienza a puro evento casuale che si accartoccia su se stesso consumandosi nel breve spazio della circolarità del suo tempo di accadimento che non lascia scampo ad alcuna intersezione anellare con nulla. Un cerchio perfetto - e perfettamente inutile. La vita è una questione di quantità, affermava Camus. Altrimenti buttiamoci pure tutti da un ponte (che non sarebbe una cattiva idea).
Luigi B.
Dimenticavo: riguardo al canone, fintanto che se ne parla, se ne discute e si propongono le versioni più disparate è buon segno. Solo ciò che è morto è fermo.
RispondiEliminaPer il resto, che ciascuno proponga il proprio di canone e lo difenda con tutte le sue forze: vorrà dire che ci sarà ancora qualcuno che legge, legge tra le righe, interpreta e dunque riscrive e soprattutto propone agli altri i propri termini di lettura su cui ciascuno può farsi una idea - la propria.
Luigi B.
@conte vaan:
RispondiEliminala raccolta al II posto, dato che giace sotto le mie grinfie, non è in rete, sono circolati due o tre testi ma singoli, senza rendere conto dell'insieme
tuttavia conto di non incattivirla ulteriormente, e di lasciarla presto libera di "ir pel mondo" - nonostante lungo giacere, ha sempre cercato di "scommettere un incontro" e questo ha colto esattamente Ivan Fedeli che l'ha recensita e antologizzata sull'ultimo numero della rivista cartacea "Le Voci della Luna"
scommettere un incontro anche editoriale (e non esoso!) è il dovere cui mi sto accingendo
(scusa, Stefano, se ho approfittato)
dimenticavo: sempre sul citato ultimo numero della rivista è commentato e antologizzato anche il bel lavoro di Enzo Campi, nonché le 5 sillogi che hanno avuto la segnalazione (il mio augurio è che trovino presto la via di una pubblicazione, cartacea o e-book, che meritano); si trovano inoltre tutti i testi vincitori e segnalati della sezione "Cantiere"
RispondiEliminaMi scuso per la latitanza. Ma anche solo dopo qualche giorno dedicato alla poesia (il ‘ponte’ del Giorgi), il contrappasso del ritorno sul lavoro è prosasticamente drammatico. Ringrazio Stefano dell’ospitalità e Alessandro, Francesco e Annamaria (che ricordo si è spesa parecchio per l’anti-sgomitamento almeno sul web, con la sua proposta di scrittura collettiva anonima) per lettura e condivisione. Tonino Vaan merita poi un ringraziamento particolare per avermi fatto scoprire il Moccia della poesia Thomas Leoncini di cui ignoravo l’esistenza.. Sì, niente viziose proposte autoreggenti:-) Maturità vuol dire liberarsi dall’assillo arrivista (e inattuale) del voler far parte del canone, non certo dall’ignorarlo, come ogni comunque valida (anche se spesso inattendibile nei suoi esiti come ogni espressione di potere) testimonianza del passato, dei valori in qualche modo fondanti la poesia in essere. Piena condivisione quindi del gugl delle 08:33 del 2/11 e del Luigi Boschi delle 19:11 del 3/11.
RispondiEliminaRispondo poi a Tonino, Stefano e Mario invitando chi desidera una copia delle Voci dedicata al Giorgi a mandarmi il suo indirizzo postale (vocilunanews@libero.it): recapito immediato e, per questa volta, gratuito. Contraddico poi Stefano (che in questo caso ha la memoria corta), dando un input anche a Mario, ricordando che il premio Giorgi 2004, vinto da Raymond André (alla cui memoria è dedicata una sezione della rivista) con Le vetrate di Saint Denis, prevedeva un unico vincitore e dei segnalati. In ordine alfabetico: Maria Grazia Calandrone, Stefano Guglielmin e Fabrizio Lombardo. Maria Grazia è poi diventata la responsabile della collana in cui abbiamo pubblicato proprio La distanza immedicata di Stefano. E Fabrizio Lombardo è tuttora un mio inappagato oggetto del desiderio. Se solo le Voci avessero più fondi.. La sezione Cantiere quell’anno è stata vinta da Guido Mattia Gallerani, che pubblicherei ad occhi chiusi (se solo “ “ “..), e dava una Menzione Speciale a un giovanissimo Paolo Valentino, che abbiamo poi pubblicato appena ha avuto una raccolta compiuta pronta, nel 2009. Insomma, non finisce tutto col Giorgi: la nostra attenzione continua anche dopo, tra l’altro pubblicando gli autori più promettenti (e non premiati) di Cantiere sulla rivista.
Per finire chiudendo l’ouroboro, mi autocito con l’introduzione premessa proprio al Giorgi 2004: non è cambiato quasi niente.
“Anche quest’anno il Premio Giorgi ha dato testimonianza, nel suo responso, della complessità di esiti che oggi, chi si occupa criticamente di poesia, si trova ad affrontare. Nell’epoca del ‘gremito’, della ‘moltitudine poetante’, le molteplici voci che si propongono sono il riflesso diretto dell’accresciuta, caotica, drammaticità che, sotto un unico imperio dominante, il mondo oggi si trova ad affrontare con l’azzeramento dei valori diversi dal denaro, il montare dell’apparire nel mercato senza etica delle comunicazioni di massa, il degrado culturale. L’inquietudine, non più recintata dal rigore di una coscienza culturale critica orientata (né dalla sola reazione eversiva/sperimentale a questa), si esprime in una gamma di scritture spesso limitate ad un semplice e vago lirismo di maniera o al più abusato ripiegarsi sulle intime -minime- infelicità del vivere, che non riescono a raggiungere una più ampia valenza di respiro sovrapersonale, condiviso. Così, quando emergono delle voci che riconosciamo di possibili ‘creatori di salienti’, non ci importa affatto a quali stili (attualmente vincenti o no) facciano riferimento: la giuria del Giorgi non fa parte di alcun schieramento precostituito, se non quello che riconosce la massima dignità alla parola capace -come spiega il nostro editoriale- di incidere sul reale. Di ricostruire senso, oggi, all’esitere.”
.mario...grazie e auguri
RispondiEliminaOttimo Fabrizio!
RispondiEliminaSalve a tutti,mi chiamo Anna Maria e sono docente di filologia della letteratura.Mi sono permessa di intervenire perchè ci tengo a precisare qualcosa in più sul fenomeno Leoncini.Thomas Leoncini è giovane (e carino),ha quindi un grande handicap nella nostra società letteraria.In più è sulla copertina del suo libro "La nostra vita è ora" e attira molto pubblico femminile.Soffre di una MANIA DI PROTAGONISMO,questo è molto probabile,ma è nostro compito andare oltre e LEGGERE il suo libro prima di parlare se no cadiamo nei trabocchetti ignoranti degli anni zero. Io ho davanti il suo libro e devo dire che scrive bellissime poesie,molto musicali,dirette,schiette,critiche,che giocano abilmente su diverse figure retoriche:dagli ossimori alle anafore e ai litoti e sinestesie,incastonate con preparazione fra le righe.E devo dire che per avere 25 anni ha le idee molto chiare sia sui giovani (vedi Prozac e web) sia sulla realtà societaria (Un politico,Un uomo mascherato,un bacio eterno). Inoltre solo dopo averlo letto ho capito perchè ne hanno parlato bene anche poeti contemporanei del calibro di Davide Rondoni (basta fare ricerca su google), Angelo Branduardi, il critico Mario Luzzatto Fegiz.
RispondiEliminaChiedendovi scusa per l'intrusione vi faccio in anticipo gli auguri per delle serene festività.
Anna Maria