giovedì 29 novembre 2007

coppie improbabili


Leggere Rosa Pierno significa ripercorrere la storia della pittura occidentale, dai post-impressionisti a Bacon; e del pensiero che, dalla semiologia, ci porta dritti al Palomar calviniano. Tutta la sua opera, infatti, esibisce l'esercizio dell'occhio nella scomposizione destrutturante dei volumi, di una "figura... discontinua" che "vira dall'umano al bestiale", e che "si sottrae", fuggendo all'osservatore (Terra e acqua, in "Buio e blu", Anterem 1993). Nel suo ultimo libro, coppie improbabili (Pagine d'arte 2007), Pierno applica il principio analogico, già fondamentale nei suoi precedenti lavori, per sondare le vicinanze "improbabili" fra alcuni maestri dell'era moderna, adottando una lingua arcaicizzante, non lontana da quel tesoro d'emblemi che fu il cinquecentesco Iconologia di Cesare Ripa.
Le coppie sono avvicinate per temi esemplari, a partire da una somiglianza tutta visiva delle opere prese in considerazione. Riporto la prosa su "Melancholia" del Dürer, accostata, sotto il binomio Fisico e Ideale, all'incisione "Vergine con bambino" del Mantegna. Sin da subito, l'opera del Dürer fu pensata quale allegoria della condizione dell'artista (e dunque del poeta) nella modernità, orfano dell'epica, ma anche preda delle oscure dinamiche del processo creativo.
Seguendo l'occhio di Rosa, ci ritroviamo dentro una trama che ha la sostanza della favola morale, additando lei una condizione in cui l'eterno presente sloga la volontà, e dal quale ci si libera risolvendo l'enigma, rigettando l'immobilità-sfinge nelle tenebre. Non è un caso che, ad essa, segua Il ratto di Proserpina, al tempo stesso femmina degli inferi e delle messi più ricche.


La Malinconia

Annoiato sguardo non mira alcuno degli ogget­ti ivi profusamente sparpagliati. Deposto Fortuna avrebbe i piedi dalla sfera e le ali iner­ti avrebbe abbassato svogliatamente ai fianchi. E simulando genio da distillata bile ce ne offri­rebbe la stolida depressa insofferenza. Con un compasso si può giocare a bucarsi la veste e con quale voglia piallare e inchiodare per fabbrica­re l'ennesimo strumento? Pensino cane è acciambellato e dorme, e putto la doppia rassegnato. Titolo appare una forzatura, quando non si ha nessun amore a generare malinconia. Massi e mole ingombrano il restante spazio come ciò che ottura: nemmeno reperti che provengan dal passato!
Del nuovo giorno non si può dar lieta novella né arcobaleno rallegra l'adunata. Bilancia e campana, clessidra e tenaglia ti mostrano che risolvere rebus è decidersi a uscire dalla stampa.

domenica 25 novembre 2007

Due poesie sul far poesia


A parte i suggerimenti sul "piccolo fatto vero", che deve farcire di sostanza "le solite metafore", e l'eventualità che la poesia sia "ancora praticabile" oggi, a patto che sia "molto quotidiana", Edoardo Sanguineti ha scritto altre poesie sull'argomento. Due di queste le riporto qui, per farle conoscere ai più giovani e per condividerne la forza con chi già le ha lette.



la poesia, che fu già esprimibile come un'escrezione, una scremata secrezione mentale
(come un'organica escrescenza notoriamente improduttiva), è uno schiumoso escremento, oggi: (e dice, in conclusione, deiezione):
........manifesti così la tua natura, è probabile:
non sei, non sarai mai, però, il proverbiale baco della seta: (anche se, defecando i tuoi versi, ti imbozzoli comunque, per progressivi aggiustamenti lenti, dentro la sarcofagica tua discarica verbale):
........svendo (sterline 5) un copròlito fatto di parole:

(Glosse, 1986 –1991)



la poesia, in un certo senso, è una macchina organica: (voglio dire, cioè, assai rigorosamente fisiologica):
............(che esige una manutenzione sorvegliata,
cautelosamente controllata): (è come fare i tagliandi, per l'auto: anche se, come no? c'è la faccenda dei nove anni critici, per la revisione: io mi accontento, personalmente parlando, dei nove mesi da gestante classica): (la lubrificazione della versificazione è decisiva, comunque: da motore, da derma, anche da condom): ma
vedi, idolo mio, mio carburante d'oro, mio tesoro: il mio olio poetico sei tu:

(Cose 1996 – 2001)

sabato 24 novembre 2007

Poesia / Poesie 2007 - 2008


Giunta al settimo ciclo di incontri, la rassegna Poesia / Poesie è riuscita ormai a consolidare uno spazio prezioso — unico nella realtà vicentina — interamente dedicato all’ascolto della e alla riflessione sulla poesia. Resta centrale l’intento di creare opportunità di scambio intenso tra autori e lettori — uniti da una comune passione per la pratica poetica — cercando, nel contempo, di ampliare e diversificare le nostre proposte. L’anno scorso il ciclo si era aperto con una serata dedicata alla proiezione di un video riassuntivo dell’esperienza dell’annata precedente, per poi proseguire con una inedita e avvincente tavola rotonda sul concetto di oralità in poesia seguita da un’originale performance nelle cantine di Palazzo Fogazzaro. Quest’anno, oltre ai consueti incontri con gli autori a Palazzo Fogazzaro, si è pensato a una speciale serata fuori sede dedicata alla ricerca di interazioni tra poesia e musica jazz. La nuova proposta andrà ad arricchire il nuovo calendario di incontri e, così speriamo, anche a stimolare ulteriormente l’interesse di un pubblico sempre più numeroso e attento.

........... Gli organizzatori



Sabato 1 dicembre


Anna Maria Farabbi
Palazzo Fogazzaro, Ore 19.00
pres. Stefano Guglielmin



Sabato 15 dicembre


Roberto Amato
Palazzo Fogazzaro, ore 18.30
pres. Andrea Ponso



Venerdì 21 dicembre


Evento in collaborazione con CSC
Manzoni - De Leo - Ranieri
Centro Stabile di Cultura, Ore 21.00



Sabato 12 gennaio


Andrea Afribo
Palazzo Fogazzaro, ore 18.30
pres. Giovanni Borriero



Sabato 2 febbraio


Tomaso Franco
Palazzo Fogazzaro, ore 18.30
pres. Alessandra Menegotto



Sabato 16 febbraio


Tiziana Cera Rosco
Palazzo Fogazzaro, ore 18.30
pres. Stefano Guglielmin



Sabato 1 marzo


Fabio Franzin
Palazzo Fogazzaro, ore 18.30
pres. Roberto Cogo



Sabato 22 marzo

Franco Loi
Palazzo Fogazzaro, Ore 18.30
pres. Enio Sartori

giovedì 22 novembre 2007

Nadia Anjuman


Quando Nadia Anjuman scrisse di sé queste parole: "Nacqui a Harat negli anni più agghiaccianti della rivoluzione; portai a termine i miei studi in anticipo, di due anni, nella scuola superiore "Mahbubeh haravi". Attualmente frequento il secondo anno della facoltà di Letterature e Scienze Umanistiche dell'Università di Harat. Da quando ho memoria di me so di aver amato la poesia. L'amore per la poesia e le catene di sei anni di schiavitù dell'era dei Talebani, che mi avevano legato le gambe, hanno fatto sì che appoggiandomi alla penna e zoppicando, componessi passi ed entrassi nel territorio della poesia. Il sostegno dei miei amici e di coloro che condividevano i miei stessi orizzonti mi hanno permesso di continuare su questo sentiero, ma... ahimè... tuttora, ogniqualvolta compongo un nuovo passo, sento il tremore della mia penna e con essa trema anche la mia anima. Forse perché non mi sento indenne, temo ancora di sdrucciolarmi lungo il percorso; è difficile la strada che ho davanti a me... ed i miei passi non sono ancora, abbastanza, fermi", probabilmente non immaginava che, a fermarla, non sarebbe stato un endecasillabo malfatto, bensì la mano violenta del marito che, circa un anno fa, la picchiò talmente forte da toglierle la vita, accusandola di aver disonorato la famiglia con i suoi versi. Nadia aveva 25 anni.


Chi volesse saperne di più e leggere sue poesie, consiglio l'approfondimento di Georgiamada, che ha raccolto moltissimo materiale. Ne approfitto anche per ringraziare Georgia per il grande lavoro che sta facendo nel suo blog.

lunedì 19 novembre 2007

Stefano Salvi





Con la poesia di Stefano Salvi tocchiamo la rara sponda della lingua che non nomina il mondo, ma lo rifonda dal suo versante sonoro, e lo esibisce quale collage linguistico pieno di anfratti e lacune, un mondo che già la neoavanguardia aveva colto nel suo esaurimento storico.
Le insidie / Neumi (Lietocolle 2007) fa del lessico, in particolare, l'arma letale del senso, il paladino dello spaesamento, che ci porta per mano sulla bocca del non-senso e ci invita ad agire, scendendo in quel buco nero per cercare il dizionario che ci riporti a galla. Questo salvagente dei chierici, tuttavia, illumina di poco le tessere del collage, e noi ci troviamo ad interrogarci, di nuovo, sul senso del far poesia oggi e su quale pubblico essa pretenda.
Salvi, mi pare, fa una scelta aristocratica, volutamente impopolare, elitaria, ma che nasconde invero un viaggio dentro di sè, un sè pensato come fatto linguistico, grumo grammaticale avvicinabile soltanto per nominazione. Per questo, ogni parola è cercata con la lente, pesata, sagomata affinché meglio interfacci con quel grumo multiplo, che ha perduto la sua relazione con il mondo. La solitudine del poeta, così, è massima; massimo lo sforzo di ricomporre l'incomponibile.




Le insidie

L'ornamento della natura


I

Certe erosioni servono da fumo forte,
ti addentrano in cima
delle flore di poco rovaio,
e calda di ciò che era tolto brevemente;
hai un'infanzia delle dita,
nello scorcio inciso di colpi - racchiusa e detersa
fino al grano vasto nelle masse del tuono.

In ogni luogo aprono
accostature nella semina,
il modo di toccare un istante delle folate
tenute interne: a chi vede nel paesaggio
si varia l'invadenza delle andrene, il dettato
ospitale della calma d'aria. Poi, ancora,
i recessi svolgono in primi barlumi,
annodano lo spessore
in tutto,
l'alto occidente dei tuoi spazi di neve.



III

Vero è che il ramificare soccorre.

I tocchi delle dita non vengono dagli aspetti
d'albero; somigliano
ad un insegnamento unitivo,
continuato nei giorni. In piedi, vicino,
gli occhi stancati.

Sentire spiriti non è
il taglio della piccola temperie, un
susseguirsi puntuale - il poco
che muovono i picchi di torcia, centrati.

Appena, le nervature vedono
sino dagli anni più distanti.



Intorno l'acqua

III

Mette alta voce, dacché
anni lunghi da avere
a modi di interpunzione.
Vengono la membratura, le
strette basse dal mare - oppure
una traversata non è
dall'enorme
polline. Da mille punti ormai
salgono i frangenti
a compiere la retina,

ora con questo soffio certa altra
diatonica
fa tanto cadere.


Neumi

Non pur favolato
è il diffocare da merori,
ma ebure:
sebbene d'evento; procustico anche...
E rare clematidi
e diurnali transegnano
in ordito; l'encomio
dagli asoli
altro nimbarci dicangia,
sé avvicenda ai tridui
con che a noi diluna la sinopia.
Sempre, sotto l'elicriso,
l'icore inoltra
per un trascelto epodo -
sobbacio votivo che controre
traripano - e fornici del passo
invano per lucere
adempiono.


Il fiore del mais

E alcuna incuranza
nel passo, molto
i vincastri del ventilabrio
hanno angoli. L'arare, allora,
si fa pazienza nell'ansa dei carici,
con apposto d'orlo, e -
di spessore poco -
la quinta mattinale, coeva
per ranghi di bacio.

Sente piovere
tanto si è fatta evidenza.

Dei rudimenti del ciclo
rigano la bocca.

Ognintorno,
nel tempo che è il sole d'un mese,
prende buio. Le parole a statura, breve,
ordendo tessuto nella filanda
o contando con i segni dell'abaco
la molitura, gli arbusti del pepe
sulla stuoia.

La ghiera dell'ombrello, a sé - silloge
del sillabario del fuoco.

Ti feci sera per giacervi.


Stefano Salvi (il cui blog è qui) è nato nel 1975 a Varese, dove risiede. Collaboratore di LietoColle, attualmente dirige, insieme ad A. Broggi e I. Testa, “L’Ulisse”, rivista on line di poesia e pratica culturale. Sue poesie e saggi sono rintracciabili in riviste e nella rete. Ha curato, con C. Dentali, presso LietoColle, l’antologia “Il presente della poesia italiana” (2006). Ha pubblicato l'e-book “Il seguito degli affetti” (Biagio Cepollaro E-dizioni, 2006) ed il libro “Le insidie/Neumi” (LietoColle, 2007).

sabato 17 novembre 2007

Artemis


Da qualche tempo, dialogo con alcuni amici, la sera, intorno alla poesia italiana contemporanea. Quest'anno, leggeremo e commenteremo gli autori che seguono, dedicando inoltre un po' di attenzione alle riviste e ai testi dei presenti.

Ci troviamo a Vicenza, all'interno delle proposte culturali del circolo Artemis.




6 novembre: LUCIANO ERBA, da Möebius alla Terra di mezzo. In Poesie 1951-2001, Mondadori

20 novembre: EDOARDO SANGUINETI, da Laborintus a Scartabello. In Mikrokosmos. Poesie 1951-2004, Feltrinelli 2004

4 dicembre: ANTONIO PORTA, dalla Palpebra rovesciata all’airone, in Poesie. 1956-1988, Mondadori 1998

15 gennaio: lettura dei testi dei partecipanti al corso

29 gennaio: BEPPE SALVIA, I begli occhi del ladro, Il Ponte del Sale, Rovigo 2004

12 febbraio: CRISTINA ANNINO, Gemello carnivoro, I quaderni del circolo degli artisti, 2003

26 febbraio: analisi di alcune riviste di poesia italiana contemporanea

11 marzo: STEFANO MASSARI, Libro dei vivi, Book Editore, Castel Maggiore 2006

1° aprile: ANTONELLA ANEDDA, Dal balcone del corpo, Mondadori 2007

15 aprile: lettura dei testi dei partecipanti al corso


Informazioni e iscrizioni
Ivana Cenci e-mail: moderato_cantabile2006@yahoo.it

mercoledì 14 novembre 2007

Buon Compleanno Marina!


Oggi Marina Mariani festeggia il compleanno presso la casa editrice Quasar, con la quale ha di recente pubblicato In campo lungo, antologia che contiene più di sessant'anni di amore verso la poesia. Il libro riflette pienamente l’umanità dell’autrice, il desiderio di non perdere il contatto con il mondo, scegliendo la frase che lo trattenga e, talvolta, nel fissi una scena per via esemplare; mi sembra, inoltre, che essenziale sia per lei parola d’ordine, quasi che il compito della poesia consista nel togliere al vero e al bello ogni rumore di superficie, così che la polpa levigata risplenda. E poi c’è la metafisica contrapposizione fra silenzio e rumore, tra il bianco e la scrittura, di radice ermetica, ma che lei piega ad esigenze di comunicazione più strette, così che la pedagogia e la critica politica, senza appesantire il discorso, entrino nel gioco dell’infinito intrattenimento (come Blanchot chiamava la “letteratura”). Insomma, questo libro racconta quanto di meglio un essere vivente possa conservare del proprio cammino, ciò a cui affidare fiduciosi un destino proprio perché in esso canta la speranza e l’ottimismo responsabile di chi sa cos’è il dolore. E lo fa con quella cifra d’ironia, che mai manca là dove l’illuminismo è ancora modello di conoscenza. Buon compleanno!!!


*

Per anni ho atteso un tuono,
ne calcolavo il rombo:
fortissimo, assordante.

Ora è venuto: è un fremito
così leggero, che appena l'avverto.

Certo fa più rumore
quel fiocco di neve che cade
mollemente sul parabrezza.


*

Ai bambini 1971
così eleganti nei loro costumi da tennis
e così efficienti - a scuola gli insegnano anche a costruire
un portamatite o un portasale -
bisogna pure cercare di spiegare
i nostri corpi maldestri
che vivono a fare.

Vorremmo dire che la poesia
è un granaio d'oro
dove il seme s'ammassa;
ma poiché
il granaio è parola del passato,
l'ammasso ricorda la guerra
e l'immagine nel complesso
la battaglia del grano,
scegliamo una metafora più seria.

A questi bambini
cresciuti coi formaggini
diciamo che noi facciamo
dadi per brodo, cubi
di concentrato.



*

Tra chi dice che tutto cambia
e chi dice che l'essenziale
non è mutabile, e mai
muterà,
il colloquio non è impossibile,
la discussione si può fare.

Bisogna solo lasciare a casa i fucili,
sedersi sul sedile di pietra
sotto l'albero di fico,
bere ogni tanto un bicchiere di vino,
distrarsi all'andirivieni
del cane bracco o pointer,
o al canto d'un uccello,
all'odore di mosto o di stereo
o di mentuccia.

Alla fine ci si saluterà
con una stretta di mano
(non è poi tanto grave,
il cimitero è piccolo e bianco
e intorno giocano i bambini).



I bossi

L'invidia che oggi sento
per i poeti neoclassici

se l'analizzo, vedo:
è per il mondo di bossi
di lauri di cipressi

comunque di sempreverdi

(magari sempremorti
ma infine — sempre)



Quale onore

Se pure qualcuno vorrà tenere il mio libro tra i suoi
il mio libro - bambino che non ho fatto nascere

quale onore sarebbe per me se il mio bambino
mai nato avanzasse tra i sorrisi

e il chiacchierio educato e invitante

Lui intimidito raccogliendo quel poco coraggio
che la confusa madre gli seppe dare

nelle rare parentesi di luce
avanzerebbe - io credo - con la luce

avanzerebbe - io credo - con la luce
fino al posto assegnato

in mezzo agli altri libri suoi fratelli
maggiori



...................immensa gratitudine alla vita
............che ha conservate queste care cose

........................................Umberto Saba

L'investitura

Non affinchè restiate
eterni, o solo a lungo.
Ora so che non la durata
volevo, ma l'Investitura.
Perché la vostra speciale
dignità, ve l'ho data io.
Io che non sono nessuno,
come Emily ben sa,
col diadema sto sul trono
quando a voi conferisco Dignità.
E silenziosamente m'acclamate
Regina. Siete in tanti,
adesso che sono vecchia
ad uno ad uno vi posso
guardare, e riconoscere. Da voi
ricevo senza paura
la gloria che da bambina
vedevo. Conoscevo
11 mio compito, e sapevo che alla fine
ce l'avrei fatta. A mio modo,
senza regole, ho voluto stare
con le poesie, nel verso: col mio
ritmo.




domenica 11 novembre 2007

Vincenzo Della Mea


Come molti sanno, Vincenzo non è soltanto il gestore del sito più utile della blogsfera poetica, ma è lui stesso un singolare poeta, che coniuga lo stupore verso la vita con il bisogno di tradurre, quest'ultima, in bytes: "Venti megabytes - scrive in nota al suo Algoritmi (Lietocolle 2004) - corrisponderebbero ad una vita di circa 80 anni, in cui ogni giorno fosse descritto da una poesia lunga settecento lettere. Una poesia al giorno: situazione tutto sommato invidiabile, data la ripetitività che permea le nostre vite". Anche Franco Buffoni, nella Prefazione, si meraviglia per questo connubio, avvicinando la sua ricerca a quella di Valerio Magrelli. Chissà se davvero le due poetiche si incontrano da qualche parte o se è soltanto una prossimità di superficie. A me, per esempio, pare che il Magrelli di Ora serrate retinae adotti, da umanista, gli occhi dell'osservatore scientifico, laddove Della Mea, scienziato, assume con una certa sofferenza l'avalutatività del metodo galileiano, e si sforzi di allargarle i margini, quasi a cercarne montalianamente un varco, dal quale far passare la polpa immisurabile del sentimento. Di Montale, s'intende, adotta soltanto questa prospettiva ideologica, rifuggendone la scelta stilistica; Della Mea mette piuttosto in riga i pezzettini sillabici e li incolonna spesso in endecasillabi, per dar loro un'inequivocabile struttura razionale. Poco gli importa, credo, della grande tradizione italiana. Una volta ben allineati, ciò che gli preme, dal di dentro, è mettere in piedi un ragionato regolamento dei sensi (per dirla con un Rimbaud capovolto) e del giudizio, che metta in evidenza la vanità del tutto. L'ironia di Vincenzo, lo salva (e ci salva) da questa orribile scoperta.


Una vita

Nascoste bene dentro il disco rigido
ci stanno sette miliardi di lettere.
Meno di settecento è quant'è lunga
questa poesia, per breve che sia
non più di quel che serve per descrivere
il giorno medio di ozio e iterazione
di un normale funzionario, la cui vita
ariosamente dichiarata arriva
ai venti megabyte. Come dire
niente, ed ancora meno comprimendo
la ridondanza che ci fa uguali
nel ciclo standard dal parto alla morte,
escludendo quel bit che ci distingue
che ci fa valere un nome di file.



Invecchiare

Come un vecchio programma scritto in Fortran
troppo ingombrante per la riscrittura
utile quel che basta per tenerlo
così, con i bachi, i dati persi,
i messaggi d'errore incomprensibili:
ecco il paradiso della pensione.
Non grafica, intelligenza artificiale,
ma la sopravvivenza in sala macchine
il tepore del condizionatore
pochi utenti fedeli via seriale.



Gli infiniti

L'infinito si crea in equazioni
anche più corte di un endecasillabo
delle volte compare all'improvviso
nell'indice errato di un ciclo for
si può nascondere nella chiarezza
di un segno di uguale tra due reali...
per fortuna non sono gli infiniti
ineffabili di stelle lontanissime
di anguste particelle immaginate:
per confutarli, si stacca la spina.



Oracolo

La macchina universale di Turing
se opportunamente caricata
con una descrizione minuziosa
della mia vita, per definizione
potrebbe raccontarmi in anticipo
cosa farò da grande, se farò
qualcosa; però se inerte raggiungo
il limite del nastro illimitato,
allora la macchina altro non può
che osservarmi con le sue transizioni,
lentamente, di stato in stato,
mentre anch'io l'osservo. Facendo niente.



Poeta

Tutto ciò che scrivo può generare
dall'applicazione ripetitiva
di regole che elaborano simboli,
entrambi presi da insiemi finiti.
Questo dice Chomsky, o buon lettore.
Così diventa mia consolazione
ricordare che la scimmia di Eddington
pestando a caso su una tastiera
potrebbe scrivere questa poesia.
Magari col tuo nome come autore.

sabato 10 novembre 2007

Segnali


Carte nel Vento (nov. 2007, anno IV, n. 8) ha pubblicato i commenti di Flavio Ermini e Rosa Pierno ai finalisti dell'edito al premio "Montano". Segnalo e ringrazio Rosa per la lettura acuta fatta a La distanza immedicata. Non è facile trovare una giuria che curi con tale minuzia il giudizio sulle opere prese in esame.





Niederngasse,"rivista elettronica trimestrale che ha l'obiettivo di pubblicare poesie e arti figurative contemporanee, ma anche recensioni o saggi letterari", ospita alcuni miei testi editi. L'idea è stata di Paola Silvia dolci, poetessa di valore il cui blog, Noix de coco - che trovate linkato qui a fianco - merita di essere visitato.

mercoledì 7 novembre 2007

Silvia Zoico


Testa e croce (Valentina Ed., 2006), testa e, insieme, croce ossia l'impossibile coesistenza degli opposti: questo e quello, felicità e dolore, maschile e femminile, nello stesso dato. Evento possibile se la monetina rimane verticale, nell'indeciso, in quel possibile che avvera il sogno.

La monetina, moneta di poco valore ma anche, forse, riferibile all'esser consegnati ad un destino femminile (a quella piccola "mona" giocosa cantata nel Settecento dal veneziano Giorgio Baffo), che in Silvia Zoico diventa zavorra, simbolo di subordinazione al maschile e, al tempo stesso, gioiello indiscreto dal quale rifondare il proprio avvio. Una partenza tuttavia sempre rinviata, un destino che fatica a costruirsi perché, nell'io della drammatizzazione, è il "pedale / del cervello" a spingere asimmetrico, dandogli sofferenza ma anche lungimiranza, ossia la capacità di vedere le pieghe minuscole del reale ipocrita, di quel potere che costruisce prigioni e manicomi affinché il disordine anarchico non lo intacchi. Silvia, quasi per fare un dispetto all'autorità, l'ordine lo mette, se non altro alle parole, dando vita a quel collare metrico che le tiene insieme l'anima, la tiene ritta sulla collina degli stivali, a parlare con i folli, con i morti e con noi.




**************






.......................Sono nata il ventuno a primavera
.......................ma non sapevo che nascere folle,
.......................aprire le zolle
.......................potesse scatenar tempesta.
.....................................................(Alda Merini)


So di essere nata il ventuno marzo
millenovecentosessantanove
nei pressi delle Fondamente Nuove
tra l'una e le due (ma non c'era il quarzo)

cari Massimiliano Enrico ed Enzo
per voi ho amato rispettivamente
la Milano da bere Rinascente
Pirandello e i manichini di Kenzo

e un giorno accelerando sul pedale
del cervello giocando a scacchi o a tria –
la mia bile un biliardo d'ospedale

una guardiola per cicche o cerini
(perché non mancano mai in psichiatria) –
ho dichiarato che ero Alda Merini.


Provarsi addosso l'estremo

Provarsi addosso l'estremo come Emily
Dickinson e riprovarsi l'estremo
addosso come me che sempre tremo
per cistiti postcoitali e spine simili

provarsi addosso l'estremo degli umili
umori delle ceneri e mi cremo
da me soffocata dal gas e premo
il grilletto mia serva schiava famula

estremamente provata addossata
ai muri di provata consistenza
benché bagnati dalla mia saliva

estremamente provata addossata
iridescenza di lumaca senza
appello vagolante vita stiva


La madre cieca

II mio bambino nascerà dagli occhi
di una madre che gioca a mosca cieca –
sarà dolce la notte e non più bieca
la falce della luna sui pidocchi

il mio bambino ascolterà i ranocchi
e i rospi rochi nei fossi in cui gioca
sua madre a mosca cieca e a voce fioca
il vento dirà il nome dei due sciocchi

di paese in paese alle campane
già legate per non suonare a festa –
basteranno le briciole di pane

a sfamare formiche senza fissa
dimora sfarfallante scia tra i testa
coda degli autotreni in giusta rissa


Inedito

...

III.


perché c’è un tempo per nascere e un tempo
per morire un tempo per abbracciare
e un tempo per astenersene un tempo
per uccidere e un tempo per guarire
vanità di vanità quanto amaste
e amerete dice l’Ecclesiaste
e il Signore disse ancora ad Aronne
e a Mosè di riferire alle donne
in stato d’immondezza per le regole
di non denudare quella sorgente
che contaminasse giaciglio e tegole
pena l’eliminazione da gente


IV.


scrupolosa del tempo della legge
del Levitico e del Deuteronomio
con il sorteggio di un capro dal gregge
per il deserto o per il manicomio
per la prassi dell’isterectomia
o per la santità d’anoressia
nervosa che si ciba di pandette
di codici di encicliche e di lettere
innamorata a morte come Alcesti
o salmeggiante dall’aleph al tau
canonizzata da tutti gli incesti
e ritornata polvere a Dachau


V.


terra alla terra e cenere alla cenere
magro carnevale e pingue quaresima
carnem levare dal monte di Venere
prima che sanguini il giorno di cresima
e in confermazione di pubertà
volga lo Spirito di santità
donando non carismi ma il ridicolo
scoppio di un tanto ignobile follicolo
che chi sapendo di mentire mente
se lo paragona al germe di grano
nella parabola della semente
e dal Pentagono tuona sovrano



Silvia Zoico nata il 21 marzo 1969 a Venezia, dove vive e lavora. Ha studiato a Padova, dove ha conseguito la laurea in Lettere nel 1994 con una tesi diretta da Pier Vincenzo Mengaldo e dedicata alle traduzioni poetiche di Vittorio Sereni. Ha vinto, presso la medesima università, un concorso per dottorato di ricerca in Filologia Romanza nel 1996, collaborando con Lorenzo Renzi a una tesi sulle strutture metriche, retoriche, logiche e sintattiche dei proverbi italiani, pubblicando nel contempo due saggi sulle problematiche della traduzione letteraria. Ha lavorato come redattrice e traduttrice per le Edizioni Studio Tesi di Pordenone e Marsilio di Venezia. Attualmente opera come copywriter freelance. I suoi testi poetici, nati dapprima nell’ambito di un’intensa esperienza di terapia psicoanalitica, sono stati spesso volontariamente divulgati per vie alternative all’editoria con letture presso centri di salute mentale, ospizi per anziani, comunità terapeutiche, centri diurni. Per la sua attività ha ricevuto premi, segnalazioni e riscontri critici significativi. Testa e croce è il suo primo libro.

domenica 4 novembre 2007

Pascal Quignard


Queste settimane sono stato fortunato: al premio "Montano" ho conosciuto Stefania Roncari, che mi ha fatto conoscere Pascal Quignard, un autore francese a cui sono familiari - come si potrà constatare, leggendo - Jabès, Nancy e gli altri grandi pensatori della differenza. La traduzione che segue è originale e Stefania me ne ha promesse altre, tutte inedite e tutte relative ad autori di lingua francese poco conosciuti in italia.


"Escono dalla notte anteriore tutte le cose. Incendiare di perdita il perduto, ecco cos’è leggere, propriamente parlando. Recuperare il suo colore di undicesima ora di fronte a tutto ciò che si spegne.
Ritrovare l’alba dappertutto, dappertutto, dappertutto, è un modo di vivere.
Ricostruire la nascita in ogni autunno; chiamare la perdita nell’introvabile; far sorgere l’altro incessante e imprevedibile nell’irruzione della prima volta perché non ce ne sono altri.
Nascere.
Il linguaggio ancora minato dal silenzio è il nido. Come il visibile colpito dall’oscurità è il sogno.
Poi la lettera che segnala in silenzio il canto perduto, e dietro al canto perduto, l’antico udito perduto, è la letteratura.
Poi la grotta che riproduce le immagini involontarie o celesti come se si trattasse ancora di sogni è la pittura.
L’oscurità della grotta è il sogno fatto montagna.
La parete è la pelle umana all’interno della palpebra.
Questo nido fatto di frammenti, di ramoscelli presi uno a uno nello spazio e pezzi di spago che la sfortuna accumula per sopravvivere, occupa tutto il volume della testa umana quando inventa ancora, esattamente prima di trovare le parole. Quando pensa prima di ricordare nel tempo. Quando trova più di quanto sappia. Quando scrive più di quanto riconosca.
Quando gioisce più di quanto scriva.
Quando desidera di più di quanto gioisca.
La letteratura si regge interamente su questo preludio silenzioso. In questo nido-libro. In questa ‘Urszene’ piena d’immagini che non si osa dire.
I libri scritti, è la segreteria del segreto.
Le due grandi invenzioni: la grotta nella montagna, il libro nel linguaggio".


Pascal Quignard è nato nel 1948 a Verneuil-sur-Avre (France). Vive a Parigi, è musicologo, saggista, studioso di storia antica, soggettista (per Una pura formalità di Giuseppe Tornatore, 1994), nonché uno dei più importanti romanzieri francesi. Per Frassinelli ha pubblicato Le scale di Chambord, Tutte le mattine del mondo (da cui è stato tratto il film con Gérard Depardieu), Il nome sulla punta della lingua e Sogno di un nuovo mondo. Ha ricevuto il premio Goncourt 2002 per Le ombre erranti.


Stefania Roncari è nata a Milano il 14-8-63. Diplomata in lingue straniere e in arte drammatica presso la scuola Paolo Grassi di Milano, lavora part-time all’aeroporto di Linate. Ha partecipato a diversi concorsi letterari con esiti positivi, pubblicato in alcune riviste letterarie. Ha vinto il Premio S.Cipriano al Naviglio con la poesia ‘Excelsium’. Ha partecipato alla Biennale Anterem Verona 2005 e 2006 ed è risultata finalista al premio L. Montano per la raccolta inedita Movimento in quiete nel 2007.

giovedì 1 novembre 2007

Francesco Tomada


Francesco vive a Gorizia, là dove il mediterraneo fatica a farsi sentire ed i Balcani sono ad un tiro di schioppo; Francesco è un padre di famiglia, premuroso e attento; Francesco è un chimico, che misura le reazioni dei viventi, nel loro travagliato operare, e le riporta con ordine sul quaderno; Francesco, infine, è un poeta, che registra tutto questo in versi, che sono come brevi sentieri da passo, costruiti per meglio meditare sul paesaggio intorno. Ecco Marghera, Auschwitz, gli affetti, i dettagli ordinati con calma, per ribadirne il peso, la necessità di ricavarne radice. Sembra quasi che il poeta tema il vento, la notte e ogni altra forza capace di imporre l'oblio, di negare un orizzonte ormai addomesticato, dietro il quale tuttavia c'è l'immenso vuoto, l'incolmabile assenza, una sorta di lacuna originaria, che continua a chiamarci e che ci tiene lì, in quel sentiero familiare. E così capita che i dettagli, anziché salvarci, amplifichino la loro buia radice e che la poesia quasi chieda scusa per questo suo stare sospesa sul dolore del mondo, per questa sua incapacità di trovarne una ragione fondante.


da L'infanzia vista da qui (Sottomondo ed. 2006)

Doublé face
(pensiero all'uscita del turno di notte)


Guarda le gru di Marghera altissime
e bianche nel buio come radici
di alberi piantati a rovescio
nella terra

dunque questo non è ciclo
ma un ciclo capovolto questa non è
vita
ma quello che alla vita viene tolto


Auschwitz, 3 marzo

.............................................(A Daniel)

Anch'io ho camminato lungo i binari
dove fermavano i treni dei deportati
volevo capire quel poco che posso
della colpa e del dolore
ma sono un uomo troppo piccolo
e questa pianura è troppo vasta e vuota
è terra distesa a sottolineare ciò che manca
è neve caduta a coprire ciò che resta
così dovrebbe essere il silenzio
qualcosa che si vede si tocca e
congela per sempre un angolo del cuore

ad Auschwitz una volta almeno si dovrebbe
andare tutti, rimanere muti muti muti
scegliere un nome a caso fra i sopravvissuti
io ho scelto Rose che allora era bambina
e poi chiedere scusa di essere arrivati troppo tardi
di esser nati troppo tardi
forse di esser nati



(a Stefania, finalmente)

Eri troppo minuta per essere donna e sorella maggiore
come sembrava impossibile che tu fossi madre
come sembrava impossibile morire di parto
nell'anno duemila di Dio

pesavi di meno di questo cognome che oggi
io porto da solo che se si potesse prenderlo
in braccio e sollevarlo come facevo con te
sarei un uomo diverso e avrei un sorriso
più facile da regalare ai miei figli


Inediti


Le feste comandate

Oggi è Natale così tu mi dici
“telefona a tuo padre e chiedi come sta”

e mi sento come a diciott’anni
quando sono andato via di casa
per la prima volta

padre
quanta fatica per accettare che
mi hai generato al cinquanta per cento
e che in fondo somigliamo agli alberi
per metà radici e
per metà vento


Piove fitto stanotte

il suono dell’acqua nelle grondaie è sordo e continuo
come il rumore dei bombardieri quando volavano verso Belgrado
come una coscienza che sta per presentarti un conto da saldare
tu dormi io ho gli occhi vivi di inquietudine dietro alle palpebre
mentre ogni goccia che cade se cade vuol dire che pesa più del cielo intero
così ti stringo per proteggerti – proteggerti da cosa mi chiedo
e rispondo: in notti come questa per proteggerti da me



(sono queste le righe che cercavo per Rose)


Cosa c’è nel museo di Auschwitz

ci sono scarpe abbastanza da calzarne i piedi
di una intera generazione

occhiali per vedere tutti i panorami d’Europa

valigie per milioni
di possibili ritorni a casa

tutti questi oggetti sono rimasti uguali a prima
il nome sulle etichette il fango secco sulle suole
solo una cosa è andata avanti
- non posso chiamarlo proprio vivere –

c’è una stanza intera di capelli
sono ingrigiti sul pavimento aspettando i giovani di allora
che nella vecchiaia
non li hanno mai raggiunti



Io vivo qui


Ti voglio descrivere un orizzonte:
dal pendio del Podgora alla conca dove riposa la città e poi su al labbro scuro
del Sabotino saranno tre chilometri in linea d’aria.

Adesso lo voglio misurare:
per riempire il cielo serve un pugno di rondini in volo;
novant’anni fa per conquistare questa terra morirono quattrocentomila soldati.

Gorizia ha quarantamila abitanti, per ciascuno di noi ci sono dieci morti.
Le rondini invece non bastano per tutti.
Per questo, quando ne arriva una, fa primavera.


Francesco Tomada è nato nel 1966 e vive a Gorizia. Dal 1997 in poi ha preso parte a molte letture ed incontri nazionali ed internazionali. I suoi testi sono apparsi su numerose riviste e pubblicazioni in Italia, Slovenia, Canada, Francia, e sono stati tradotti anche in inglese e cinese; è inoltre presente nelle raccolte “Frantumi” e “Intrecci” (Sottomondo). “L’infanzia vista da qui” è la sua prima raccolta, edita nel dicembre 2005 e ristampata nel marzo 2006. È cofondatore della casa editrice Sottomondo di Gorizia.