lunedì 15 febbraio 2016

Giuseppe Cornacchia, alcuni inediti


Il poeta pugliese Giuseppe Cornacchia, da buon ingegnere, mi chiede di “collaudare” questi suoi inediti. Da parte mia, dico che la scelta di radere quasi a zero la metafora in favore della frase letteralmente in chiaro (per es. “Nel coma non ho visto nulla / accade ciò che si vuole che accada”) paga meno dei versi, e qui ce ne sono parecchi, dove il traslato innesca analogie segrete, incontrollabili certo, ma non per questo arbitrarie. Anche il tono leggermente svagato, come di chi è chiamato altrove dalla vita, funziona, nella misura in cui alleggerisce la consapevolezza che a quarant’anni ci siamo già tutti giocati la più bella giovinezza e l’inverno è vicino. Forse qualche dubbio ce l’ho quando usa parole come “gelo” e “grido”, attaccate ad un io drammatizzato, perché mi riportano sul sentiero della letteratura passata (di origine romantica) che poi è diventata, passando per il melodramma, facile canzone. Non che il dolore e il lutto si debbano negare, e come sarebbe possibile?, ma alla poesia spetta di trovare soluzioni originali a questo sentimento (e al sentimento in genere), anche sotto il profilo lessicale. Non lo dico a Giuseppe, che lo sa (basti osservare il linguaggio settoriale che inserisce in molte sue poesie qui presentate e ricordare, ancora meglio, quel suo potentissimo esperimento che è stato “Poesia in C++” qui il pdf), ma a quelli che su Blanc cercano un piccolo faro di orientamento nel mare magnum dell’omologazione poetica, particolarmente navigato in rete.


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MIGRANTI



Nel coma non ho visto nulla
accade ciò che si vuole che accada.
Dentro il nero sei solo
e tutto si ferma, né vivo
né visto da fuori che vivi.
Proviamo al contrario: io tu famiglia
villaggio città provincia regione
nazione continente pianeta sistema
galassia galassie clusterizzate
settore ramo di convoluzione.
La luce non regge più il tono.
Sono morto di nuovo.


*


D’un tratto hai quarant’anni.
Si vede già quel che eri tu ieri
ripetere la scia.
Il passato è passato.
Hai da scrivere questa
poesia e fissare il momento
ma poi squilla il telefono
e la vita in cui sei finito
ti dice di tornare sulla via.


*


Se sono arrivato fin qui spinto dal limite
e quindi perduto alla vista comune
troppo presto, adesso è impossibile
tanto il bagaglio accumulato di frizioni.
Dall’occhio astigmatico che male si accoppia
all’altro che è miope, a quello
severo ingiustamente calibrato
che ha vinto su di me sommerso nella pece.


*


E poi di colpo il gelo
quando anche la pece solidifica
e tutte le persone che lasciasti
sono morte, tu affoghi nel rimpianto
ma non affoghi, è questo lo zero
della vita, tutto è fermo ma grida.


*

 

Di nuovo fuori, di nuovo per acqua
il grido qualcosa ha smosso
e son tornato a sentire dolore
a forza, prima la testa e poi tutto il resto.
Non credo d’aver fatto da solo, non credo
qualcuno ha donato il sangue al mio corpo
per un ruolo che non ho mai vissuto.


*


Il suono della vita mascherato
e fa dire che non siamo agiti
sotto la pelle. Ci sono le ossa
tutto intorno all’acqua, l’impulso
numero dei nostri pensieri combinati
la sintesi di tutto ciò che siamo.
I corpi fanno campo nella relazione
e quel che tu leggi, quel che io leggo
sono diverse espressioni dei modi
tra le quattro forze della fisica pura.

 

*


Di nuovo a casa. Dove picchia il sole
le forze naturali della vita
semplificano quel che sono
i bisticci per motivi economici
o forse l’altrettanto naturale spinta
al gesto che qui non trovo. Ripartirà
un altro simile a me, nei suoi occhi
la noia e la rassegnazione del dovere
la necessità del moto. Capisco.



*


La mia lunga assuefazione all’assenza
infine diventata assenza
ha poi reso indistinguibile il resto
la forma del corpo nel campo dato
altrettanto importante al tempo
da farsi in un istante causa esatta.


*


Omino del mare io ti riaffido
in nome delle stelle del mio cielo
la terra generatrice di mostri
gli stessi che porti sul cuore nero
delle pestilenze che già vivesti
da quando il toro bianco mi prese
esposta come mai al grande blu
promettendo un amore duraturo
battuto e fiero in ogni tempo nuovo.


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Giuseppe Cornacchia (1973) Si è laureato come ingegnere nucleare a Pisa nel 2003. Fra 2007 e 2011 ha condotto studi a livello postgraduate in Inghilterra nel campo dell'acciaio e della meccanica della frattura, conseguendo un MSc a Birmingham e un PhD a Manchester.
Ho pubblicato su carta per Ass Cult Press (2003), Fara Editore (2006, 2009), Erbacce Press (2008), Testo a Fronte (2009,2011), Lampi di Stampa (2010, 2015), ilmiolibro.it (2012).

Cinquanta Poesie - raccolte in volume per archiviazione formale, Lampi di Stampa, Set 2015, ISBN 978-88-488-1781-3. 

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