Scrive Anila Resuli: «La poesia di Luljeta Lleshanaku è un nido di ricordi d’infanzia: il dispiacere dell’assenza e il ricamo dei dettagli nella sua poesia si intrecciano in modo fitto. Leggendo i versi sembra che la poetessa disegni l’uomo, lei stessa, come un’ospite della vita che spesso accetta quello che “deve” essere: vi è una resa nei suoi versi, una resa dovuta. Intorno a questa resa nulla si costruisce se non una solitudine che diviene sempre maggiore con gli anni. Il centro della riflessione rimane sempre la famiglia e i momenti famigliari con riferimenti semplici come “le campane della domenica”, “il cuscinetto di aghi”, “ il pane” e altri piccoli dettagli che la rendono parte viva quanto assente. Forti le immagini: “fermagli mi tolgono attentamente dalla testa”, per esempio, sembra incarnare il gesto di “sottomissione” che più volte sembra emergere nei suoi versi. O forse si tratta di un semplice gesto di cortesia?»
Sono andati gli uccelli
Sono andati gli uccelli
sono andati e tormentati hanno lasciato qui i nidi
l’inverno come coppe li ha riempiti di pioggia
riempiti e poi bevuti
bevuti e poi ubriacati
di solitudine.
Le campane della domenica
La mia anima
s’infrange come il pendolo
nelle pareti metalliche della campana.
Sentite
è la campana della domenica
è la campana della grande messa della domenica
quando la gente ascolta predicare su una vita
senza peccato
e ricorda di portare fiori al cimitero.
Con te
Mi siederò all’angolo dell’orlo
come su uno scoglio, vicino alle acque
sicura che mi rapirà il vortice delle parole.
Mi siederò all’angolo dell’occhio
come un giglio piantato nell’acqua vicino alla riva
con petali piccoli per non guardare più in là.
Ché io in fondo, cosa sono?
Un’onda ghiacciata nell’aria
strappata dal mare del tuo seno.
Allunghi le braccia per raggiungermi, ma non riesci.
Flashback
È agosto. 1972. C’è afa.
Verdeggia solo il collo degli uomini
che caricano i mobili su un camion.
“ Attenti, non calpestate i fiori!” – consiglia mia madre
per i fiori che seccheranno in tre giorni.
La casa si svuota come un raggio
e il dispiacere dei vicini
si fonde come un cubetto di ghiaccio
in ogni parte del corpo da vestire.
Andremo altrove
dove la gratitudine ghiaccerà sui volti
con l’avvento del risveglio abbottonato ad un bastone
come una liquirizia.
Ho solo tre anni. Non so cosa siano le promesse.
E ancora non mi hanno raccontato
che l’infanzia senza promesse è come un pane senza lievito
miseramente dolce, duro e senza buchi.
Invece mio padre non si vede proprio.
Mio padre ancora non è nato.
Lui nascerà in un altro capitolo,
molto tempo dopo
quando io sentirò il bisogno di proteggere qualcuno,
raccogliendo con difficoltà poca ombra tra le mie gambe
come il gambo di un microfono.
Sono andati gli uccelli
Sono andati gli uccelli
sono andati e tormentati hanno lasciato qui i nidi
l’inverno come coppe li ha riempiti di pioggia
riempiti e poi bevuti
bevuti e poi ubriacati
di solitudine.
Le campane della domenica
La mia anima
s’infrange come il pendolo
nelle pareti metalliche della campana.
Sentite
è la campana della domenica
è la campana della grande messa della domenica
quando la gente ascolta predicare su una vita
senza peccato
e ricorda di portare fiori al cimitero.
Con te
Mi siederò all’angolo dell’orlo
come su uno scoglio, vicino alle acque
sicura che mi rapirà il vortice delle parole.
Mi siederò all’angolo dell’occhio
come un giglio piantato nell’acqua vicino alla riva
con petali piccoli per non guardare più in là.
Ché io in fondo, cosa sono?
Un’onda ghiacciata nell’aria
strappata dal mare del tuo seno.
Allunghi le braccia per raggiungermi, ma non riesci.
Flashback
È agosto. 1972. C’è afa.
Verdeggia solo il collo degli uomini
che caricano i mobili su un camion.
“ Attenti, non calpestate i fiori!” – consiglia mia madre
per i fiori che seccheranno in tre giorni.
La casa si svuota come un raggio
e il dispiacere dei vicini
si fonde come un cubetto di ghiaccio
in ogni parte del corpo da vestire.
Andremo altrove
dove la gratitudine ghiaccerà sui volti
con l’avvento del risveglio abbottonato ad un bastone
come una liquirizia.
Ho solo tre anni. Non so cosa siano le promesse.
E ancora non mi hanno raccontato
che l’infanzia senza promesse è come un pane senza lievito
miseramente dolce, duro e senza buchi.
Invece mio padre non si vede proprio.
Mio padre ancora non è nato.
Lui nascerà in un altro capitolo,
molto tempo dopo
quando io sentirò il bisogno di proteggere qualcuno,
raccogliendo con difficoltà poca ombra tra le mie gambe
come il gambo di un microfono.
Flashback II
Domenica. Dalla pianta delle scarpe
in corridoio
si scioglie la neve e l’amnesia delle brevi strade.
La lampada 150W in mezzo alla stanza,
come una gialla fetta di formaggio, con un alone di tristezza.
Mia madre sferruzza, contando a bassa voce,
lei sa quanto serve sempre, e quando c’è da cambiare la fila
attaccata come un pezzo di stucco nell’angolo della finestra
che diviene sempre più chiara.
È un piccolo cuscinetto per aghi
che conosce alla perfezione l’arte della sottomissione.
Tenta di insegnarlo pure a me,
anche mia sorella.
Tre bambole matriosche, in fila per grandezza
quell’ultima-io
non scomponibile.
Flashback III
Cuore di novembre. Il vento soffia come a muovere le epoche,
la neve e il volto di mia madre
attendono
di verificare la proprio filosofia
della verità.
Le luci, come una fila di formiche t’accompagnano
nella stanza del pane. Io sono la sposa.
La fine della cerimonia. E mentre mi preparo per la notte
ventuno fermagli mi tolgono attentamente dalla testa.
Quanto i miei anni.
Non conosco pressoché nulla della vita.
So solo che alle curve più brutte
l’esperienza vale meno di due luci accese sul seno.
Tento di nascondere la mia felicità sotto il biancore
come un’arancia sbucciata attentamente.
Sono uscita astutamente dalla mia profezia genetica
come da una grotta scavata dalla solitudine
tenuta forte allo stomaco.
Se provo a muovere un po’ la tenda
con le due dita tinte sulla punta,
due ombre vanno in armonia sul nero asfalto
il musicista e il violoncello, dopo il concerto
l’uomo e l’anti-profezia.
Il mistero dei fiori
Nella mia famiglia
i fiori fiorivano di nascosto
con voce bassa, con il naso arrossato sotto le coperte,
quasi bisbigliavano,
con un bisbiglio all’inizio e alla fine
snello, e pulito come una garza.
Intorno alla casa,
c’erano solo un paio di scale da salire
quelle di legno, appoggiate tutto l’anno al muro,
per il riparo delle tegole d’agosto prima delle piogge.
Al posto degli angeli
salivano e scendevano uomini
che soffrivano al nervo sciatico.
Pregavano guardando faccia a faccia Lui,
come in un colloquio tra dei
chiedendo un altro rinvio.
“Dio, dammi forza…!” e nulla più,
perché erano i discendenti di Isacco,
beati, con l’unica cosa che è rimasta di Giacobbe,
la beatitudine della spada.
Nella mia casa
pregare era da deboli,
da non parlarne mai,
come fare l’amore
e ugualmente
come fare l’amore
il corpo passava un’orrenda notte.
Luljeta Lleshanaku è nata il 2 aprile 1968 ad Elbasan, in Albania. E’ autrice di diversi volumi di poesia. Laureata all’Università di Tirana, inizia a lavorare per la rivista settimanale Zëri i rinisë - La voce della gioventù. Più tardi lavora al giornale Drita – La luce. Nel 1996 vince il premio per il miglior libro pubblicato per la Casa Editrice Eurilindja. Tra le sue opere di poesia si elencano:
“Gli occhi dei sonnambuli” 1994
“Le campane della domenica” 1995
“Mezzocubismo” 1997
“Antipastorale” 1999
“Il midollo verde” 2000
“Fresco” (USA 2002)
Un'altra folata di vento fresco, di vera poesia, di biografia ben tenuta nelle parole.
RispondiEliminaGrazie Luljeta grazie Anila grazie Stefano.
Elio Grasso
elio.g@tin.it
mi fa piacere elio la tua costante lettura...
RispondiEliminastefano ci sono un po' di refusi, mi spiace. nel commento manca un "non" dopo un "se" e nelle poesie c'è un verbo "è" senza accento e forse anche qualcosa d'altro...mi spiace...in fondo era l'una quando l'ho fatto :-) qualcosa scappa sempre...pardon!!!
ho corretto anche alcune altre parole (poche).
RispondiEliminaScusa se non ho controllato bene prima di postare.
Ciao Elio, hai ragione: la poesia estera porta spesso una folata di fresco. A volte ho il sospetto che siamo intossicati dalla tradizione colta e/o avanguardistica italiana, sino a perdere di vista il mondo e le sue creature.
chissà che bella questa poesia in lingua originale.. ogni parola con il suo suono originale è come una nota musicale inserita con perfezione assoluta.. toglimi una curiosità.. qual'è il tuo poeta preferito tra i tanti grandi? io ho un'adorazione assoluta per Montale. :-) luca
RispondiEliminaCaro Luca, se la domanda è rivolta a me, la risposta non è semplice. I grandi, come tutti i soli, assorbono nella loro forza gravitazionale, ogni cosa passi loro vicino. Se tu scrivi, corri dunque un grosso pericolo :-)
RispondiEliminaMontale è imprescindibile per comprendere la scrittura e la vita del novecento, specie della sua prima metà. Nel secondo novecento gli esperti stanno ancora discutendo per decidere chi sia davvero grande. Qualche nome è nella lista. Uno che leggo volentieri è Milo De Angelis. Della generazione precedente, neanche il Sanguineti di "Stracciafoglio" e "Scartabello" mi dispiace, anzi.
un caro saluto
gugl
Scusate se non ho specificato per chi fosse la domanda (indirizzata a golfedombre) ma apprezzo veramente tanto tutte le risposte. Purtroppo non leggo molto poesie e testi di autori della seconda metà del novecento perchè mi perdo nel riconoscere quali sono i veri "grandi" e non ho la maturità interpretativa per riconoscerli. Vi farà ridere, ma da piccolo quando leggevo mi domandavo se mai dopo i grandi autori del passato ce ne sarebbero stati altri. Mi sembra così strano trovare in una società come quella di oggi autentici maestri.. Forse sono rimasto ancora bambino ma non riesco a trovare quelle poesie che mi fanno sognare come quelle di Pascoli o di Montale. Non riesco a trovare quelle poesie fatte di suoni e di immagini particolarissime e affascinanti.. Forse sarò influenzato da quello che sto studiando alle superiori ma riesco a trovare con difficoltà questo tipo di meraviglie letterarie. La "vera" letteratura purtroppo non trova spazio nella società massificata di oggi dove solo i romanzi best-seller riescono ad inserirsi. O almeno è difficile da individuare. Scusate lo sfogo, e grazie a gugl per la risposta.
RispondiEliminaLuca
Caro Luca, il mestiere del lettore di poesie è come quello del poeta ossia un viaggio dentro il cuore del macigno, come dice Montale in una sua poesia. E lì, non ci si arriva spinti da qualcun altro o attraverso scorciatoie. io ti consiglio di intraprendere questo viaggio con pazienza e umiltà, come un vero viandante.
RispondiEliminaciao e grazie per il tuo passaggio.
gugl
Gugl, sei proprio un'anguilla :) intanto, vorrei rinnovare i miei complimenti a te e ad Anila per il lavoro che state facendo su una poesia di lingua "minore". Interessante poi che anila riesca a trovare autori anche piuttosto giovani. Mi sembra questo un tributo vero al suo paese d'origine. Una domanda: ma com'è che i titoli delle sue opere sono in italiano? Sono tradotti nella nostra lingua o ci ha pensato Anila seduta stante?
RispondiEliminai titoli sono in italiano perchè tradotti da me però per esempio Antipastorale e Fresco sono i titoli originali delle opere: Antipastorale si dice anche in albanese ...credo...sai il bilinguismo spesso fa confondere... per "fresco" invece non so a cosa si riferisca visto che è pure pubblicato negli usa...probabilmente la stessa parola italiana...
RispondiEliminariguardo a refusi stefano, mi spiace tanto...la prossima volta leggerò più attentamente anche se quelli l'occhio sembra non volerli vedere a volte...
la versione originale di queste poesie ha un buon sapore.però nelle mie traduzioni tendo ad essere più attinente possibile se non totalmente letterale perchè non si perda nulla di esse.
riguardo all'argomento poeta preferito.non mi soffermo in uno..ma in tanti diversi in momenti diversi.
la scelta della poesia albanese "giovane" è quasi "scontata" perchè i giovani o pseudogiovani ho scoperto che lasciano più spazio all'immaginazione e hanno una simbologia molto diversa e più "carnale". poi ovvio dipende da poeta a poeta. ma per quanto riguarda i poeti albanesi sono in un certo senso legati ad un filo tutti. una persona albanese, anche se non poeta, ho scoperto che vede le cose da un punto di vista diverso perchè come per me, per tanti di quella terra, la soglia del dolore/felicità ha un traguardo diverso.
ma è un argomento troppo vasto.
basta considerare che l'albania è come fosse l'italia almeno 60 anni fa...con tutte le sue buone e le sue brutte, con tutti i suoi valori e i suoi volti...
Ho molto apprezzato i Flashback, nella loro traduzione.
RispondiEliminaQuesta poetessa sa parlare delle cose che hanno lasciato segno come fossero oggetti del'oggi, e così ci fa risalire a lei, e ci lascia i brividi.
Un saluto a Luljeta e alla brava Anila, mentre continuiamo a raccogliere materiale sull'urgenza della poesia dov'è il dolore.
Silvia Molesini
forse "Fresco" fa riferimento alla tecnica pittorica dell'affresco, l'a-fresco, appunto.
RispondiEliminaun saluto anguillare a tutti.
gugl
può darsi stefano...non ci avevo pensato...
RispondiEliminadi certo in albanese non si dice così, ma chissà :-)
buongiorno a tutti!
una curiosità: la doppia elle (del cognome) si pronuncia come nello spagnolo?
RispondiEliminagugl
la doppia elle è una lettera a parte dell'alfabeto albanese...sinceramente io nello spagnolo non l'ho mai sentita pronunciata in quel modo... quindi mi metti in difficoltà...però non si pronuncia come la doppia elle italiana questo è certo. è una pronuncia più chiusa dentro il palato.
RispondiEliminauna specie di "gl" mi pare si pronunci in spagnolo.
RispondiEliminagugl
no no è tutt'altro...non saprei come spiegarti...
RispondiEliminahai presente come gli americani quando fanno le gare di canto "llalalalaala" pronunciando la elle molto chiusa?che non è proprio una l italiana...non so se in qualche film ti è capitato di sentire...se no ti faccio una lettura e te la mando via mail :-)
http://oboesommerso.splinder.com/tag/jiukebox_-_a_resuli
RispondiEliminase ascolti qui la versione albanese di una mia poesia e segui un po' le parole (anche se in albanese, se ci stai attento) c'è la presenza della elle doppia...
Se intendi come pronunci questa parola, "hollë", è un suono pieno di fiato, senza confini, una sorta di verità senza rive, come direbbe Melville.
RispondiEliminaPerò poi "dallohet" lo pronunci diversamente, e di nuovo mi perdo, mi confondo, ma con piacere :)
gugl
ma no, è lo stesso suono :-)
RispondiElimina