Citazione. Cosi come, in letteratura, ‹‹la citazione chiama la parola per nome, la strappa dal contesto che distrugge›› (Walter Benjamin), anche il ritratto sposta la persona dal suo sfondo ordinario, la decontestualizza, per trarla innanzi in quanto figura. Da quel momento, la figura esposta resta sola, nuovo originale del mondo aperto dal dipinto. In questo senso, il ritratto fa essere per la prima volta la figura che mostra, la mette tra virgolette, come parola in rosso tra sfondo e cornice.
Nel ritratto su commissione, è lo stessa persona ritratta a citarsi, attraverso la mediazione del pittore; anche quest’ultimo, come detto, cita il committente, nella misura in cui lo toglie dall’ambiente in cui vive, per trasformarlo in figura. Nel stessa “figura”, dunque, convivono e spesso confliggono, almeno due citazioni: la prima nata dalla volontà della persona di fissarsi eternamente e in un modo raccomandabile ai posteri; la seconda dovuta all’idea, politica e morale, che l’autore possiede del modello. A guardar bene, tuttavia, esiste una terza forza agente: si tratta dello stile, che viene citato nella figura stessa, diventando il marchio di fabbrica del pittore.
Figura / figure. Se il ritratto contiene differenti citazioni (ognuna delle quali è figura di per sé), quante figure ci sono nella “figura”? La questione si complica allorché includiamo il fruitore, anch’esso costretto a citare a memoria da precedenti ritratti e da precedenti stili, per confrontarli e interpretare la presente figura, che custodisce così innumerevoli figure, simili eppure mai identiche. Ma identiche a che cosa? Se ogni figura è presenza autosufficiente, quale sarà il modello originario che tutte le comprende? Non certo la persona ritratta che, a tutti gli effetti, si è ritratta, ossia tirata indietro, eclissata, proprio per lasciar-essere la figura nella sua irripetibilità. Bisognerà piuttosto ammettere che, tutte le figure interne alla figura, sono modelli esse stesse, presenti contemporaneamente eppure differenti da essa, che se ne sta esposta in cornice, in una oscillazione indecidibile, ma certo intrigante, tale a volte da farci tornare sui nostri passi, per confrontarci di nuovo con la nudità della sua presenza.
Da S. Guglielmin, Alcune idee sul ritratto, postfazione a F. Zorzi, I ritratti degli industriali scledensi in Biblioteca Civica, “I Quaderni di Schio” n.21, Edizioni Menin, Schio febbraio 2006, pp.40 - 44
Stefano, sei passato alla pittura?
RispondiEliminaPrima vai alla mostra del Mantegna, poi parli di ritratti e figure :)
la prossima sarà sul restauro! ;)
lo sai che le donne sono come la circe:-)))
RispondiEliminain verità, scrivo di pittura da alcuni anni, soprattutto sugli artisti della mia zona. poi insegno in un liceo artistico e dunque di colori, tele e scarabizzi ne vedo tutti giorni... :-)
mmhh....interessante.....mi richiama molto alcuni concetti gestaltici, legati non solo alla terapia, ma pure alla sua visione del mondo perlsiana e goodmaniana. Ci penso un po' su e ritorno......
RispondiEliminaBye for now
Giò
domani leggo. ciao.
RispondiEliminaè la mostra sul mantegna che ti ha ispirato? :)
RispondiEliminaMi farebbe piacere Stefano che commentassi l'ultima mia, anche in negativo. Grazie
ffffatto!!!
RispondiEliminarisposto :)
RispondiEliminagià, è l'espressione dei fondi di caffé nel lavabo.
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