domenica 22 febbraio 2009

Linee d'ombra


La linea d'ombra, l'ultimo importante racconto di Joseph Conrad, ci descrive il travaglio che ciascuno di noi deve compiere per crescere, per essere capace di decisione; lo stesso motivo spinse l'Alighieri ad attraversare la «selva oscura» e l'intero imbuto del male, così come portò San Paolo all'inferno, Enea e Ulisse nell'Ade: l'ombra, qui, è crogiolo alchemico in cui necessariamente sprofondare, per rinascere soggetti capaci di incamminarsi verso una meta salvifica, luminosa, dove fondare città e famiglia. Eppure, di perpetuo, nell'esperienza non incontriamo che l'eliotiana terra desolata («quali radici s'abbarbicano, quali rami crescono / su queste macerie?»), in cui il confine radioso si sposta, irraggiungibile. La linea d'ombra sembra così non finire mai: inghiotte i nostri passi, irretisce i nostri sguardi, ci lascia nello stallo della nave del conradiano capitano Kent, o nella Fortezza Bastiani del romanzo Il deserto dei tartari di Dino Buzzati, ad aspettare l'occasione buona che ci immoli, che dia senso a questo tempo tedioso, senza uscite. Anche Giovanni Drogo vive infatti nell'ombra della storia, appostato dietro alla pietra che dovrebbe delimitare la civilizzazione, fare da argine alla barbarie. Supererà la linea quando avrà chiaro il senso del proprio destino, che non consisteva nell'oro abbagliante degli onori militari, bensì nel morire solo e malato, lontano dal fronte, in quella luce orribile che muta l'illusione d'essere comunità, in certezza di non avere fratelli. La stessa luce pervade le coscienze de La montagna incantata, di Thomas Mann, che additano il mondo come un luogo di tenebre o, per dirla con Benjamin, «un pianeta che ingrigisce nell'attesa di una catastrofe», mentre la storia delle «umane sorti e progressive», già da tempo era diventata «malattia storica», che disprezza il presente ombroso in nome di un passato monumentale e inesorabilmente perduto. D'altro canto, come immaginare i giardini spensierati d'Europa alla luce di due guerre piene d'ossa? Come non vedere i fiori del male e la perdita d'ogni aureola persino nell'angelo-bambino di Paul Klee, emblema dell'innocenza che non avrà mai più luogo, in un Novecento che ha ridotto l'uomo alla dimensione tecnologica, mortificandone le vive ombre dell'istinto e della passione? Per questa ragione, la letteratura e l'arte in genere sono diventate incomprensibili ad occhi non abituati alle tenebre, ad occhi addestrati all'ordine della mensola e del neon, ai grandi boulevards rettilinei, dove mercato e superficie segnano il cammino degli uomini moderni, nati dal cristallino cogito cartesiano e sprofondati, infine, nella melma dei genocidi contemporanei. In mezzo, le sagome nere dell'Espressionismo tedesco, Cent'anni di solitudine di Manuel Garcia Marquez, dove niente si muove davvero, e, fra i tanti, Ombre, di Ernst H. Gombrich, racconto sulla pittura moderna attraverso i modi in cui l'ombra, l'impalpabile, ha preso dimora sulla tela, sino a quel nulla nerissimo che è il silenzio di John Cage, sorta d'estenuante linea d'ombra che lega alla sedia l'ascoltatore per 4' e 33", in attesa che il pianista, finalmente, prosegua il discorso interrotto dalla dodecafonia e dalla musica seriale. Invece non accade niente, un niente snervante, che sospende la continuità con il passato, con il futuro, amplificando l'ansia che ci pervadeva già prima di entrare nella sala del concerto. E tuttavia, ci dicono tutte queste linee d'ombra, non c'è approfondimento se non passiamo per il loro spazio inabitato, inabitabile. E qui, approfondimento non ha nulla a che fare con crescita e sviluppo: esso piuttosto rinvia al foglio bianco dello scrittore, a quel luogo foriero d'angoscia, in cui ci si semina ogni volta da capo, senza protezioni e garanzie, quel foglio il cui biancore è l'incandescenza dell'ombra, che ci riporta al primo giorno della creazione e ci espone alla massima responsabilità, senza requiem. In fondo, la vita autentica non è altrimenti che questo: una scrittura nello spazio-tempo con il corpo e la parola, con l'agire che lascia un segno, a partire dal riconoscimento che si muore soli, come il Drogo di Buzzati, ma si vive fianco a fianco con altri esseri in cerca di verità, di quella luce che solo l'ombra possiede.

15 commenti:

  1. Bello, esaustivo,great..caro Stefano.
    Quella linea d'ombra cambia noi, le nostre vite e ci trasmigra.. ridiventa spartiacque della coscienza,nonostante e prorio in QUESTA ERA..
    Maria Pia Quintavalla

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  2. è un testo che doveva apparire in una rivistina locale, con un pubblico vario. era fermo da più di un anno: l'ho sdoganato :-)

    ciao!
    gugl

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  3. E hai fatto benissimo: ci hai regalato una gran bella riflessione, tutta da meditare.

    fm

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  4. sì!
    sei un ottimo saggista e critico.
    C'è bisogno anche di questo a volte per accostarsi a un testo.
    Come se ci mostrassi i passi da fare per entrare nella viva corrente della parola, lasciarsi portare via.

    ciao Stfano.
    iole

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  5. mi fa sempre piacere passare di qui Stefano, davvero!

    vedo che c'è anche Iole... spero ti sia grato dirti, Stefano, che di Iole Toini ci sono dei tratti in ebook per quel progetto che avevo iniziato su clepsydra

    prova a darci un'occhiata...per me è un gran lavoro il suo!

    un sorriso,
    Anila

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  6. scrivere è incontrarsi. grazie a voi.

    gugl

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  7. sono d'accordo con fm.
    ft

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  8. Itinerario affascinante, è insieme ricordo e prefigurazione, come il 'doppio' e un'assolata solitudine.
    Erminia D.

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  9. sintetica e efficace.
    grazie.

    gugl

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  10. grazie per questo pezzo davvero necessario

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  11. Caro Stefano,
    questo tuo bellissimo testo non è solo sintesi di un pensiero letterario e artistico, ma un vero e proprio saggio di esperienza profonda: un incontro con la parola vitale, tesa, al limite della sua esistenza sempre in bilico tra oscurità e luce.

    Un bel dono davvero.
    Ciao.
    Giorgio Bonacini

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  12. ha il piglio dell'articolo di giornale, quindi si ferma sulla soglia della complessità. Però sono contento che sia apprezzato anche da persone competenti come voi.

    gugl

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  13. Hai fatto molto bene a..."sdoganare"come dici tu, un testo così incisivo e cristallino.
    Grazie per la proposta
    lucetta

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  14. per gli amici si fa questo e altro :-)

    ciao!
    gugl

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  15. per deformazione mia l'occhio è andato con la lente d'ingrandimento sul passaggio del silenzio di Cage

    ovviamente la tua intepretazione si discosta dall'intento originario dell'autore, mosso dall'idea zen dell'accettazione del vuoto come liberazione dal(l'angoscia) soggettivismo e accesso all'illuminazione, e in questo discostarsi sta per me l'interesse complessivo del discorso, che getta luce anche sugli altri passi del tuo disquisire

    la aggiungo così alle intelligenti interpretazioni di 4'33'' che finora ho incontrato e me la metto in saccoccia

    però ti suggerisco di ascoltare anche 0'00'' di Cage nelle due successive versioni per environment elettronico con e senza performer (una delle due, quella senza, è inascoltabile se non in uno spazio interstiziale fra microfoni e amplificatori, portato a livello di feedback/larsen e attraversato casualmente dagli ascoltatori - non avrebbe senso farne un'audioregistrazione - a proposito di linea d'ombra... ... ...!


    ciao gugl bassista! (avevo da parte un saluto per te da Daniele Manini / Banda Putiferio, rivisto in una simpatica serata a PoesiaPresente, ed ecco che finalmente lo tolgo allo zaino


    Mario

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