domenica 30 gennaio 2011

Erika Reginato su Santos Lopez

                                                         Lopez alla libreria Equilibri (2009)


Sotto il cielo delle città Italiane


Un poeta venezuelano cammina nella città di Milano fino a via Farneti, Santos López (Venezuela 1955), entra in una piccola libreria dove lo aspettano un gruppo di persone che sono state convocate per la presentazione del libro bilingue I Cercatori d'Acqua (collezione I Poeti, e. Jaca Book, 2008). Poeta, saggista, scrittore e direttore della Casa della Poesia di Caracas che ha organizzata la Settimana Internazionale della Poesia dove hanno partecipato diversi poeti internazionali; tra quelli italiani troviamo  Milo De Angelis, Giuseppe Conte, Davide Rondoni, Roberto Mussapi e Alessandro Ceni.
La parola di Santos López ha l'aria del respiro e il messaggio dei ricordi. Misura perché ogni respiro deve dire qualcosa che solo è possibile ascoltare con i sensi aperti e con la pazienza che ci fa aspettare il suono profondo. Parola è corpo scrivono la stessa lettera e per scrivere abbiamo bisogno di sentire, vedere, ascoltare e conoscere quella voce che piano entra nel nostro corpo. Il silenzio è il respiro, la vita è questo: L'attimo dove tutto va al di là...
Questo è il mistero della poesia di Santos López: l'attimo inquietante che cerca nella terra la rinnovazione.

Ha pubblicato in spagnolo: Otras Costumbres, Universidad Central de Venezuela, 1980. Alguna luz. Alguna ausencia, 1981. Màs doliendo ya, 1984. Soy el animal que creo, 1987. El libro de la tribu, 1993. Los buscadores de agua, 2000. Soy el animal que creo, (raccolte di poesia), 2004. Sue poesie sono state tradotte in inglese, tedesco, francese, cinese, coreano e romeno.


Titolo originale: Los buscadores de agua (Caracas, 2000)

Traduzione dallo spagnolo di
Teresa Maresca e Roberto Mussapi



I CERCATORI D’ACQUA (2008)



Insegnamento del silenzio


Continua addormentata mia madre su una stuoia bianca
Quando decido di lasciarla e andare ad alzare mondo.
Non credo si svegli adesso che devo dirle
Con nostalgia senza rimedio: «Addio, madre».

Resta sdraiata, la fronte adorna di spini e nardi.
Non credo che apra gli occhi, si svegli, beva acqua.
Non ha bisogno di niente, mia e povera, mia madre
è molto vecchia.
Gli anziani vivono secchi, prossimi alla pazienza.

«Me ne vado, madre», le dico quando sono sulla porta.
Non muta ne apre gli occhi nel suo cielo nero.
La notte rimuove la trama del suo viso, ossa e cenere.
«Madre, ascoltami», e cammino verso l’interno.

Allora decido di tacere, mordere la mia stessa carne
E ingoiare la vera polvere di un cammino profondo.




Mia nonna mi insegna la terra



Il Nord non è mai stato nello stesso luogo.
Il Sud non è più il Sud.
L’Ovest era qui.
E l’Est ora è l’Occidente.

Figlio, i luoghi si rinnovano.




La scrittura è il corpo



Mi scrivo nella terra, perché lì tutto
si restaura.
I venti si curvano come un'orazione,
Gli alberi sono un grappolo d'ossa che maturano
la loro luce nel mistero.
I fiumi e i mari non scorrono e celebrano la loro gloria
nel sangue.
Se ami come se soffri senti scintille di una folgore.

Dico e scrivo con terra.
E' la scrittura del mio corpo che non cessa.
Né pagina bianca né separazione.
Scrivo nella terra con me stesso, protratto.
Chi guida il mio dito in questo compito
Forse mi lega il tratto di un' altra mano invisibile?

La parola interrata rinasce sempre in cielo, respira.




I Cercatori d'acqua



I cercatori d' acqua hanno il loro giorno.
Albeggiano nel vetro di un deserto, vicini
a una palma, assetati nel cuore.
Sono certi che moriranno contemplando-
I liquidi insegnano.
E nelle fonti, i cercatori vedono l' occhio di grandi
fasti, attraversano paradisi, e il sole, tra le nuvole,
brama questi tremori.
Che cosa bevono le anime?

I cercatori d'acqua hanno il loro giorno.
Salgono le salite della grande città portando il loro carico
nervoso.
Un'anfora rotola per il pendio.
L'ombra dei palazzi spunta lenta tra il verde
scuro dei jabillos.

Cercano l'acqua sulla montagna – è una prodezza?-
e portano fino a noi una realtà uguale
e diversa da quella del mondo.
Questi portatori attraversano un fiume immersi alla cintura,
vanno all'altra riva, un viaggio di un solo giorno.
(Immaginate l' Orinoco sereno che attraversano a nuoto
di mattina per tornare con una lamina dolce
in città)
Raccontano nel presente, che spesso
è un modo di galleggiare tante volte, così il passato
fa scorrere le sue onde verso di noi.
Tutti i cercatori parlano bagnati, col tatto pulito,
spogliati della tensione arida e minacciosa del sale.

I cercatori d'acqua hanno il loro giorno.
Come negli acquedotti di Roma, lustrano la pietra,
le sue curve e i suoi orli calcarei, braccia di apprendisti
che si spiegano l'universo, le leggi, il tempo.
Il passato scorre qui, nel battere col palmo l'acqua chiara.
Vogliamo dividere quello che c'è da guardare:
Visi, voci alla deriva, paradisi nell'orbe.


Questo è da lontano l'istante della vita, acqua luminosa.
Tutto è come veniamo, spirito anteriore che governa
affinché andiamo alla sua pelle.




Respirazione



Voglio respirare per imparare come quelli
che hanno un cuore a destra,
Chiudendo gli occhi per non vedere sempre lo stesso.

Distendermi, morire all'istante, senza giorni,
senza alloggi, senza sensi,
Come chi ama l'aria mangiata della donna.

Voglio respirare per apprendere una parola scura,
bianca, dolce, nera, persa,
Che conservi il suo silenzio illuminato nella pira.

Conservare il sospiro della prima fiamma, il verbo
percorso una volta e l'altra,
E l'anima più intensa dell'urna della mia anima.



Erika Reginato Muñoz (Caracas, 1977). Poeta, saggista e traduttrice si è laureata in lettere presso la Universidad Central del Venezuela. Ha pubblicato il libro di poesia "Dia de San José", II giorno di San Giuseppe (Eclepsidra, Venezuela 1999), il saggio "Cuatro estaciones para Ungaretti", Quattro stagioni per Ungaretti (Eclepsidra, Venezuela 2004). Ha tradotto in spagnolo le poesie dei poeti Milo De Angelis (Monte Avila Editores, Venezuela 2007), Davide Rondoni e diversi poeti italiani contemporanei. Ha partecipato varie volte a recitals nazionali e internazionali.

domenica 23 gennaio 2011

Massimo Sannelli



Scrive Massimo Sannelli in incipit al libro inedito Tà Dé (Poesie 2003 - 2009), dopo averci informati che il titolo proviene da Antonin Artaud: "Come L’aria. Poesie 1993-2006 (Puntoacapo 2009), questo libro è una riscrittura totale: non per un esercizio di stile, ma per necessità e per dignità. Le forme precedenti – i piccoli e i primi libri di una vita che non riconosco più – sono annullate del tutto. Il solo periodo della poesia che ho scritto è in questo libro e nell’Aria: due soli libri, nell’ultima forma possibile. Il tempo dell’Aria era stilizzato, anche troppo; il tempo di questo libro è solo libero. [...]
I Venti sonetti (prima edizione: La Camera Verde, 2006) rimangono isolati, come chiede il loro aspetto e la loro storia privata: il lavoro della clinica e il lavoro in clinica. Anche i Sonetti sono oggetto di una nuova scrittura, e anche la loro prima edizione è abbandonata".


In queste poesie, Massimo dice "Sorella" e intende, forse, la morte, anzi la Morte. La morte di Pasolini, forse, in un campo vero, "per scelta". E dice la Vita che pulsa fanciulla, fuori dal tempo. E la Natura senza vesevo, ma che si muove a "piccole frane" sul Morrone o sui tanti crepi visibili e invisibili della Penisola. Morte, Vita, Natura, l'uno e il trino che tiene il necessario, la "storia", e quanto muove per libertà assoluta, senza vincolo alcuno. La felicità sta in questo levitare, nel distacco dal "nastro", a patto che prima il viaggio sia compiuto. Anzi, il Viaggio. Come quello di Dante che Massimo Sannelli ha percorso nel libro. Nel Libro. Straordinaria la sua immedesimazione nel commentare ogni canto, estrema la sua libertà di adunare i lampi fecondi del tempo, le voci che attraversano il senso in cui possiamo ancora orientarci. Non senza dolore, ovviamente. Perché vivere ha qualcosa d'incestuoso, paiono dirci queste poesie, che chiama alla resa e alla ribellione, nel medesimo tratto. E tra le resa e la lotta, c'è la "cosa / più chiara in chiaro cielo", che sposa Natura, Vita e Morte. La passione scende dalla croce, danza, esaudisce la volontà del seme, che tiene il possibile e il reale, ribellandosi al padre, concedendosi alla sua volontà. La poesia di Massimo Sannelli è poesia di un uomo qualunque, come la voce di San Francesco quando parla al mondo dopo aver chiuso il libro. E non va capita, cioè presa, afferrata. E' piuttosto lei a trattenerci in volo, per spiegarci la natura dell'abbandono, dell'amore che pensa alla caduta quale atto di fede, accettazione totale dell'esistenza di Dio. Io mi fido, dice il figlio al Padre, facendolo esistere.



da Nuove
prima fu un vero campo, per scelta: un posto

senza popolo; una briciola. Sorella, la
storia è un nastro. In un’altra
zona la vita non si toglie; ha
sempre i tamburi infantili e le
ruote del loro carro (i bambini
hanno questa discesa
lunga, per correre). sul Morrone
piccole frane e cadute sul basso:
lì è la luce, sopra polvere sotto,
il pane quotidiano, cioè necessità.

e prima cresci, lo abbandoni felice.




**


Genova. i titoli miseri. Piacenza,
Marsia; Bologna e Rimini. molte lacrime
lunghe a Rimini. Ancona. le Marche addolcite
dolorose, per la fame. Muse, le Muse
tenui; Muse e righe, Muse, creature, Muse, Muse. Ultima-
mente la luce, alla partenza
compiuta: dove è
il figlio in collo, ancora
lì assiduo, per il dolcissimo amore,
alcuni.




**


perché pioggia insiste, perché
pioggia è contro, non ami questa
casa, è detto, non forte. il silenzio basta.

se questa è la mattina, cosa
trovi? Una cosa bella: anche senza,
anche senza salute, oh io vivo – e non
male. Inizia leggerissimo
l’impatto, se verrà. E le schegge
brillano, e non vale forza. Perché
la pioggia batte lastre? la pioggia non
fa male: che sporca una camera
bianca, che ha i due sposi, non fratelli.




**



ha forse un padre, la pioggia? il desiderio
delle sciarpe e i vestiti, sopra il petto,
mangiare il giusto, bene dormire. risposta:
perché tu vivi ancora, reggi
gli sguardi, perché appare
in Calabria la passione, il cliente
muore, perché inizia novembre, la
sua dolcezza, senza clemenza.




**


questa città ha anche
la polvere, il rumore: o l’una
o l’altro. Queste donne dei vicoli
lavorano per Dio, con pudore. Barthes
è un fuoco mite. io dico: il cuore è buono. Esaudire
è la virtù: come il contatto e altri
piaceri della gente
e il pudore in «ho fame»: oltre, non si stende l’ingegno.





da Venti sonetti



1



In un istante, in un istante solo
si vuole la reazione a molte offese,
avute e amare. La mente fa un volo
di anni. Questa voglia non aiuta

nulla, prima; poi prega che il suo ruolo
ritorni fumo e aria; allora nasce
in una vita di tutti: il bel suolo
ed una lingua che la vita usa.

Nulla è mai dovuto, ma qualche cosa
è necessaria. Opporsi ad una storia
stabilita non giova: vale il rosa

del colore che completa la gloria
serale; e una ricerca ora si posa
qui, qui e ora, e ne resta memoria.




4



La volontà di dire vuole prosa
e non poesia. Adesso la potenza
dello stile è diversa, in ogni pausa
dei quaderni finiti: c’è una cosa

più chiara in chiaro cielo, la gioiosa
passione dove è chiaro, una danza
giusta dove la danza serve, lancia
contro lancia se serve, una rosa

accanto a un’altra rosa. Questo è il gesto
cristiano e è opposto al suo contrario aspro,
il poco contro il buio. Tutta questa

storia privata è detta dalla prosa:
la madre esalta il figlio e il figlio questa
donna. In realtà è, da una rosa, una rosa.




qui la sua biobibliografia

martedì 18 gennaio 2011

Alberto Toni


II viaggio procelloso che Alberto Toni ci propone in Mare di dentro (Puntoacapo Editrice, 2009) ha tre controfigure d'eccellenza, disseminate fra le pagine: anzitutto l'Ulisse dantesco, «l'eroe» attorno al quale «tutto ruota», e poi, per contrappasso, due viaggiatori dello sfacelo, antieroi nell'anima se non nel destino. Si tratta del vecchio Santiago di Hemingvray e del marinaio d'acqua dolce Marlow, «fermo ad aspettare che la notte» gli porti «consiglio», ma già tutto dentro quel cuore di tenebra che, in Mare di dentro, lo inghiottirà. Questa trinità laica, con i piedi nella melma e gli occhi tesi a cercare la via del ritorno, ha la sua mistica rosa dei beati, anch'essa verticale a mezz'acqua, nel torbido di un movimento che tende simultaneamente al sublime e al suo contrario. Ecco allora M.L. Spaziani, W Woolf, P Neruda, M. Troisi, S. D'Arrigo, E. Pecora, G. Conte, S. Penna e, perno inossidabile di questa giostra citazionista, Eugenio Montale, disseminato come un Orfeo sin dalla prima poesia: «Tu che più non ricordi/ e io non ricordo con te, non ricordo», recita l'io lirico toniano in una reticenza doganiera che vede nel mare «solo scaglie», un mare di dentro, tuttavia, i cui ossi sono memorie levigate dal tempo, ciò che rimane dell'evento, dell'integrità biologica nella pienezza dell'agire. E però, a differenza di Leopardi e dello stesso Montale, qui la memoria non salva, non rasserena. Il tifone, titolo conradiano ripreso due volte, è infatti la forma del mondo nel suo darsi ordinario, entro il quale non c'è bussola capace di orientare, tanto che il poeta, per niente addolcito dal naufragio, si dichiara smarrito, e chiede, come un fanciullo, aiuto alla donna che ama: «Prendi, prendi la mia mano,/ è scivolata e non so più/ dove potrò rifugiarmi. La mia mano,/ potresti darmi un legno/ di fortuna,/ contenere la mia paura». La matrice amorosa del libro, esplicitata nella dedica, non colma tale disastro gnoseologico, e per questo muta, via via, nel suo movente tragico. Appare infatti sempre più chiara l'origine dello smarrimento e la funzione di «zattera» chiesta all'amata: essa riferisce non tanto alla valenza edipica, quanto piuttosto alla consapevolezza che la vita è un transito inesorabile dalla luce alle tenebre, dal legno che salva alle sue «incrinature»; tutti luoghi, questi, destinali e perciò estranei alla comprensione umana eppure — nella cognizione del poeta — limpidi rispetto alla visione cosmica, che tiene la vita e la morte in un unico cerchio. Il mare, in fondo, altro non è che la prima metà dell'enigma, cui fa pendant la notte, altra infinità, altro solido nulla. La poesia di Alberto Toni si muove entro questi due abissi, scegliendo un verso sintatticamente quieto, quasi prudente nel timore di cadere giù, di lasciare voce all'ebbrezza, all'«ardore» della parola tragica. La scelta chiama forse in causa Sandro Penna, e l'idea – sulla quale occorrerebbe tornare – che 1'arido vero debba trovare, nella lingua, pacifica metabolizzazione, rotta soltanto da improvvise slogature del metro.



Ma su legni di spiagge
dove non scendo, appare
la tentazione del mare,
tu che più non ricordi
e io non ricordo con te, non ricordo
se l'altra pace è persa
e il sole trafigge e vano.

Dal bordo la terrazza mi trattiene.

Tu profumi. All'ombra mi cerchi,
io cerco il me di ieri.

Ora dirai la figura che trattiene
me di ieri, soltanto.

Scendi perché non vuoi altro,
ma sotto, più sotto dell'abisso non andiamo.
La lama dell'acqua,
ci trattiene l'acqua, il timore di perdere la vista,
perché, vedi, in tutti questi anni la casa non è
cambiata, ma il mare
ha occhi e memoria
e tutto è dentro, è
finito dentro ed è per noi, per
dimorare nel cuore, quando così lontane sono le cose.



***


Che miseria perdersi nelle acque mosse
sotto il vento e cercare all'orizzonte
l'ultimo bagliore, nel legno mosso e nella
zattera che non ha più direzione.

Eppure non lo dicevo perso il cuore,
tu anche lo sapevi e aspettavi la calma
e il riposo.
Insieme navighiamo, l'alta scogliera e il raggio
che di sera illumina la città di mare.
Non questa terra
già persa, già violata,
ma il mare del ritorno
a casa, del lume e del giaciglio dopo tanto tempo.
Ecco il sogno di Ulisse, il suo splendore.



***


.........L'acqua è la forza che ti tempra
........E. Montale


E bussa l'alga della giovinezza, nei sogni
quando stanca ti adagi sulla spiaggia.
Una forza ti segue, si trasforma e più
lenta della marina la forma tua del mare.
Tutto il tempo trascorso sul tuo viso nuovo
e sul mio di riflesso, ora a questa condizione
ritrovata, mentre il caldo ci sfibra. E la città
distante, la mente fuori di casa nel viaggio.
Quasi un traguardo, l'ora breve che ci connota.
Questa necessità impellente, importante
per libertà e silenzio. L'acqua del tuo trasporto.



(uscito in La Mosca di Milano, n.22, giugno 2010, pp.140-141)

Alberto Toni è nato a Roma nel 1954. Negli anni '80 ha partecipato a numerose letture e ha pubblicato sulle più importanti riviste di poesia: Arsenale, Nuovi Argomenti, Prato Pagano, Tabula (con una prefazione di Amelia Rosselli). Ha esordito in volume con La chiara immagine (Rossi & Spera 1987, premio speciale opera prima L'isola di Arturo - Elsa Morante). Sono poi seguite altre raccolte, tra cui: Partenza (Empirìa 1988); L'apparizione (Schema Poesia 1992); Poesie per Patrizia (Tipografia della Pace 1993); Dogali(Empirìa 1997, premio Sandro Penna); Liturgia delle ore (Jaca Book 1998, premio internazionale Eugenio Montale); Teatralità dell'atto (Passigli 2004, premio Pier Paolo Pasolini).
In prosa: la monografia Con Bassani verso Ferrara, (Unicopli) e il romanzo Quanto è lungo il sempre, (Manni), entrambi nel 2001; L'anima a Friburgo (racconti), (Edup 2007).
Ha tradotto, tra gli altri, testi di E. Dickinson, T. S. Eliot, M. Leiris. È anche autore di teatro: del 2003 il monologo in versi Donna su una poltrona rossa, (Editrice lanua). Si occupa di critica letteraria su periodici culturali e quotidiani.

giovedì 13 gennaio 2011

"Poesia e aforisma" di Fabrizio Caramagna



Discutendo su Facebook di aforisma e poesia, Stefano Guglielmin mi ha chiesto di approfondire la relazione tra questi due generi letterari che sembrano - apparentemente - così distanti, ma che negli ultimi anni si sono molto avvicinati. L'argomento è sicuramente affascinante e anche complesso, e non può essere riassunto in un solo articolo. Qui di seguito cercherò di tracciare alcuni percorsi e di individuare alcuni esempi in ambito italiano.

La relazioni tra due generi può essere vista da diverse angolazioni (come riferimento prendo gli ultimi cento anni della nostra letteratura. Alcuni degli autori citati si trovano nel mio blog Aforisticamente):

1) Le poesie con uno stile aforistico: si pensi all'ultimo Montale di Saturae, Diario del 71 e del 72 e Quaderno di quattro anni o alle otto frammentarie poesie a carattere sentenzioso con cui si apre la silloge poetica La Presenza di Orfeo di Alda Merini ( (ho citato questi due grandi autori, ma l'elenco è davvero lungo. Una mappa dei poeti italiani che scrivono poesie brevi e in forma aforistica e sentenziosa è tutta da scrivere. Non è forse una poesia aforistica una delle poesie più famose di Quasimodo: "Ognuno sta solo sul cuor della terra/ trafitto da un raggio di sole/ ed è subito sera"

2) Frammenti aforistici all'interno delle poesie. Anche qui una mappa è tutta da scrivere. Numerose poesie contemporanee - anche quelle apparentemente più lunghe - sono caratterizzate da incipit o chiuse gnomiche e sentenziose che, staccate dal contesto originale, possono diventare aforismi.

3) Libri di aforismi in prosa scritti da un poeta. Ci sono poeti che hanno scritto aforismi, che nella forma e nel modo - ironico e paradossale - sono del tutto simili all'aforisma tradizionale in prosa. Dino Campana (Storie, 1916), Umberto Saba (Scorciatoie e Raccontini 1946, Primissime scorciatoie 1963), Camillo Sbarbaro (Fuochi Fatui, 1967), Cesare Viviani, (Pensieri per una poetica della veste, 1988, Il sogno dell'interpretazione, 1989), Maria Luisa Spaziani (Autoantologia, 1993), Rinaldo Caddeo (Etimologie del caos, 2003), Beno Fignon (Mille e un respiro. Aforismi, afasie, affanni, affabulazioni, affabilità, 2004, Capaci di intendere e di volare, 2005), Michelangelo Cammarata (Fiele di zagara, 2006), Maura Del Serra (Verso il centro, 2008).

Ecco alcuni esempi di aforismi in prosa scritti dai poeti sopra segnalati:

"Scorciatoie. Sono − dice il Dizionario − vie più brevi per andare da un luogo ad un altro. Sono, a volte, difficili; veri sentieri per capre. Possono dare la nostalgia delle strade lunghe, piane, diritte, provinciali" (Umberto Saba)

"Nella vita come in tram quando ti siedi è il capolinea" (Camillo Sbarbaro),

"Leggerezza trasparenza flessibilità: essere scheletri" (Rinaldo Caddeo)

"Alla fine scopri che il tuo vero grande amore è stata una porta" (Cesare Viviani)

"Diventato immortale ebbe appena il tempo di compiacersene" (Maria Luisa Spaziani)

"Anche il bene più grande è imperfetto. Anche il male più piccolo è perfetto" (Beno Fignon).

"Ci sono ferite che per cicatrizzarsi hanno bisogno di altre ferite" (Michelangelo Cammarata).

"L'imperativo genetico dell'uomo è taglia, quello della donna è cuci (e l'uomo taglia sempre anche cucendo, la donna cuce sempre, anche tagliando). E' il solve et coagula dell'alchimia dei sessi. L'amore è la macchina taglia-cuci universale. (Maura Del Serra).

4) L'aforisma poetico. Nel libro Désir d'aphorisme, che raccoglie gli atti del convegno di Clermont Ferrand (1995), Christian Moncelet scrive che "aforisma e poesia sono due generi che si fanno la linguaccia. Due parole opposte come il fuoco e l'acqua, il netto e il vago, il laconico e il prolisso, il denotato e il connotato. Ma talvolta - miracolo! - certi scrittori trasformano l'antitesi concettuale in nozze ossimoriche".

Donato Di Poce scrive poesismi, secondo un termine brillantemente coniato da Adriano Petta. I poesismi di Di Poce ("infuocato connubio di poesia e aforisma") sono aforismi poetici di due, tre e anche quattro versi, ironici e al tempo stesso molto sognanti. Ecco due esempi tratti da Taccuino Zen, l'energia segreta delle parole (2001) e Nuvole d'inchiostro (2009)

Prima o poi riuscirò
A pensare con l’Anima
Guardare con il Cuore
Scrivere con gli Occhi.

**

In Amore servono tre cuori:
uno per amare
uno per essere amati
l’altro per quando si resta soli.

**

In Aforismi e magie (1999), accanto epigrammi e poesie dalla forma sentenziosa, Alda Merini scrive aforismi poetici ironici e paradossali (talora anche enigmatici) in versi . Ecco due esempi del tipico aforisma "meriniano":

Sono molto irrequieta
quando mi legano
allo spazio

**

La lobotomia
è il tocco finale
di un grande
parrucchiere


Alberto Casiraghy in L'anima e la foglia (2003), scrive aforismi poetici di due versi che sembrano usciti da un libro di fiabe. Pontiggia li definirà "una intersezione tra la leggerezza degli haiku, i frammenti moderni degli antichi e le invenzioni dei surrealisti"

E’ notte, i pesci volano alti
e il destino sa già tutto

**

Guardo, ed è tutto
un ascoltare di occhi


Valentino Zeichen in Aforismi d'autunno (2010) scrive aforismi in versi dallo stile epigrammatico, in bilico tra pointe paradossale, gusto della deformazione e saggezza disillusa:


Il massimo della profondità
che tu conosca è quella
delle rughe.
Benedicta

**

Gli anni sono come docili
cavalli al pascolo
la cui indolenza ci rassicura,
quando partono all’improvviso
al galoppo numerico.


Beno Fignon in Mille e un respiro. Aforismi, afasie, affanni, affabulazioni, affabilità (2004), nel capitolo "Nella Selva", scrive aforismi che oscillano tra il canto religioso e la freschezza e la leggerezza degli haiku (segnalo che Fignon ha studiato e coltivato il genere dell'haiku, scrivendo in dialetto friulano la raccolta "Haiku Furlans. Poesia dei magredi", 2001). Ecco due esempi tratti da Mille e un respiro:



Il fiume e il vento portano mille verità all'albero e al monte.


**

Le foglie falliscono continuamente
per esaltare la misericordiosa primavera di Dio.


Anche all'estero ci sono molti scrittori di aforismi che scrivono aforismi poetici. Solo per citare alcuni esempi tra i tanti, in Spagna Carlos Edmundo de Ory scrive gli "aerolitos", aforismi magici di un verso, in Marocco Abdelmajid Benjelloun scrive frammenti poetici ("silenzi cantati tra due spazi bianchi"), in Francia René Char scrive i suoi "fogli d'Ipnos" e Alain Bousquet i suoi "aforismi di rugiada" (ma l'elenco in terra francese è davvero lungo), nelle Isole Mauritius Yusuf Kadel scrive "aforismi magici" (ma prima di lui Malcolm De Chazal scriveva i suoi "plasticismi"), in Belgio Louis Savary scrive "aforismi in versi" (uno per pagina), negli Stati Uniti James Richardson scrive "lyraphorics" (in italiano "liraforismi"), in Romania Valeriu Butulescu scrive "oasi di sabbia", in Argentina Antonio Porchia scrive le sue "voci". Persino Stanislaw Jerzy Lec, conosciuto in Italia per i suoi Pensieri spettinati, ha scritto dei bellissimi aforismi in forma epigrammatica che lui chiamava "fraski".

Se l'aforisma tradizionale, quello che nasce con La Rochefoucauld, è un genere arrogante in cui, come scrive Auden: “Lo scrittore di aforismi non argomenta né spiega, egli asserisce; ed è implicito in questa asserzione il convincimento che egli sia più saggio e più intelligente del suo lettore", nell'aforisma poetico questa arroganza viene temperata e addirittura cancellata. L'aforisma poetico continua ad essere ironico e paradossale, ma perde il cinismo e l'aridità, diventa anche meno "moralista" e più "sognatore".

Se la visione della critica tradizionale vede l’aforisma come una forma dalla struttura unica e depositaria di saggezza e verità eterne (per costoro i padri dell'aforisma sono Ippocrate e La Rochefoucauld, passando per Oscar Wilde), io sono convinto (e nel mio blog Aforisticamente ci sono molti esempi) che nell’aforisma contemporaneo il termine “aforisma” designi una struttura fluida e aperta, che pian piano perde le sue relazioni con il cinismo e la freddezza e l'arroganza dell'aforisma tradizionale. Resta il legame con alcuni punti fissi della tradizione (l’ironia, la riflessione sull'uomo, la brevità della forma, la struttura discontinua del testo, etc), ma c’è anche la consapevolezza di sperimentare nuove forme e nuovi contenuti. L'aforisma poetico è proprio uno di questi nuovi modelli.


Fabrizio Caramagna ha pubblicato Contagocce, 69 aforismi, Genesi Editrice, 2009



mercoledì 5 gennaio 2011

Chi ha vinto il "Concorso di Natale" di Blanc?


Talvolta la poesia salta fuori inaspettata e non è mai come la vorremmo. Capita così che un poeta scriva una poesia sul Natale piena di luccichii, di parole scientifiche ma a due dimensioni, capita che scriva una poesia come tante, ma che poi, per scrupolo, apra il meccanismo e mostri a tutti gli ingranaggi del suo pensiero, mostri che dentro l'albero c'è il crudo muoversi dell'intelligenza, capace però di additare direzione, simile alla cometa. Là dove ci si aspetta il gesto veritiero, scavando, si trova l'ingegnosa orchestrazione dove i musicisti sono tutti automi, mossi dal gran puparo: senza volerlo, Enrico Dignani ha mostrato l'artificio dell'evento, l'inautentico che muove la patina del dono. Dico "senza volerlo" perché, mi pare, era sua intenzione chiosare i propri versi, dare ragione delle parole: scelta sbagliatissima da fare a priori perché viene a sostituirsi all'immaginario del lettore, viene a sminuirlo, diffidando del suo ingegno. Eppure questa poesia di secondo grado, mi pare quella che meglio illumina l'albero del senso, per cui l'ho scelta quale vincitrice del "Concorso di Natale".


Segnalo poi le poesie di Erminia Passannanti e di A. P.; la prima per l'altissima qualità dello stile, governato dalla misura e dalla musica, e per la forza dei colori (rosa, grigio, azzurrino) che si fanno eventi in sinergica apertura: la regina dei fiori, l'inverno, la luce della nascita. La poesia di A. P. mi piace per la sua capacità ossimorica di fondere speranza e disperazione: la prima propria alla parola, la seconda al poeta, in una lotta dove vince l'ultima, bellissima, terzina.



Natale 2010 (di Enrico Dignani)



Natale:
santo = elevato agli onori degli altari e della tradizione\\ ricorrere = verbo infinito \\Quando?\\ricorrente=participio presente \
Dove?\ nella ricorrenza
\ Dove? \ nel misterioso frattale = vedere su YouTube: frattale di Mandelbrot\
dove il possibile sembra magico=tecnologia\
e lo stupore è vitale = il cervello ha bisogno di gratificazioni \
(Il frattale e l'albero di Natale a me sembrano spirali, vortici come il tempo che ci è dato di vivere.)
Nella spirale tempo
delle cento dozzine = cento anni
cento luci
cento sfere
cento volte la festa = cento anni
prima dell'adDio= la morte:siamo enti finiti.
Intermittente cromatica = luci colori
artificiale allegria nell'essere
dei participi:
lo S\stato festeggia l'essente,= la cultura la tradizione si conferma, si impone utile al sistema.
fa l'albero della gioia, = di natale
lo rinnova con cose
che parlano di noi: = stato sociale
ci appendo
questo linguaggio inusuale = credo lo sia
poco natalizio, ma prevedo
con santo sdegno pochi baci, = lagnanze esistenziali tipiche.
me li fo bastare,
i comunisti se li fanno bastare, = ironia tipica
l'autosufficiente torre = torre d'avorio, esilio intellettuale tipico.
dello spirito
è educata dal bonario
santo bastone del Natale = manganello con lo stipendio per lagnanze esistenziali tipiche.
ad avere pazienza.
La gaudente eroticaleggiante = l'erotico e perfino il porno lo vedo sempre più deliberato.
compostezza natalizia, vola scintillante
nella tradizione
nei televisori, nei supermercati,
nei frattali di Mandelbrot = vedi su Google
e nel mondo quasi facile di Internet = io sono poco pratico
bello e affollato di auguri.
Angelo santo stammi vicino
dammi la mano che sono piccino.




**



Come giungesti a maturare
dal segno lineare della venatura
rosa eterna nel mio ventre

colpa che la palpebra acerba
dischiuse
e l’azzurrino natale della crepa
nel grigio di dicembre
rivelò come un lampo?



Erminia Passannanti




**



tu avevi imprigionato gli aghi e stelle le avevi appese
legate a filo stretto in triste allestimento
felice la donna gravida intenta a coglierne il senso
in umiltà se lo poneva in grembo
felice l’uomo che in alto lo solleva
e il mondo tutto lo accoglie in cennamelle
vertigini dove si ode il grido dello scaraventato nella fossa dei maiali
il giorno di Natale si va a smuovere le pietre
col petto in piena o gonfio di timore
chiedendo aiuto o amore o compassione



A.P.

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Qui il blog di Enrico Dignani

lunedì 3 gennaio 2011

Calpestare l'oblio


LA QUESTIONE CULTURALE ITALIANA

NELLA II ASSEMBLEA NAZIONALE DI “CALPESTARE L'OBLIO”

SABATO 8 GENNAIO A ROMA

CON UN CENTINAIO DI POETI E ARTISTI DA TUTTA ITALIA, QUOTIDIANI E RAPPRESENTANTI DELLA SINISTRA, SINDACATI, RIVISTE, ASSOCIAZIONI, MOVIMENTO STUDENTESCO

E UN VIDEO-INTERVENTO DI NICHI VENDOLA


Sabato 8 gennaio 2011, alle ore 17 presso la sede dell’Associazione culturale “Beba do samba” di Roma, in Via de’ Messapi n.8 (quartiere San Lorenzo), si svolgerà la Seconda assemblea nazionale di “Calpestare l’oblio”, indetta dall'Associazione “Beba do Samba” (http://www.bebadosamba.it/ ) e dalle riviste La Gru (http://www.lagru.org/) e Argo (http://www.argonline.it/).

“Calpestare l’oblio” è un grande progetto poetico e culturale che dalla piattaforma del web si è tradotto tra il 2009 e il 2010 in un'opera in formato e-book, che ha scatenato un acceso dibattito sulle principali testate giornalistiche italiane (L’Unità, Left, MicroMega, Gli Altri, Il Corriere della Sera, Il Giornale, Libero, Il Foglio, Il manifesto, Radio3, Radio24), ed in una prima Assemblea nazionale dei poeti, che si è tenuta l’8 gennaio del 2010 al Beba do Samba di Roma.

In occasione della presentazione della versione cartacea dell’opera “Calpestare l’oblio. Cento poeti italiani contro la minaccia incostituzionale, per la resistenza della memoria repubblicana” (Argo - Cattedrale, 2010), il coordinamento dei poeti in rivolta indice una Seconda assemblea di “Calpestare l’oblio” per fare il punto sulla drammatica questione culturale in Italia, mettendo in dialogo il mondo dell’arte e della poesia, del giornalismo culturale e del sapere universitario.

Come mai gli studenti in rivolta non conoscono la rivolta dei poeti e i poeti non frequentano le assemblee degli atenei?

Per quale motivo i giornalisti non hanno a cuore la sorte degli scrittori esiliati dalla società italiana e viceversa?

Perché le voci dei lavoratori precari dell’istruzione non si intrecciano con le armonie dei nuovi musicisti o con le riflessioni dei nuovi intellettuali costretti all’esilio?

Come mai ogni ambito della cultura della società italiana vive in questa forma di separazione la propria crisi e il proprio dissidio nei confronti dell’ideologia nazionale più ignorante ed arrogante d'Europa?

Proveremo l’8 gennaio, durante la seconda Assemblea nazionale di “Calpestare l’oblio”, a ricomporre i pezzi di questo mosaico discutendo tutti assieme de “La questione culturale italiana”.


Saranno presenti:

Pietro Spataro - Vicedirettore de “L’Unità”
Donatella Coccoli - Direttrice di “Left”
Tonino Bucci - Responsabile culturale di “Liberazione”
Malcolm Pagani - Il Fatto Quotidiano
Angela Azzaro e Andrea Colombo - Gli Altri
Tommaso Di Francesco e Geraldina Colotti - Il manifesto

Matteo Orfini - Responsabile cultura del PD
Stefania Brai - Responsabile cultura del PRC
Responsabili culturali di SEL
Video-intervento di Nichi Vendola per “Calpestare l’oblio”
Rappresentanti culturali dei Giovani comunisti

Rappresentanti del movimento studentesco ed universitario (Ateneinrivolta, Coordinamento K5 Studi orientali, Abbiamo fame di cultura, ESC autogestito, Scienze politiche RomaTre) e dei sindacati (Cobas, Cgil).

L’assemblea sarà libera e nelle forme della democrazia partecipativa. Chiunque vorrà intervenire avrà diritto di parola.
L’intera assemblea sarà video-documentata da MeddleTv e da alcuni giovani registi della Scuola di Cinema ACT di Cinecittà, che ne faranno nei prossimi mesi un documentario.

Dal mondo della cultura, della letteratura e della poesia contemporanea hanno aderito, da Palermo a Milano, centinaia di singoli poeti e scrittori, associazioni, editori e redazioni di riviste, registi ed artisti, fra cui

- le riviste, web-zine e blog: Absoluteville, Versodove, Metromorfosi Infocritica, Post it, Il primo amore, Bollettario e altre;

- le associazioni: Zuccherificio, Milanocosa, Aidoru/Valdoca, Iodonna, Donne dasud, Svolta a sinistra, Osservatorio nazionale amianto, Azimut onlus, Gasper Roma, Arcipelago scec, Licenze poetiche, Meddletv e altre;

- gli editori: Pellicanolibri, Zona, Fara editore, Senzapatria, Polimata e altre.


PROGRAMMA:

Dalle 17 alle 20 Assemblea pubblica.

Dalle 20 alle 21.30 Cena sociale

Dalle 21.30 alle 22.30 Letture dei Poeti in rivolta: presentazione della versione cartacea definitiva dell’opera “Calpestare l'oblio” (Cattedrale, collana Argo, 2010).

Dalle 22.30 Concerti: PANE e il fondatore del Canzoniere del Lazio PIERO BREGA.
Con preghiera di diffusione, pubblicazione e partecipazione.


Evento a cura di:

Davide Nota - Rivista “La Gru”
Fabio Orecchini - Ass.Cult. “Beba do Samba”
Valerio Cuccaroni - Rivista “Argo”

***

Per quanto l'inziativa sia lodevole e condivisibile, Blanc de ta nuque non sarà presente. Detta con la massima stima: magari gli organizzatori potevano aspettare la disponibilità del sottoscritto prima di inserire il nome del blog nella lista.

Auguro una discussione forte, che porti da qualche parte, per esempio a leggere più poesia e a parlarne con più regolarità nei quotidiani, specie a proposito di libri usciti con piccoli editori.

domenica 2 gennaio 2011

Poeti Blanc 2010

Totale post 97

34 autori italiani
Luisa Pianzola, Cristina Annino, Amelia Rosselli, Luca Ariano, Erika Crosara, Fiorella D'Errico, Francesco Balsamo, Gianluca D'Andrea, Flavio Ermini, Matteo Bonsante, Filippo Davoli, Nadia Agustoni, Bianca Madeccia, Marina Pizzi, Alessandro Ghignoli, Giuseppe Cornacchia, Piera Isgrò, Anna Ruotolo, Michele Obit, Armando Bertollo, Gabriella Sica, Fabiano Alborghetti, Pasquale Di Palmo, Chiara Daino, Roberta Bertozzi, Marcella Corsi, Giovanni Nuscis, Francesco Marotta, Francesca Monnetti. Stelio Di Spigno, Elio Grasso, Fabio Franzin, Paola Febbraro, Alessandro Broggi.

0 autori non italiani
(ma su questo cercherò di rimediare quest'anno)

Si è inoltre riflettuto collettivamente sul rapporto poesia e blog, tanto da riuscire a mettere in piedi un nuovo sito  Poesia 2.0 che sta ricevendo numerosi consensi da parte dei lettori. Interessante mi è parsa anche la discussione con Marco Giovenale sul rapporto tra parola poetica, fondamento ontologico e avanguardie contemporanee. 

Ringrazio Giorgio Bonacini, Fabrizio Bianchi, Marco Furia e Marco Ercolani per gli interventi pubblicati su Blanc e tutti coloro che hanno recensito un mio volume.

Ringrazio inoltre tutti i lettori che, con la loro presenza assidua, hanno dato senso al mio lavoro