giovedì 26 marzo 2009

Viviana Scarinci



le poesie di Viviana Scarinci, contenute in Le intenzioni del baro (ilmiolibro, 2009), attingono da un ermetismo, che sopporta l'abisso ancorandosi agli oggetti e al mito, e che si configura come un dialogo con l'assente sul vuoto. La spinta sopportare questo viaggio siderale, dolente e apparentemente senza meta, è di natura libidica, come se l'unica certezza la dessero il corpo e le sue funzioni organico-relazionali. Tale percezione, di natura esistenziale, trova perfetto incastro (e giustificazione) nel mito delle Madri, in particolare in quella madre terribile che è Lilith, preda e carnefice della propria "solitudine cosmica". In LiberInVersi (28/01/07), a proposito della forza oscura e deviante del femminile, addomesticata dalla figura di Eva e dalla fallocrazia secolare, Scarinci scrive: "Lilith dimostra immediatamente caratteristiche non 'domestiche', una lunga chioma indocile, il corpo impudicamente cosparso di saliva e di sangue, residui di mestruo, di aborti, di altre promiscuità. Lilith: la creatura notturna, colei che è, senza il pensiero di nascondere, la distruttrice di ogni ordine prestabilito, la madre dell’invisibile fertilità della morte, il motore vitale dell’unicità non dissimulata, la fame e la profonda solitudine che l’imperativo della fame impone".
Si potrebbe affermare, sulla scorta degli studi di Charles Mauron, che Lilith sia il fantasma di Scarinci, la personificazione delle sue ossessioni, poeticamente tradotte in metafore legate al buio, all'oblio, al salto nel vuoto, all'instabilità del reale, cui contrapporre, appunto, da un verso la stretta alle cose (in modo che non si dissolvano) e dall'altra il mito della donna selvatica, sorgente sotterranea e infetta dalla quale principia la vita non ancora addomesticata. L'assente cui si diceva in principio altro non è che l'elemento maschile della coniunctio oppositorum, che ancora consiste in una "vaghezza siderale", quel Lazlo sanguinetiano che attende da qualche parte di ricongiungersi ad Ellie-Lilith, "Palus Putredinis" ora disposta a diventare terra promessa.



Da I quaderni di Santa Lucia


Non so la devozione
quel florilegio insinuante
dall’erotismo inconscio
il dovuto squadro
col piglio confuso
dei senza disegno
e questa cella si chiama oblio
ma verrò oltre la spranga
che mi chiude l’allucinazione
verrò, saldando un’asola
al buio e dal buio divelta
dal soqquadro di quest’assenza
di senno, come un magnete verrò
cieca e copulante lo spazio



Al dunque, le impugnò la vista
da dentro, agganciando
sul polso innervato della nuca
quella contorsione taciuta
agli occhi che non sono più luce
dovuta ad un incognita
ma il niente e sempre di una fede
e non con lo sguardo
giungerle si dovette ma tacerle
a fior di ciglia, i polpastrelli pigiati
alla stretta del braccio

[...]

da Le intenzioni del baro


Il gioco

Autistico e potente
il gioco sta
a darsi autoerotismo.
Migrante di cosa in cosa
e più nella spira di atti
fuori traccia, il gioco sta
a darsi la possibilità
erogena di bruciare
a volo oggetti come scusa
per l’instabilità dell’atmosfera.
Avvolta a stessa bruma,
pirica, so concedermi e
lancinata dallo strabismo
di due orbite urgenti e litigiose
di far nascere qui, sullo spiedo
la dimenticanza.
Niente di nuovo quindi
non dall’atto di venire
alla luce nasce
questo minimo passato di ieri
ma detiene il tempo ora
proliferazione del terrore, il tempo
la più virile delle sirene, il tempo
a distogliere e conferire
a tutto quello che tocchi
quel tu o lei canoro
di semplicemente, brutalmente
demenziale, la sua più che realtà
e la sua crisi
che smania di consentirsi
per immagini
al contrario di com’è scevra

[...]



Contraddizioni

e dimmi anche una parola intima
che disdica le volute
di questa esplorazione a braccio
che dal palpito dell’avvenire
prenda la sua densità reminescente







Mimetica

Tu consisti comunque e melodiosa
giacenza di un quoziente emotivo
da calmierare in versi transitori
Consisti nella tua vaghezza siderale
dell’istinto mimetico di una stella
interprete domestica di un ruolo universale
coi tuoi terrori, ti eclissi eternamente collusa







Ebraica

Ma sbarcare il lunario
significa circoncidere
e abluĕre questo giorno dubbio
questo giorno
in cui adempiendo
ti ritrovo sovrano
editato dalla stretta della nubi
come tu stesso presiedessi
alla discontinuità diurna
come fossi tu
il nervo pervasivo
di tutt’altra alleanza
col mio stesso fiotto
passibile di sbandata


[...]




Disperanza

La mia fornicazione
con le cose ti strugge lo so
tu proteso al penare
molteplice e vago della mattanza
e che l’arbitrio dissolvente
di questa lesione
lo escogiti nel fletterti
mentre mi ergo incinta
del maschio che non sono
del maschio che perdo dandolo
alla luce distaccata di questa partite







Fine

e lo scranno nostro abbandonato
per una mèta, mozione sfinita
di qualche libido o morte
si empirà, conca piovana
frammista a muschi micidiali
congrega nuova
e infetta d’altra vicenda



Viviana Scarinci è nata a Roma nel 1973. Ha vinto nel 1995 la sezione Scrivere i Colori del Premio Grinzane Cavour con la poesia Nero su Bianco. Nel 2002 ha curato il volume L’Isola di Kesselring per Apeiron Editori. Nell’ottobre 2004 la poesia Febbraio viene inserita ne Il Segreto delle Fragole, Poetico Diario 2005 edito da LietoColle. Sue poesie sono apparse su Nuovi Argomenti, Ellin Selae, Prospektiva, Lo Scorpione letterario, Gradiva e Atelier.

sabato 21 marzo 2009

Roberto Cogo



Sull'abbrivio del post precedente, pubblico alcune poesie di Roberto Cogo (tradotte da J.F. Deane), nelle quali egli canta l'alfabeto della natura e, nel contempo, gli ulteriori alfabeti incisi dall'uomo, lavorando, abitando lo spazio. Sono scritture che si sovrappongono, che danno il lampo ad ulteriori segni che giacciono inquieti nell'anima, tracce che hanno la consistenza del dipinto impressionista, filtrato dall'immersione corale e drammatica nel mondo, di radice whitmaniana, da quel tremore che sceglie l'abbandono al divenire, generatore d'ebbrezza e di conoscenza.



Alfabeto naturale

1


dimmi, che luogo è mai questo? inferno e paradiso...

sotto il sole invernale che allunga le ombre
alla corona dei tigli

sul prato di striature gentili
le colline intorno che si toccano con un dito —

un vecchio lavatoio con l’antica roggia a fianco

..........

geroglifici sul tronco antico dei faggi...

come il ritmo del respiro coincidente al pensiero
assolutamente lontano
come il ricordo

è un richiamo che si libra su fasci di luce obliqua
come in attesa
di una stanca inesorabile primavera

uno due o più mozziconi
sul terreno sudicio davanti alla panchina...

tutto questo fu prima del mio arrivo — poi
chissà quanti segni ancora




2


gradazioni di luce al tramonto —
da un grigio sporco in risalita verso l’azzurro
al celestino giottesco

ancora salendo verso il blu tendente al viola
per poi schiarire ancora ad incontrare il cielo
sotto la sua volta

ridiscendendo ad occidente
un punto di viola riaffiora a schiarire contro
il frastagliare dei monti

e poi bagliori bianco-grigiastri a scendere e tuffarsi
al di là
nell’alta sfera di un mondo assente

..........

la luna è monca in basso a sinistra — sgraziata
zoppica verso l’alto

la pianura sterminata si chiazza di luci
fari e lampioni civilmente allineati

cozzano insieme nel vento
che da dietro scende e scende e scende...

..........

menzogna dilatata
in un sogno prolungatosi di sghembo —

la poesia

ma è ancora bello crederci
illudersi che il gelo ci possa risparmiare




3.............al Leogra 1


uno stato di chiarezza spirituale
dove tutto appare possibile e trasparente —
liquido o scintilla
fluido difforme in sciolta vegetazione...

come organi aperti da dentro sull’origine dei mondi

non l’idea della creazione
ma un costante incessante schiudersi della materia
sotto forme incalcolabili di energia

per trasparenza
per chiarezza
per barlume e soffio del genio naturale

l’ineccepibile radice aggrappata al seno terreno
alla fertile sostanza
al prillare eterno del cosmo

non è misticismo
ma salutare immersione in un progetto illimitato
fatto d’aria e luce e calore

non è distacco
ma umido contatto avvolgente con la terra e il suolo
con la sponda e il greto del solito torrente

è il vecchio walt che insegue il canto degli uccelli
parlando di un processo senza fine —

di accoppiamento e trasformazione




4......................al Leogra 2


l’airone cinerino concede la danza
elegante delle sue ali aggrappate all’invincibile cielo

va a posarsi sul ramo più alto
la sua nera sagoma contro il grigio — siamo in pieno inverno
il collo snello in volo si ritrae formando una esse

punta al secondo albero giù in basso
dove l’acqua del torrente è un verde ghiaccio spettrale

e lì rimane immobile e assorto
gli occhi rivolti al profilo dei monti
nel lento annullarsi della luce lungo il becco incolore

ritratto in un crepuscolo di resina

pensieroso eppure impassibile esegue il suo compito — quel ruolo assegnatoli
dalla vita per intero

tutto il gelo dell’inverno l’avvolge e l’accompagna —
è tutt’uno col suo ramo sull’albero prescelto

poi riprende il volteggio sui lastroni di un verde-argento
seguendo l’ombra affilata della sua ala

adesso indugia

per un attimo si ferma sospeso a mezz’aria

non sa cos’è il peso
la gravità non lo preoccupa — solo vive e vola




5......................al Timonchio 1


tra fruscii d’acqua e moti improvvisi
gli uccelli tra le foglie e i rami secchi — altri
al ritmo danzato del loro volo osservano, passano...

da un luogo indefinito a un altro
nel pensiero frequente di vivere in un sogno
il che comporta un serio convincimento

ma nulla può convincermi adesso...

resta un fatto, l’essere qui seduto
su un nero avanzo di tronco rosicchiato dal tempo
nel freddo pomeriggio radioso di fine inverno

e questo è tutto.



6.................al Timonchio 2


la mia ombra allungata sul prato
è un avanzo di ceppo

un corollario di mille striature
tra spoglie acacie e robinie contorte —

reso ottuso e muto
dal ronzio di un silenzio invasivo

sto

allineato a un misero argine di pietre
accatastate alla rinfusa

con la trama giallastra dei licheni
impressa sulle ossa

(Leogra e Timonchio: torrenti dell’Altovicentino. Il secondo traccia, in parte, la linea di confine tra i comuni di Schio e Santorso. Sono torrenti e ruscelli spesso penosamente in secca, perlopiù captati e impoveriti fin dalle sorgenti. Quel che ne rimane viene poi deviato, incanalato e sfruttato per mille usi. La loro ostinazione a rinnovare un habitat originario e antico, per alcuni tratti o nei periodi di piogge abbondanti, crea un misto di ammirazione e commozione a chi impazientemente attende la fine dell’era degli sprechi e dello sfruttamento umano sull’ecosistema.)

Natural alphabet

1


tell me, what’s this place then? hell and paradise…

under a winter sun lengthening the shadows
of the crown of the lime-trees

on that delicately-striped meadow
the surrounding hills may be touched with a finger —

an old washing-place beside an ancient canal

..........

scrawls on the old trunks of the beeches…

like the rhythm of breathing coinciding with thought
absolutely distant
like memory

it’s a recall in freeflight over beams of oblique light
as if waiting
for an inexorably weary spring

one two or more cigarette-butts
on the soiled earth before the bench…

all of this was before my arrival — then
who knows how many further signs



2


shades of light at sundown —
from a dirty grey climbing towards azure
to Giotto’s celestial blue

still ascending towards blue touching on violet
so to lighten again as far as meeting the sky
under its vault

descending once more towards the west
a point of violet emerging to lighten against
the indentations of the hills

and then the grey-white flashes dropping to plunge
beyond
into the high sphere of an absent world

..........

the moon, down on the left, is maimed — it limps
clumsily towards the zenith

the boundless plain is dotted with lights
headlights and street-lamps politely in a line

they crash into each other in the wind
that comes down, down, down from behind…

..........

falsehood expanding
into a dream obliquely prolonging itself —

poetry

and yet it’s lovely to believe
in the illusion the frost will spare us



3..................by the Leogra 1


a state of spiritual clarity
where everything seems possible and transparent —
liquid or sparkle
formless fluid amongst loose vegetation…

like organs exposed from within over the origins of worlds

not the idea of creation
but a constantly incessant opening-up of matter
under incalculable forms of energy

for transparency
for clarity
for a gleam and whiff of the natural genius

the faultless root grasping at the breast of earth
at the fertile substance
at the eternal spinning of the cosmos

it is not mysticism
but a salutary immersion in a project without limit
made of air and light and heat

it is not separation
but a wet wrapping contact with earth and soil
with the bank and bed of the usual river

it’s the same old walt pursuing the song of birds
speaking of a process without end —

of coupling and transforming




4.....................by the Leogra 2


the ash-grey heron grants the elegant
dance of his wings clutching the invincible sky

he comes to rest on the highest branch
his outline black against the gray — we are in deep winter
his slender drawn-in neck retracts in flight to shape an s

he heads downwards towards another tree
where the water of the river is a frozen spectral green

and there he stays motionless and absorbed
his eyes turned to the mountains’ profile
in the slow fading of the light along his colourless beak

a portrait within a resinous dusk

thoughtfully though impassively he performs his task — a role
fully assigned to him by life

all the frost of winter wraps him up and accompanies him —
he and his branch are one on his chosen tree

then he vaults away again over slabs of a silver-green
following the pointed shadow of his wing

now he lingers

stops for a moment suspended in mid-air

he doesn’t know what weight is
gravity doesn’t worry him — he simply lives and flies



5................. by the Timonchio 1



among whisperings of water and sudden movements
the birds in the leaves and dried branches — others
passing by, at the dance-rhythm of their flight, observe…

from one indefinite place to another
in the frequent thought of living in a dream
which implies a serious conviction

but nothing now can convince me…

one fact remains, being seated here
on a black remainder of a trunk gnawed at by time
in the bright cold afternoon at the end of winter

and that is all



6.................by the Timonchio 2


my shadow stretched out along the field
is the remainder of a stump

a corollary of a thousand stripes
between bare acacias and twisted robinias —

rendered obtuse and mute
by the buzzing of invasive silence

I stay

lined up to a wretched bank of stones
heaped up all any-which-way

with the yellowish texture of lichens
imprinted on my bones




(The streams Leogra and Timonchio are sited in the northern area of the Vicenza province. The latest partly draws the border between the towns of Schio and Santorso. These streams are often painfully dry as a result of an exploitation which spoils them from their sources. The remaining water is then deviated and canalized for public and industrial use. When it rains hard, they stubbornly strive to renew a few stretches of their old original habitat. This conveys a mixed sense of admiration and tenderness to the one who is impatiently waiting for the end of ‘waste age’ and human exploitation upon the eco-system.)


domenica 15 marzo 2009

John F. Deane


Uscito da qualche mese presso le edizioni di Atelier, Gli strumenti dell'arte di John F. Deane è magistralmente tradotto da Roberto Cogo, dalla cui prefazione riporto alcuni intensi stralci.

interrompendo il flusso


Fino a pochi anni fa, la poesia di JFD era praticamente sconosciuta agli italiani. Con l'uscita, nel 2002, della raccolta di poesie scelte Il profilo della volpe sul vetro (in una preziosa collana dedicata alla tra­duzione di poeti contemporanei viventi, magistralmente curata da Paolo Ruffilli per le Edizioni del Leone di Venezia) l'attenzione verso l'opera del poeta irlandese si è accesa e va intensificandosi. Lo stesso libro menzionato sopra, ha di seguito ottenuto il Premio Internazionale di Poesia, sezione stranieri a Marineo, in Sicilia.

Le dichiarazioni di JFD riguardanti la situazione della poesia in Manda e del suo difficile rapporto con la realtà odierna — nel suo breve ma intenso saggio The Censorship of Indifference or the Demise of Poetry, riproposto da Chiara De Luca (anche lei autrice di traduzioni italiane di Deane) all'interno del suo sito internet — potrebbe valere, in qualche misura, anche per la situazione italiana in riferimento ai rapporti tra grandi editori e poesia, sia nazionale che straniera. Vorrei qui proporne alcuni brevi stralci (la traduzione è mia): «Mai ho trovato la poesia tanto ignorata dalla realtà come oggi»; «il linguaggio è stato rubato da persone di potere che hanno ottenuto un controllo sui media e che manipolano le parole conformandole ai loro piani»; «Semplicemente, è impossibile trovare volumi di poesia sugli scaffali delle nostre librerie più grandi, ed è praticamente inutile cercare di convincere queste librerie a tenere poesia in traduzione» (JFD si riferisce alle pubbli­cazioni di autori contemporanei, ma potrebbe valere anche per gli altri); «Se solo una parte minima di giornali e riviste danno spazio con riluttanza a recensioni di poesia nazionale, per quanto riguarda la poe­sia tradotta siamo prossimi al nulla».
Il breve saggio si conclude con queste parole che illuminano, almeno in parte, la sua poetica, offrendoci uno spunto da cui iniziare ad adden­trarci nell'intricata ricchezza del vasto universo della sua poesia: «L'affermazione del momento, del luogo, del qui e ora - questa è la poesia - non il fatto del suo valore o uso commerciale o non-commerciale. Una poesia è un'epifania che interrompe il flusso».


Questa nuova traduzione di JFD, riprende quasi per intero l'edizione inglese uscita per la casa editrice Carcanet, nel 2005; risulta mancante solo la sezione dal titolo The Artist, che nell'economia italiana del libro andava ad appesantire, forse eccessivamente, secondo il parere dello stesso poeta irlandese, un ambito particolare — il suo drammatico e fondamentale rapporto con la religione e il sacro. La sua rinuncia a prendere i voti dopo avere frequentato il seminario segna, come è facile intuire, una svolta fondamentale nella sua vita. Il tema religioso — in particolare, l'urto tra le esigenze spirituali dell'individuo e le rigidezze dell'istituzione religiosa — si ripresenta infatti con regolarità nel procedere del libro, intrecciandosi agli altri temi basilari, come quello del difficile e complesso rapporto con il quotidiano; quello familiare e della memoria; e, last but not least, quello prevalente (nel senso che riesce a racchiudere tutti gli altri in un unico ampio abbraccio) della relazione del poeta con la sua terra, in particolare, con la scabra e vento­sa Achill Island, isola nativa di JFD, situata nell'estremo nord-ovest d'Irlanda, nella contea di Mayo, e a cui il poeta dedica non pochi tributi.


Tutto ciò è esemplarmente evidente fin dalla poesia che apre il libro, Canvas, che ci rende più chiara la cifra del procedimento poetico o, per così dire, la macchina complessa dell'operare artistico di JFD. Pertanto, in questa composizione, il poeta, dopo aver di nuovo preso atto, con rabbioso dolore, di una realtà inesorabilmente intrisa di guerra e di morte («questa terra-ossario»), trova momentaneamente conforto nel ricordo del padre, il che però lo porta fatalmente a rievocare anche il giorno della sua morte: le calde dita del padre che sfiorano il freddo liquido dell'acquasantiera, si fondono con quelle del figlio che «tocca­rono la sua fronte gelata» nell'estremo doloroso momento della sua dipartita. A questo punto, l'elemento naturale della pioggia riporta il poeta al presente, schiudendolo alle altre mute presenze che lo circon­dano: la luce serale, il ritrarsi delle zampette di un rondone, le nuvole, una cornacchia e infine un airone, la cui ombra in movimento, per un attimo, lo rigetta nella memoria di una guerra passata; a questo punto, avviene il grande salto, il passaggio o spostamento, da una semplice e concreta visione di vita terrena, a una sublime contemplazione artistica che poi sconfina nella sinestesia del divino — per quanto quest'ultima venga connotata di ambigua lontananza, facendo prevalere anche il pre­cedente e protratto gioco di contrasti: «poi il mondo sopra di me // fu un capolavoro di Botticelli che concesse / al mistero il suo scopo, poi spalancai il lucernario / inalando tutta l'asprezza e il trastullo di Dio / con il curioso lento girare delle stelle».
Quando l'infanzia (presente nella poesia di JFD innanzitutto come rievocazione e memoria personale) con le sue meraviglie e magie si presenta come un rifugio e la nostalgia sembra prevalere, ecco però rifarsi vivo, all'improvviso — spesso attraverso l'apparizione o la visione istantanea di un elemento naturale, animale o vegetale — un energico soffio di stupore che libera il campo da un facile accartocciar­si su se stessi e sul proprio senso di perdita, delusione o sfiducia. Se i ricordi dell'infanzia sulla sua isola sono come «territori...orlati da can­didi fiori / di biancospino» in cui è pienamente percepibile la presenza del divino e anche di una comunanza con esso attraverso la natura: «tu, mio Dio, eri il mio Dio vivente, e io / ero il tuo figliolo, non-prodigo, coinvolto, timoroso»; le esperienze e l'improvviso ripiombare nel pre­sente fanno prevalere un senso di cautela, in cui la direzione da prende re non è più chiara, mai sicura, così che tutto si fa insieme «strano e familiare». Il mistero irrisolvibile del vivere pervade adesso anche il paesaggio, è presente nella natura — pur sempre attraente nella sua enigmaticità e sofferenza, spesso causata dalla brutale azione umana: «poor creatures» era ripetuto già nelle raccolte precedenti in riferimen­to agli animali spesso feriti e intrappolati o costretti a razzie notturne nelle villette ben curate dei sobborghi cittadini che hanno invaso i loro tenitori e ridotto all'osso le loro prede e alimenti. La volpe, trasformatasi in simbolo trasfigurato di una natura violentata e sacrificata — che lì aveva addirittura assunto su di sé la sofferenze di Cristo — qui ricompare, ma oramai come un patetico emblema fossilizzato: «lungo \ la costa una volpe / di roccia sta in posa sulle pietre come una ballerina / mentre le dita belle e sapienti del vento / tracciano linee d'oro lungo / la sua pelliccia».
Un altro legame profondo, decisivo e, insieme, sempre misteriosamente presente, (come abbiamo già potuto notare) è quello tra i vivi e i morti, attraverso un movimento temporale inesausto di rievocazioni e improvvisi salti della memoria, familiare e non. «Tutti i cari estinti» — partecipi, in particolare, della seconda sezione del libro dal titolo The Old Yellow House — vengono, infatti, di continuo riproposti all'atten­zione del lettore, quasi sempre unitamente ai loro luoghi, così saturi delle loro cose (ma anche soltanto del loro ricordo), o accompagnati ai segni lasciati dal loro passaggio sul paesaggio domestico e naturale — quest'ultimo, peraltro, pare accogliere e inglobare tutto e tutti nel suo enorme grembo di torba (dalle connotazioni, devo dire, insieme mater­ne e spaventevoli).


Lo stile sobrio della scrittura poetica di JFD non concede molto spazio a orpelli o ammiccamenti, né a eccessi ritmico-sonori o a immagini esteticamente ricercate ed elaborate. Tutto si muove all'interno di una logica livellante che fa dei toni medi e dei ritmi smussati il proprio ambito di ricerca — riservandosi però spazi di improvviso fulgore, momenti rivelatori di rara intensità e bellezza. Certamente, la sua ardente frequentazione e conoscenza della Bibbia e dei Vangeli — pre­senti nei suoi testi sotto forma di reperti e citazioni, prestiti e variazioni su temi noti — conferisce alle composizioni un carattere particolare, intessuto di episodi emblematici e costruito sull'esemplarità dei gesti, così come su improvvise soluzioni di stampo didascalico o sapienziale ma, nello stesso tempo, anche su una grande aderenza alla realtà delle cose e dei fatti, così come alla concretezza disarmante di un vivere che si radica e si alimenta in un'incessante e sentita esperienza del quoti­diano.


The Instruments of Art

...................................................(Edvard Munch)


We move in draughty, barn-like spaces, swallows
busy round the beams, like images. There is room
for larger canvasses to be displayed, there are storing-places
for our weaker efforts; hold

to warm clothing, to surreptitious nips of spirits
hidden behind the instruments of art. It is all, ultimately,
a series of bleak self-portraits, of measured-out
reasons for living. Sketches

of heaven and hell. Self-portrait with computer;
self-portrait, nude, with blanching flesh; self
as Lazarus, mid-summons, as Job, mid-scream.
There is outward

dignity, white shirt, black tie, a black hat
held before the crotch; within, the turmoil, and advanced
decay. Each work achieved and signed announcing itself
the last. The barn door slammed shut.



*

There was a pungency of remedies on the air, the house
hushed for weeks, attending. A constant focus
on the sick-room. When I went in, fingers reached for me,
like cray-fish bones; saliva

hung in the cave of the mouth like a web. Later,
with sheets and eiderdown spirited away, flowers stood
fragrant in a vase in the purged room. Still life. Leaving
a recurring sensation of dread, a greyness

like a dye, darkening the page; that Dies Irae, a slow
fret-saw wailing of black-vested priests. It was Ireland
subservient, relishing its purgatory. Books, indexed,
locked in glass cases. Night

I could hear the muted rhythms in the dance-hall; bicycles
slack against a gable-wall; bicycle-clips, minerals, the raffle;
words hesitant, ill-used, like groping. In me the dark bloom
of fascination, an instilled withdrawal.



*

He had a long earth-rake and he drew lines
like copy-book pages on which he could write
seeds, meaning – love; and can you love, be loved, and never
say ‘love’, never hear ‘love’?

The uncollected apples underneath the trees
moved with legged things and a chocolate-coloured rust;
if you speak out flesh and heart’s desire will the naming of it
canker it? She cut hydrangeas,

placed them in a pewter bowl (allowing herself at times
to cry) close by the tabernacle door; patience in pain
mirroring creation’s order. The boy, suffering puberty, sensed
in his flesh a small revulsion, and held

*

hands against his crotch in fear. Paint the skin
a secret-linen white with a smart stubble of dirt. The first
fountain-pen, the paint-box, pristine tablets of Prussian Blue,
of Burnt Sienna – words

sounding in the soul like organ-music, Celeste and Diapason –
and that brush-tip, its animated bristles; he began at once
painting the dark night of grief, as if the squirrel’s tail
could empty the ocean onto sand. Life-

drawing, with naked girl, half-light of inherited faith,
colour it in, and rhyme it, blue. In the long library, stooped
over the desks, we read cosmology, the reasoning
of Aquinas; we would hold

the knowledge of the whole world within us. The dawn
chorus : laudetur Jesus Christus; and the smothered,
smothering answer: in aeternum. Amen. Loneliness
hanging about our frames, like cassocks. New



*

world, new day. It is hard to shake off darkness, the black
habit. The sky at sunset – fire-red, opening its mouth
to scream; questions of adulthood, exploration of the belly-flesh
of a lover. It was like

the rubbling of revered buildings, the moulding of words
into new shapes. In the cramped cab of a truck she, first time, fleshed
across his knees; the kiss, two separate, not singular,
alive. It was death already, prowling

at the dark edge of the wood, fangs bared, saliva-white.
Sometimes you fear insanity, the bridge humming to your scream
(oil, casein, pastel) but there is nobody to hear, the streaming river
only, and the streaming sky; soon

on a dark night, the woman tearing dumbly at her hair while you
gaze uselessly onto ashes. Helpless again you fear
woman: saint and whore and hapless devotee. Paint your words
deep violet, pale yellow,



*

the fear, Winter in Meath, Fugue, the Apotheosis of Desire.
The terror is not to be able to write. Naked and virginal
she embraced the skeleton and was gone. What, now,
is the colour of God is love

when they draw the artificial grass over the hole, the rains
hold steady, and the diggers wait impatiently under trees? Too long
disturbing presences were shadowing the page, the bleak
ego-walls, like old galvanise

round the festering; that artificial mess collapsing
down on her, releasing a small, essential spirit, secular
bone-structure, the fingers reaching out of need, no longer will.
Visceral edge of ocean,

wading things, the agitated ooze, women on the jetty
watching out to sea; at last, I, too, could look
out into the world again. The woman, dressed in blue, broke
from the group on the jetty and came



*

purposefully towards us, I watched through stained glass of the door,
and loved her. Mine the religion of poetry, the poetry
of religion, the worthy Academicians unwilling to realise
we don’t live off neglect. Is there

a way to understand the chaos of the human heart? our
slaughters, our carelessness, our unimaginable wars?
Without a God can we win some grace? Will our canvases,
their patterns and forms, their

rhymes and rhythms, supply a modicum of worth?
The old man dragged himself up the altar steps,
beginning the old rites; the thurible clashed against its chain;
we rose, dutifully, though they

have let us down again, holding their forts
against new hordes; I had hoped the canvas would be filled
with radiant colours, but the word God became a word
of scorn, easiest to ignore. We



*

came out again, our heartache unassuaged.
The high corral of the Academy, too, is loud with gossipers,
the ego-traffickers, nothing to be expected there. Self-
portrait, with grief

and darkening sky. Soon it will be the winter studio; a small
room, enclosed; you will sit, stilled, on a wooden chair, tweed
heavy about your frame, eyes focused inwards, where there is
no past, no future; you sit alone,

your papers in an ordered disarray; images stilled, like nests
emptied; the phone beside you will not ring; nor will the light
come on; everything depends on where your eyes
focus; when

the darkness comes, drawing its black
drape across the window, there will remain
the stillness of paint, words on the page, the laid down
instruments of your art.




Gli strumenti dell’arte

..............................................(Edvard Munch)


Ci muoviamo in luoghi ventosi simili a fienili, le rondini
indaffarate intorno alle travi, simili a immagini. C’è spazio
per mostrare le tele più grandi, ci sono magazzini
per i nostri tentativi più scarsi; tieniti

gli abiti caldi, i surrettizi sorsi di liquore
nascosto dietro agli strumenti dell’arte. Si tratta, in definitiva,
di una serie di tetri autoritratti, di misurate
ragioni di vita. Schizzi

di paradiso e inferno. Autoritratto con computer;
autoritratto nudo con carni impallidite; come
Lazzaro nel mezzo della chiamata, come Giobbe tra le urla.
Vi è una dignità

apparente, camicia bianca, cravatta nera, cappello nero
tenuto davanti all’inguine; dentro, tumulto e avanzato
decadimento. Ogni opera conclusa e firmata annuncia di essere
l’ultima. La porta del fienile sbattuta con violenza.

*

C’era un’acre odore di medicine nell’aria, la casa
silenziosa per settimane, in attesa. Una continua attenzione
alla stanza del malato. Quando entrai, le dita allungate verso me
come chele di gambero; la saliva

sospesa nel cavo della bocca come una ragnatela. Più tardi,
con lenzuola e copriletto ravvivati, fiori fragranti
stavano in un vaso nella stanza ripulita. Natura morta che lascia
ricorrenti sensazioni di paura, un grigiore

simile a una tinta che oscura la pagina; quel Dies Irae, un lento
gemito di preti in nero paramento, simile a una sega. Era l’Irlanda
servile che gustava il suo purgatorio. Libri messi all’indice,
chiusi in scaffali di vetro. Di notte,

percepivo i ritmi attutiti della sala da ballo; biciclette
inerti contro il muro del frontone; fermagli, minerali e la lotteria;
parole esitanti, maltrattate, brancolanti. Dentro me, l’oscuro fiorire
della seduzione, una trasfusa ritirata.



*

Aveva un lungo rastrello e tracciava linee
simili a pagine di quaderno su cui poter scrivere
i semi, significanti amore; ma si può amare, essere amati, senza mai
dire ‘amore’, senza mai udire ‘amore’?

Le mele abbandonate sotto gli alberi
si spostavano su zampette e ruggine color cioccolato;
se si esprime il desiderio del cuore e della carne, nominandolo
lo si farà incancrenire? Lei tagliò le ortensie,

le ripose in una ciotola di peltro (lasciando sfogo alle lacrime
di tanto in tanto) vicino alla porta del tabernacolo; nel dolore la pazienza
riflette l’ordine della creazione. Il ragazzo, subendo la pubertà, provò
una leggera repulsione per la sua carne, e si strinse



*

le mani tra le gambe impaurito. Dipingi la pelle
col bianco dei panni segreti e una stoppia elegante di sporco. La prima
penna stilografica, la scatola dei colori, tavolette originali di Blu di Prussia,
di Terra di Siena – parole

che risuonano nell’anima come musica d’organo, Celesta e Diapason –
e le setole vivaci sulla punta del pennello; cominciò subito
a dipingere l’oscura notte del tormento, come se la coda di scoiattolo
potesse svuotare l’oceano sulla sabbia. Ritratto

dal vero con ragazza nuda, in penombra di fede ricevuta,
colorala e rimala d’azzurro. Nella biblioteca oblunga, chini
sopra i banchi, leggevamo cosmologia, i ragionamenti
dell’Aquinate; avremmo conservato

dentro la conoscenza del mondo intero. Il coro
all’alba: laudetur Jesus Christus; e la soffocata,
soffocante risposta: in aeternum. Amen. Solitudine
che pende dai corpi come la tonaca. Un nuovo



*

mondo, un nuovo giorno. Difficile scuotersi di dosso il buio, la nera
abitudine. Il cielo rosso fuoco al tramonto che apre la bocca
per urlare; richieste di maturità, esplorazioni del ventre carnoso
di un’amante. Pareva

di frantumare gli edifici venerati, di forgiare le parole
in nuove forme. Nella stretta cabina di un camion, per la prima volta, lei s’incarnò
tra le sue ginocchia; il bacio, due esseri separati, non uniti,
vivi. E fu già la morte che s’aggira

all’oscuro limitare del bosco, a zanne scoperte, bianco-saliva.
Talvolta si teme la pazzia, il ponte che ronza al tuo grido
(olio, caseina, pastello), ma non si ode nessuno, solo il fiume
che scorre, e il cielo che scorre; presto,

in una notte buia, la donna si tirerà i capelli in silenzio, mentre tu
fisserai inutilmente le ceneri. Di nuovo indifeso temi
la donna: santa o puttana o infelice devota. Dipingi le tue parole
di viola intenso, di giallo chiaro,



*

la paura, Inverno a Meath, Fuga, L’apoteosi del desiderio.
Il terrore è di non riuscire a scrivere. Nuda e virginale
lei abbracciò lo scheletro e se ne andò. Qual è ora
il colore di Dio è amore

se stendono l’erba artificiale sulla buca, se la pioggia
persevera e chi scava attende impaziente sotto gli alberi? Ombre
di presenze scomode furono troppo a lungo sulla pagina, fosche
mura dell’ego, come ferro arrugginito

intorno al marciume; quel disordine artificiale che le crolla
addosso, liberando un piccolo spirito essenziale, struttura
ossea secolare, le dita allungate per desiderare, non più per volere.
Viscerale orlo d’oceano,

cose al guado, melma in agitazione, donne sul pontile
che scrutano il mare; infine, anch’io potei guardare
di nuovo fuori, verso il mondo. La donna vestita d’azzurro si staccò
dal gruppo sul pontile e venne




*

di proposito verso di noi; io guardavo dal vetro macchiato della porta
e la amai. Mia la religione della poesia, la poesia
della religione, gli onorati Accademici maldisposti a credere
che non viviamo di sola noncuranza. C’è

un modo per capire il caos del cuore umano? i nostri
massacri, la nostra negligenza, le nostre incredibili guerre?
Senza un Dio possiamo ottenere un po’ di grazia? Le nostre tele,
le loro forme e modelli, le loro

rime e ritmi, forniranno un minimo di valore?
Il vecchio si trascinò lungo i gradini dell’altare
per iniziare gli antichi riti; il turibolo sbatté contro la catena;
come di dovere, ci alzammo, sebbene loro

ci abbiano delusi ancora per difendere la loro fortezza
dalle nuove orde; avevo sperato che la tela si fosse riempita
di colori radiosi, ma la parola Dio divenne una parola
di disprezzo, facilissima da ignorare. Poi



*

uscimmo fuori, con il cuore ancora dolorante.
Anche l’alto recinto dell’Accademia è pieno di ciarloni,
trafficanti dell’ego, lì non c’era niente da aspettarsi. Auto-
ritratto con pena

e cielo che si oscura. Verrà presto lo studio invernale; una
stanzetta adiacente; ti sederai, calmo, su una sedia di legno, giacca
di lana pesante sulle spalle, occhi fissi dentro, dove non vi è
passato né futuro; sederai solo,

le tue carte in ordine scomposto; immagini di calma, come nidi
svuotati; il telefono vicino a te non suonerà; né si accenderà
la luce; tutto dipende da dove punterai
lo sguardo; quando

verrà il buio coprendo la finestra
col suo drappo nero, rimarranno solo
l’immobile pittura, le parole sul foglio, i riposti
strumenti della tua arte.


Born Achill Island 1943; founded Poetry Ireland - the National Poetry Society - and The Poetry Ireland Review, 1979; Published several collections of poetry and some fiction; Won the O’Shaughnessy Award for Irish Poetry, the Marten Toonder Award for Literature and poetry prizes from Italy and Romania. Elected Secretary-General of the European Academy of Poetry in 1996. Shortlisted for both the T.S.Eliot prize and The Irish Times Poetry Now Award, won residencies in Bavaria, Monaco and Paris. Latest poetry collection “The Instruments of Art”, Carcanet 2005; “In Dogged Loyalty”, essays on religious poetry, Columba 2006; latest fiction “The Heather Fields and Other Stories,” Blackstaff Press 2007. His latest poetry collection, “A Little Book of Hours”, came from Carcanet in 2008. He is a member of Aosdána, the body established by the Arts Council to honour artists “whose work had made an outstanding contribution to the arts in Ireland”. In 2007 the French Government honoured him by making him “Chevalier de l’ordre des arts et des lettres”. In 2008 John F. Deane was visiting scholar in the Burns Library of Boston College.Late 2008 he was elected President of the European Academy of Poetry.

domenica 8 marzo 2009

Maria Pia Quintavalla


Nella giornata della donna, ho pensato di presentare Maria Pia Quintavalla, da sempre animatrice della rassegna "Donne in poesia" (qui trovate una sua interessante intervista).


Due sono le linee forti della sua poesia: la convinzione che la parola dia ordine inaudito alla consuetudine, ricreando il mondo in uno spazio tutto da abitare, tanto dall'autore quanto dal lettore: qui, io e altro, infatti, sono ostaggio dell'aperto che la parola istituisce, sono chiamati ad abbandonare le zavorre, per dialogare davvero. A tale vortice, invero, l'autrice pone una tenue resistenza, rivendicando, senza ostinazione, il proprio viaggio identitario. L'altro punto ha radice nella spinta generazionale, nel sentirsi parte di un discorso già cominciato, ma che non si è mai davvero concluso e che la poesia, quale compito magno, deve metabolizzare. In aiuto, viene la tradizione tendenzialmente lombarda, portatrice di una visione della vita asciutta e tragica, che in lei rimbomba sotto i botti di sillabe godive oppure tra i veli d'apparenze aggraziate, pregne invece di presagio.
Selected Poems (Gradiva 2008) ci porta nel suo mondo a partire da Cantare semplice (1984), sino ad Album feriale (2005), regalandoci un paio di inediti tratti dalla futura silloge China. Ecco dunque un piccolo ma prezioso libro, dono d'oltreoceano, per noi che non ci stanchiamo mai di leggere la buona poesia.




Con un’amica

............................. a Nadia Campana


Con un’amica niente più bianco
e nero, né morte
di nuovo dio piccolo
dio diffuso

tante piccole teste noi
e plurali sulla terra,
sui muri della schiena
incubi e infanzia da vedere.

Cantare le righe
le miglia di un’altra, scomparsa
. non consumabile silenzio

Con una nave niente più bianco
e nero,
solo dio piccolo
piccolo e diffuso.



Dichiarazione di poetica

Non di corpo bramava la sua lingua
godiva, amorosa svernare il lutto e gli ori
senza inverare le parole belle e
sole, nuovi moti celesti
i morti — sua remota sorellanza

silente sorellanza spinosa, seminare
apneica lingua, duri spazi-sogni
come lupa allappare
senza più sognare — agguerrita presenza
le smaniate cose.


Esiste la deliziosa

Esiste la deliziosa,
prossimità, non il perfetto amore.

E intanto
lunghi tragitti tratti
erosi da pianto, polvere
di sentieri assembrati angoli della mente che
stavano per sfollare e – sostano,
campi desertici
trasferimento, letto come strada
silenzio non ancora pace.


Maternale

spesso ti dissolvevi andavi
via ed io imperfetta ne ordino l'ordito muto
diniego di muta esistenza la sua incandescenza
è morivo della mia gloria sempre

io loderò la forma che mi ha preceduta
di quella che viene ancora
non conosco lega leggera
di pensiero piumaggio breve.


Parmigiana

Tutti gli amori ti furono infelici perché ci credevi,
tutta vi aderivi, alle promesse
dell'essere — al suo centro, ti innamoravi della vita
del paradiso dalle palme lente e dolci
dell'amore improvviso nelle dita,
degli amanti napoletani della forza che
ti travolgeva ma di messi astrali, bianche
di una stella carnale

antiche passeggiate e dolci mani,
della vita sentivi lì la forza intatta infrangersi
stupita appartenente a corse, statue di gaggie
erano tonfi al cuore, desiderio e copule del mare.
Forti le braccia i baci le lusinghe,
per amore della vita che perdevi
e lenta nell'amore ti perdeva.


Da: che cosa hai fatto per il padre, figlio

"Ho sopportato le parole antiche
i bassi fondi dell'anima, ecco che cosa
ho sopportato lui, i detriti
un calcestruzzo mal digerito
le ingiuriate abrasioni dei no! quelle che
al collo gli uncinavano la voce, schiaffi
le blasfeme stigmate del male
(mentre crollavi e ai miei ginocchi
ti sostentavi)
cadevi e cadevi, più non ti fermavi
eri mille e mille atomi e scintille
di passioni ferite divenute calce viva
ma ancor prima questo e quello
neanche ti bastava,
impetravi impedivi le passioni dell'essere
all'aperto: di noi altre, le belle."

Maria Pia Quintavalla è nata a Parma, e vive a Milano. Ha pub­blicato: Cantare semplice (1984, Tarn Tarn Geiger), Lettere giovani (1990, Campanotto), II Cantare (1991, Campanotto), Le Moradas (1996, Empiria), Estranea (cannone) (2000, Piero Manni, introdu­zione di A. Zanzotto) Corpus solum, (2002 Archivi del '900), Al­bum feriale (2005, Archinto), Selected Poems (2008, Gradiva. New York, trad. inglese Isabella Canetta). Dal 1985 cura la rassegna nazionale Donne in poesia, e le omonime antologie. (Comune di Milano 1988, ristampata Cam­panotto 1991). Cura seminari di lettura del testo poetico: con l'Università Statale di Milano laboratori di lingua italiana; per la libera Univer­sità delle donne e la Società Umanitaria di Milano, il festival "Don­ne in poesia, oggi"; con Archivi del 900 e l'I.S.U, "Poetiche".
Suoi testi sono stati tradotti in inglese, tedesco, spagnolo e serbo-croato. Qui il suo sito.

venerdì 6 marzo 2009

intervista su Radio Alma


Una settimana fa sono stato intervistato, via telefono, da Radio Alma, nella sua sede di Bruxelles.

E' possibile ascoltare il programma cliccando qui.

Nella prima parte della trasmissione, la poetessa Liana Furnari legge i suoi testi e affronta la questione dell'identità. Nella seconda, si approfondisce il tema.



Ringrazio Anna Maria Farabbi, Daniela Terrile, Marcella Toro e Paola Grauso per avermi dato questa occasione.

martedì 3 marzo 2009

parola, etica, il femminile


Fra i diversi appuntamenti sparsi sullo Stivale, ne segnalo alcuni di sicuro interesse.



L'associazione Radar di Vittorio Veneto, ha organizzato per il giorno 7 marzo una giornata di studi dedicata al rapporto tra parola ed etica, alla quale interverranno il filosofo Alfonso Cariolato (che rifletterà sul nesso tra voce singolare e ritmo nella parola filosofica) e il poeta Luciano Cecchinel. Durante il pomeriggio (nel quale interverrà anche lo psicoanalista Ettore Perrella, da anni impegnato in una esigente riflessione sullo statuto eminentemente etico della pratica analitica della parola e sugli stessi snodi cruciali della voce e del canto), verranno proiettati dei brani tratti da un'ampia intervista che Moni Ovadia ha concesso all'associazione.



Programma



- ore 10.00 – 12.30 PER UN ETHOS A VENIRE (Alfonso Cariolato) e videointervista a Moni Ovadia



- 15.00 – 16.00 BALBETTANTE PENOMBRA - LA POETICA DI UN UOMO (Luciano Cecchinel)
- 16.00 – 17.00 PAROLA ED ETICA IN PSICOANALISI (Ettore Perella),



- 17.00 – 18.00 LA FILOSOFIA, LA VOCE E IL BRUSIO DEL MONDO (Alfonso Cariolato)



Informazioni: Associazione Culturale Radartel. 0438.940462e-mail associazioneradar@libero.it







Mercoledì 04/03/2009 h. 18.30
a Milano, Auditorium Ex Chiesetta del Trotter

LinguaMadre: Poesia femminile?
a cura di
Giusi Busceti e Gabriela Fantato


un ricordo di
Nadia Campana

Recital Concerto di
Betty Gilmore (voce e testi poetici) e Paolo Botti (viola, banjo, dobro)

e le letture di
Maddalena Capalbi, Antonella Doria, Gabriela Fantato,
Alessandra Paganardi, Maria Pia Quintavalla




infine, un appuntamento romano

Donne in Poesia tra senno e danno
psicopatologia nell'Arte
"quelle il cui sguardo sull'abisso si è fermato"

giovedì 5 marzo h. 18;30
Palazzo delle Regioni – Sala Italia
via Ulisse Aldrovandi, 16


Intervengono:
dott.ssa Marta Giuliani, psicologa
Luca Benassi, critico letterario e poeta


Letture poetiche a cura dell'associazione le Mele grane
Dona Amati, Antonia Buscemi, Fortuna Della Porta, Terry Olivi, Monica Osnato, Elena Ribet

Musica a cura di
Maestro Rosario Fugà, (flauto traverso)

Versi di: Nadia Anjuman, Ingeborg Bachmann, Karin Boye, Natalia Ginzburg, Nadia Campana, Marina Cveataeva, Florbela Espanca, Alejandra Pizarnik, Silvia Plath, Antonia Pozzi, Amelia Rosselli, Saffo, Anne Sexton, Gaspara Stampa, Alfonsina Storni…