mercoledì 30 giugno 2010

Preambolo ad una polemica in fieri


Un'antolgia che ha già mosso fortemente le acque del sano confronto polemico è La Nuova Poesia Modernista Italiana (Roma, EdiLet, 2010 pp. 262 € 13,00) di Giorgio Linguaglossa. Libro che ribadisce la necessità di rifondare il canone contemporaneo, a partire dagli anni '80. Riporto su Blanc l'indice del volume e uno stralcio dell'intervista rilasciata a Luciano Troisio, pubblicata su  Lankelot.
Nei prossimi giorni posterò, separatamente, due lettere di sostegno all'operazione ma, soprattutto, dai contenuti assai polemici verso la tradizione consolidata delle lettere italiane. Due lettere di autorevolissimi autori, ben noti nel panorama poetico italiano e non solo.


INDICE

Introduzione di Carmine Chiodo



LA «NUOVA POESIA» MODERNISTA ITALIANA

per una critica della costruzione poetica
per una fenomenologia del poetico



LA« RAPPRESENTAZIONE» COME VIA INDIRETTA ALL'OGGETTO

la via indiretta all'oggetto: sperimentalismo, ex Linea lombarda, informale
Andrea Zanzotto, Giovanni Raboni, Camillo Pennati
la generazione degli anni novanta
il «nullismo» come frontiera del post-moderno
Roberto Bertoldo
il punto di non-ritorno delle poetiche novecentesche


LE LINEE LATERALI DEL SECONDO NOVECENTO

la poesia lirica dopo il mitomodernismo
Giuseppe Conte
dal post-ermetismo alle poetiche del realismo
Alfredo de Palchi, Luciano Luisi, Alberto Bevilacqua



LA «NUOVA POESIA» MODERNISTA

la questione del realismo integrale nella «nuova poesia» modernista
Dante Maffìa
l'interrogazione dell'assenza nella poesia di Dante Maffìa
l'irrealismo onirico-surreale della poesia post-lirica
Giuseppe Pedota
la regalità funebre e apollinea della «nuova poesia» post-simbolistica
Roberto Bertoldo
la poesia civile, il tema amoroso, lo stile metaironico
Fabio Scotto, Mirko Servetti, Salvatore Martino, Francesco De Girolamo
il discorso degli «spazi interiori» e la linea incendiario-umoristica
Vincenzo Ananìa, Leopoldo Attolico
la poesia deterritorializzata, l'anti-carnevalizzazione e il «discorso sulla menzogna»
Luca Benassi, Faraòn Meteosès (pseudonimo di Stefano Amorose), Daniele Santoro


LA «NUOVA POESIA» MODERNISTA FEMMINILE

la retro-rivoluzione del linguaggio poetico
Helle Busacca
la koiné espressionistica della posizione monadologica
Maria Rosaria Madonna, Maria Marchesi
l'illuminismo stilistico e la poesia tra prosaicizzazione e stile alto-numinoso
Giorgia Stecher, Chiara Moimas
la poesia tra disumanizzazione e sublimazione
Lidia Are Caverni, Laura Canciani, Maria Rita Bozzetti
il canto monodico della monadicità dell'io
Maria Consolo, Maria Benedetta Cerro, Anna Ventura
la poesia neo-pagana e l'espressionismo «significazionista»
Rosita Copioli, Isabella Vincentini, Gabriella Sica, Giovanna Sicari
la procedura stilistica simbolico-allegorica
Daniela Marcheschi, Maria Teresa Ciammaruconi
il «dialogo» come autorappresentazione dell'io e il reale neo-iposurreale
Lidia Gargiulo, Giuseppina Amodei, Serena Maffìa, Elena Ribet, Daniela Bellodi


IL VERSANTE LIRICO DELLA «NUOVA POESIA» MODERNISTA

la linea metafisico-escatologica
Fornaretto Vieri, Mauro Germani
la stanchezza del tempo e la sensiblerie del Tramonto
Francesco Giuntini, Tiziano Salari
il modello del «nuovo realismo» e il neocrepuscolarismo post-moderno
Valentino Campo, Fabrizio Dall'Aglio


LA «NUOVA POESIA» VERSO LA SOLUZIONE NARRATIVA: LA POST-POESIA


dallo sperimentalismo alla narratività dello sguardo «interno»
Cesare Viviani, Fabio Troncarelli
post-simbolismo, esistenzialismo, carnevalizzazione
Sandro Montalto, Alfredo Rienzi, Adam Vaccaro
dal post-discorsivo alla post-poesia
Davide Rondoni, Roberto Pazzi, Luciano Troisio, Giancarlo Baroni
lo sguardo prospettico e la lingua poetica del «falegname»
Davide Puccini, Nello Rosolino Rosolini
la «fine» della civiltà del modernismo verso la post-poesia
Mauro Ferrari, Massimo Giannotta, Plinio Perilli, Andrea Di Consoli



LA VERSIONE ANTIMODERNA DELLA «NUOVA POESIA» MODERNISTA


la parola «remota» e la figuralità «arcaica»
Luigi Manzi, Giancarlo Pontiggia, Luigi Celi
la poesia lirica dopo l'età della lirica
Pietro Civitareale, Marco Onofrio



LA LINEA MERIDIONALE DELLA «NUOVA POESIA» MODERNISTA


Giovanni Occhipinti
Carlo Cipparrone
Pino Corbo
Rocco Taliano Grasso
Eugenio Nastasi
Angelo Lippo
Antonio Spagnuolo
Franco Riccio
Nicolino Longo

 
 
 
 
 
[...]


Luciano Troisio: Franco Fortini, uno sconfitto? Perché rileggere oggi i suoi saggi Dei confini della poesia?

Giorgio Linguaglossa: Per quando concerne la lezione di Franco Fortini, è vero. L’ho detto e lo ripeto ancora una volta: lo scacco della poesia tardo novecentesca lo si comprende soltanto rispolverando il testimone di uno sconfitto. La lezione di Franco Fortini, che è stata rimossa dalla coscienza della poesia italiana. Se è vero che Fortini non ha mai puntato a una mera « riforma culturale della poesia italiana» o ad una mera «riforma del linguaggio poetico», bisogna pur ricordare che Fortini «detto sottovoce oggi (se no, i poeti giovani e meno giovani si scandalizzano e s’insospettiscono)», come scrive Ennio Abate, è stato un intellettuale marxista impegnato in qualcosa di più di una mera riforma del linguaggio poetico. Rileggere oggi i saggi di Fortini Dei confini della poesia («Nuovi saggi italiani») è altamente istruttivo, dove è chiaro il concetto che non ci può essere una riforma del linguaggio poetico senza una riforma complessiva dell’assetto economico e politico della società italiana: «Eppure mi è sempre stato chiaro che la poesia, proprio in quanto forma che si oppone al mutamento, ha anche una sua dimensione conservatrice e conciliatrice»; oppure Metrica e biografia (in «Quaderni piacentini 2», nuova serie, 1981); ad es.: «Una poesia che si disgiunga dalla coscienza costante di tutto quello che poesia non è, si degrada ad “aroma spirituale”, a ipocrita “cuore di un mondo senza cuore” o, come una volta m’occorse di dire, a “vino di servi”». Il nodo centrale della crisi della poesia del tardo Novecento va cercato, a ritroso, proprio in quella mancata riforma del linguaggio poetico. E qui la lezione di Fortini va ripresa e rilanciata, tanto più oggi, in tempi di maltusianismo e di conformismo retrogrado. Soltanto portando la «poesia» oltre la «poesia», oltre e al di là degli steccati degli istituti stilistici si potrà giungere alla riforma strutturale del linguaggio poetico che non è mai avvenuta nelle patrie lettere. Ma, mi sia concesso di ricordare anche un altro sconfitto: Angelo Maria Ripellino, il quale con la sua trilogia degli anni Settanta, introduce nella poesia italiana una novità assoluta: la poesia modernista, grazie alla sua frequentazione della poesia europea dell'est di cui fu estimatore e impareggiabile traduttore. Due generali sconfitti. Sono pochi? E siamo sicuri che la poesia italiana del Novecento (quella egemone intendo) possa fare a meno di due giganti quali Fortini e Ripellino (pur così diversi)? O non si tratta, in verità, di una vittoria di Pirro. Cioè che la poesia che uscirà dalla riforma sereniana del linguaggio poetico sarà una poesia epigonica e di scarso spessore intellettuale. «credo, giunto il momento di ripensare le fondamenta della poesia del secondo Novecento, ma per farlo dovremo sottoporre a critica l'ascesa della piccola borghesia a elemento stabilizzatore del quadro politico italiano (DC e PCI) dagli anni Sessanta in poi, con il corollario dei suoi intellettuali di riferimento che ne decantano le lodi e le qualità e le sorti progressive... Nella poesia degli odierni «quotidianisti» (gli equivalenti in poesia della piccola borghesia), gli «oggetti» (privi di una riforma del linguaggio poetico ove collocarli) restano muti, e non basta un accumulo (o una rarefazione) di «oggetti» per comunicare quello che il soggetto che li pronunzia vorrebbe. Chissà perché, nella poesia del «quotidiano» si verifica una moltiplicazione di «oggetti» che dall’esterno precipitano nel foglio bianco della pagina scritta, (per contro, nella pagina degli «astrattisti» si verifica il fenomeno contrario: una rarefazione degli «oggetti»). E questo è sufficiente a dare dignità di discorso poetico alla pagina scritta? Io mi sentirei perlomeno autorizzato a nutrire seri dubbi in proposito. Tradurre sulla pagina bianca l’accumulo di oggetti che insiste nel mondo esterno è una famigerata ed errata utopia, una pia illusione dei «quotidianisti». Ciò che i «quotidianisti» comunicano è unicamente una ideologia del «quotidiano», ovviamente, un «quotidiano» diretto e deciso dall’esterno (dall’io, dall’io degli altri, dai media, dalla tradizione stilistica), un «quotidiano» parallelo e ancillare alla ideologia della fluidificazione universale propria delle moderne società mediatiche. Quello che ingenuamente molti autori credono, cioè che sia sufficiente creare un «controquotidiano» per criticare ideologicamente il «quotidiano» della comunicazione mediatica, resta una pia illusione. Per quanto riguarda l'ultimo appunto di Abate, invito a rileggere il pezzo e non sfuggirà il tono derisorio e sarcastico che uso quando mi rivolgo alla poesia «denaturata» del minimalismo di Magrelli, Lamarque e Marcoaldi (oltre l'infinita servile schiera degli imitatori); ormai l'invasione della «ontologia piccolo-borghese» è tale che, per paradosso, sembra ai miei contemporanei «che al di là del minimalismo non ci sia altro che il minimalismo» (!!!).

[...]

Luciano Troisio: Il tuo volume, La nuova poesia modernista italiana, fresco di stampa, si dimostra una ricca miniera. Leggerlo risulta interessante non fosse altro che per la volontà di classificare un congruo numero di poeti e poetesse, scelti tra i più esemplari di uno sterminato esercito; competenza che ti deriva da lunga militanza, come autorevole saggista e come direttore della rivista «Poiesis»: un grande sforzo che usa anche criteri geografici, cominciando dal Nord («la via diretta e la via indiretta all’oggetto») analizzando Zanzotto e Raboni. Personalmente vedo un abisso tra questi due autori, e come veneto tendo a rivendicare tuttora una linea maggiormente distinta delle Venezie. Non dimentichiamo che fino a un paio di generazioni fa eravamo i «terroni del Nord» in rapporto al ricco triangolo industriale e tecnologico cui bisognava umilmente riferirsi come vassalli. Ora non è più così, molto è cambiato, anche peggiorato e incomprensibile; ma una certa identità (diciamo) ancora neopetrarchesca (per quanto con abbondante napalm dietro il paesaggio) credo tuttora persista, sebbene i santoni siano ormai verso i novanta, molti abbiano passato i sessanta, i giovani siano allo sbando, i gruppi, le tendenze risultino inconsistenti e, in quanto a visibilità, siano legate ai limitatissimi fondi su base provinciale, come del resto succede in tutto il Paese.

Giorgio Linguaglossa: Dal punto di vista dello sviluppo della poesia del Novecento, sia Raboni che Zanzotto sono poeti di secondaria importanza. Nel senso che non portano novità di rilievo.

Luciano Troisio: Tu individui linee laterali del secondo Novecento…

Giorgio Linguaglossa: Infrangere ciò che resta della riforma gradualistica del traliccio stilistico e linguistico sereniano ripristinando la linea centrale del modernismo europeo. È proprio questo il problema della poesia contemporanea, credo. Come sistemare nel secondo Novecento pre-sperimentale un poeta urticante e stilisticamente incontrollabile come Alfredo de Palchi con La buia danza di scorpione (1947)? Diciamo che il compito che la poesia contemporanea ha di fronte è: l’attraversamento del deserto di ghiaccio del secolo sperimentale per approdare ad una sorta di poesia sostanzialmente pre-sperimentale e post-sperimentale (una sorta di terra di nessuno?); ciò che appariva prossimo alla stagione manifatturiera dei «moderni» identificabile, grosso modo, con opere come il Montale di dopo La bufera (1951) – (in verità, con Satura – 1971 - Montale opterà per lo scetticismo alto-borghese e uno stile narrativo intellettuale alto-borghese), vivrà una seconda vita ma come fantasma, allo stato larvale, misconosciuta e disconosciuta. Ma se consideriamo un grande poeta di stampo modernista come il Ripellino degli anni Settanta: da Non un giorno ma adesso (1960), all’ultima opera Autunnale barocco (1978), passando per le tre raccolte intermedie apparse con Einaudi Notizie dal diluvio (1969), Sinfonietta (1972) e Lo splendido violino verde (1976), dovremo ammettere che la linea centrale del secondo Novecento è costituita dai poeti modernisti. Come negare che opere come Il conte di Kevenhüller (1985) di Giorgio Caproni non abbiano una matrice modernista? La migliore produzione della poesia di Alda Merini la possiamo situare a metà degli anni Cinquanta, con una lunga interruzione che durerà fino alla metà degli anni Settanta: La presenza di Orfeo è del 1953, la seconda raccolta di versi, intitolata Paura di Dio con le poesie che vanno dal 1947 al 1953, esce nel 1955, alla quale fa seguito Nozze romane; nel 1976 il suo capolavoro: La Terra Santa. Ragionamento analogo dovremo fare per la poesia di una Amelia Rosselli, da Variazioni belliche (1964) fino a La libellula (1985). La poesia di Helle Busacca (1915-1996), con la fulminante trilogia degli anni Settanta: I quanti del suicidio (1972), I quanti del karma (1974), Niente poesia da Babele (1980), è un’operazione di stampo schiettamente modernista. Se consideriamo che la contro rivoluzione alla poesia sperimentale è operata negli anni Settanta dall’esordio di un Dante Maffìa con Il leone non mangia l’erba (1974): a una poesia di stampo prettamente lirico, farà seguito, dopo la chiusura del Novecento, un discorso poetico di matrice modernistica con Lo specchio della mente, Crocetti, (2000), La biblioteca d’Alessandria, (2003), Il corpo della parola e Al macero dell’invisibile (2006). Il piemontese Roberto Bertoldo si muoverà, invece, in direzione di una poesia che si situi fuori dal post-simbolismo con opere come Il calvario delle gru (2000) e L’archivio delle bestemmie (2006). Nell’ambito del genere della poesia-confessione già dalla metà degli anni Ottanta emergono Sigillo (1985) di Giovanna Sicari, Stige (1992) di Maria Rosaria Madonna e, negli anni Dieci, Maria Marchesi con L’occhio dell’ala (2003), Evitare il contatto con la luce (2005) e Laura Canciani con Il contagio dell’acqua (2009). Così come la riproposizione di un discorso lirico da parte del lucano romano Giuseppe Pedota (Acronico – 2005, che raccoglie scritti di trenta anni prima) sfrigola e stride con l’impossibilità di operare per una poesia lirica dopo l’ingresso nell’età post-lirica, propriamente, nella post-poesia. È noto che nei micrologisti epigonici che verranno, la riforma ottica inaugurata dalla poesia di Magrelli, diventerà adeguamento linguistico ai movimenti micro-tellurici del reale: la composizione assumerà la veste di frammento incompiuto, dove il silenzio tra le parole assume un valore semantico preponderante. Il questo quadro concettuale è agibile intuire come tra il minimalismo romano e quello milanese si istituisca una alleanza di fatto, una coincidenza di interessi e di orientamenti «filosofici»; il risultato è che la micrologia convive e collima qui con il solipsismo più asettico e aproblematico; la poesia come fotomontaggio dei fotogrammi del quotidiano, buca l'utopia del quotidiano rendendo palese l'antinomia di base di una impostazione culturalmente acritica Lo sperimentalismo ha sempre considerato i linguaggi come neutrali, fungibili e manipolabili; incorrendo così in un macroscopico errore filosofico. Inciampando in questo zoccolo filosofico, cade tutta la costruzione estetica della scuola sperimentale, dai suoi maestri: Edoardo Sanguineti e Andrea Zanzotto, fino agli ultimi epigoni: Giancarlo Majorino e Luigi Ballerini. Per contro, le poetiche «magiche», ovvero, «orfiche», o comunque tutte quelle posizioni che tradiscono una attesa estatica dell'accadimento del linguaggio, inciampano nello pseudoconcetto di una numinosità quasi magica cui il linguaggio poetico supinamente si offrirebbe. Anche questa posizione teologica rivoltata inciampa nella medesima aporia, solo che mentre lo sperimentalismo presuppone un iperattivismo del soggetto, la scuola «magica» ne presuppone invece una «latenza».

Luciano Troisio: Ampio spazio hai doverosamente riservato alla nuova poesia modernista femminile, quella che viene di recente definita (specie politicamente dalle nostre amiche) «di genere»

Giorgio Linguaglossa: Mai prima nella storia d’Italia la poesia femminile aveva acquistato uno spazio così grande, almeno quanto quello della poesia maschile. Poetesse del livello di Amelia Rosselli, Helle Busacca, Giovanna Sicari, Maria Rosaria Madonna, Alda Merini, Patrizia Valduga, Laura Canciani e Maria Marchesi non nascono per caso.

[...]

2 commenti:

  1. margherita ealla1/7/10 22:26

    Se ha “mosso fortemente le acque del sano confronto polemico” il libro è certamente da leggere.
    E lo si comprende anche da questo stralcio
    nel quale, in particolare, mi sembra oltremodo interessante (indagare) proprio il passaggio (ultimo qui nel post)
    sui linguaggi che lo “sperimentalismo ha sempre considerato” “come neutrali, fungibili e manipolabili” e “Per contro,” l'”attesa estatica dell'accadimento del linguaggio” quale le poetiche «magiche», ovvero, «orfiche», o comunque tutte quelle posizioni tradiscono”

    (così come all' “ ideologia del «quotidiano», “ovviamente, un «quotidiano» diretto e deciso dall’esterno (dall’io, dall’io degli altri, dai media, dalla tradizione stilistica), “ingenuamente”, “molti autori credono,” sia sufficiente creare un «controquotidiano»”...)

    Insomma attendo le “due lettere di sostegno all'operazione” in fieri indicata dal preambolo.

    Ciao.

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  2. oggi è stata una giornataccia, ma domani sera spero di riuscire a postare una di queste.

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