lunedì 20 ottobre 2008

poeti senza pubblico


Un post di riflessione, rivolto soprattutto agli organizzatori di incontri poetici. Il messaggio è questo: inutile organizzare una cornice con i fiocchi, in un luogo con i fiocchi, con poeti importanti, se poi non si dedicano le necessarie risorse affinché il pubblico sia presente. E' pur vero, come scrive Lucia Marchitto nel blog di Francesco Marotta, riferendosi al libro di Maria Marchesi: "Questo bellissimo libro mi fu regalato dalla mia vicina che lo aveva raccolto dal cestino della redazione di un giornale locale dove lavora come inserviente, da come le pagine si presentavano si capiva che non era stato mai neanche sfogliato". E' vero, voglio dire, che il pubblico della poesia non ci piove sulla testa, tuttavia avere 3-4 uditori alla presentazione romana dell'Antologia di Liberinversi o ancora meno all'incontro con i poeti al festival torinese (cui riferivo nella "bacheca d'ottobre"), come mi raccontano rispettivamente Luigi Metropoli e Silvia Monti, mi pare irrispettoso anzitutto per i poeti e i relatori, che si spostano gratuitamente sulla penisola, non chiedendo altro che uomini e donne disposti a condividere la passione per la poesia. I due esempi non diventino capri espiatori: l'anno scorso, ho presentato in mezza Italia la mia distanza immedicata e sono andato a convegni sui blog di poesia, eccetera: non di rado, il pubblico si contava sulle dita di due mani (per stare ottimisti).

Sarebbe ora che i poeti dicessero un chiaro: "Non vengo alla tua manifestazione, se non mi garantisci il tuo impegno per trovare un pubblico reale". Come dire: se il tuo compito è organizzare un evento, preoccupati non soltanto di far contento il politico o lo sponsor che compaiono sui manifesti; dal mio punto di vista, la tua bravura si mostra nella quantità e qualità di pubblico che mi porti in sala. E non si dica, come sempre, che il pubblico della poesia non esiste. Il fatto è che bisogna curarlo, educarlo, cercarlo con i mezzi appropriati. Tradotto: bisogna investire in persone e mezzi, mutuando, se serve, strategie dal marketing (senza ovviamente sfociare nel pacchiano o nel ridicolo).

45 commenti:

  1. ciao Gugl,
    quanto ha ragione
    e sono mesi, anni che mi ci batto e ogni volta mi sono sentito rispondere
    - eh si, hai ragione
    - la poesia non è un mercato

    Rientrato ora dagli USA, alle letture di poesia c'erano sedute 50 persone nel peggiore dei casi, un centinaio e più nella normalità e 350 in una serata specifica. Gente che è venuta ad ascoltarci leggere in un inglese certamente non madre lingua (imperfetto,. spurio) e nella nostra madre lingua (diverse lingue madri, ai più incomprensibili)
    Parte delle risorse è stato infatti usato per PUBBLICIZZARE l'evento.
    Punto.
    Niente ah né ma.
    Se si pubblicizza seriamente si ottiene, altrimenti ciccia.
    E non si può affidarsi solo a newsletter aeree mandate via mail che lasciano il tempo che trovano.
    Bisogna investire, martellare i quotidiani, martellare, martellare e martellare, approcciare il sistema "pubblicità" con serietà e sistema, esattamente come si fa per la vendita di un qualsiasi altro prodotto.
    La poesia E' un mercato se si intende avere un pubblico.

    fabiano alborghetti

    RispondiElimina
  2. poeti senza pubblico, libri senza vendita, articoli senza commenti ecc. ecc. Sono d'accordo con te Stefano. A Pisa, al Book Festival, non è andato molto meglio: a sentire Tiziano Scarpa, che a me piace e che si dice sia uno che tira, eravamo in 6-7, e non so quanti erano lì per dovere di ospitalità. Come spettatore non pagante, non amico di, non tenuto ad esserci ecc. non mi sono sentito affatto felice. Anche qui la responsabilità è in gran parte degli organizzatori: in circa tre giorni di festival praticamente era l'unico evento di poesia e neanche tanto pubblicizzato.
    un saluto caro
    G.

    RispondiElimina
  3. la pubblicità è importante, sì. ed è necessario investirci molto. (ne so qualcosa in relazione alla stagione di "poesia presente" a monza, vedendo l'immane lavoro che porta avanti in primis dome bulfaro... e dà sicuramente i suoi frutti).
    MA.
    quando sento le magiche parole "bisogna educare il pubblico" mi viene una sorta di prurito cosmico-esistenziale. educarlo a cosa, alla poesia? e come si fa?
    si fa convincendolo (con la pubblicità, appunto) a partecipare ad eventi, serate, letture che lo lascino appagato. o che lo coinvolgano in qualche modo.
    io (e non lo nascondo mai) mi ANNOIO troppo spesso, ormai, alle serate, agli incontri, alle presentazioni.

    forse è un problema solo mio, quello della noia...
    s.

    RispondiElimina
  4. l’argomento è cruciale
    meriterebbe perlomeno un convegno nazionale, tipo quelli che negli anni Settanta lanciarono le strategie di promozione del teatro ragazzi o del teatro di ricerca, quando a certi spettacoli era minore il numero degli spettatori rispetto a quanti calcavano la scena (ma anche quando a Torino certe animazioni teatrali di strada radunavano migliaia di bambini, insegnanti, genitori…

    però non se ne faccia nulla se il tenore medio degli interventi in scaletta è calcato nel registro della *prefica*, del *lai*, o dell’invettiva

    in questo momento c’è grande bisogno di concretezza e determinazione:
    siamo accerchiati dai soliti rimestatori delle solite minestre? “non ragioniam di lor, ma guarda e passa”

    bisogna copiare, certo, da chi ce la fa ad avere pubblico in altri campi della produzione culturale, o in altre nazioni più sveglie e libere dal bigottismo dei nostrani *mecenati*

    prima però è sacrosanto rispondere alla domanda che pone Silvia sulla qualità di ciò che si propone: un bel libro presentato con le pantofole allegate o in bocca ad una cornacchia è un fiasco annunciato – regola del marketing più elementare: un prodotto di qualità si vende innanzitutto a partire dall’immagine che il prodotto in sé offre all’acquirente

    se dunque anche una competenza performativa può, in alcune circostanze, fare la differenza, ne tenga conto prima di tutto l’autore – e poi anche l’organizzatore, che troppo spesso si appiattisce sulla formula del “nome che tira”

    e poi, sempre a proposito di immagine del prodotto: un poeta che se ne sta nel suo cantuccio a lagnarsi che nessuno lo sa valorizzare, che certa editoria non capisce una mazza, che la scuola è allo sfascio ecc. ecc., se anche dicesse cose in sé sicuramente plausibili, chi volete che se lo fili? Obama sta in cresta (sperém) perché del suo essere nero e giovane e inesperto e… non ne ha MAI fatto oggetto di autocommiserazione

    LO SO: ragionare in termini di PRODOTTO solleva cori di protesta, in quanto le logiche di mercato NON SONO le logiche della creazione artistica, della produzione estetica

    e sarebbe davvero un danno se finisse per prevalere in quanto valore letterario l’opera del poeta buon manager e performer di se stesso su quella di chi non coltiva tali doti (e già di scrittori-imbonitori e poeti-Dulcamara è costellato il firmamento!)

    del resto, come si ragionò con più persone negli ultimi tempi, la vivacità del paesaggio poetico odierno, polimorfo e proteiforme come mai in lingua italiana si era registrato nei secoli trascorsi, forse è tale proprio perché la poesia è senza mercato

    eppure permanere limbicamente in tale situazione è una contraddizione catastrofica, che ha come unico esito quello di spingere tanti poeti ad incazzarsi a morte ogni volta che si tocca l’argomento – con tutta la gente in giro che (come il sottoscritto teatrante, nel suo piccolo) può dire “vissi d’arte, vissi d’amore”, perché proprio il poeta non può? (a meno che campi di recensioni, prefazioni, curatele editoriali, corsi di scrittura, gestione di gruppi di consenso…


    una proposta che mi sento di fare, quando si parla di strategie per incontrare un lettore diffuso, è quella delle sinergie con altri linguaggi (teatro, video, arti visive, musica…) e con eventi ad ampia partecipazione dove la poesia può dire la sua – Fabiano, sicuramente ricorderai la gente che ha ascoltato i tuoi testi da “L’opposta riva” alla chiusura della Festa dei Popoli di Brugherio, dove l’operazione è stata quella di innestare il tuo libro, con la sua scansione drammaturgica sul tema del transito migratorio, in un contesto affine, una festa organizzata da gruppi di volontariato e da comunità di migranti, a loro volta chiamate ad intervenire con testimonianze scritte confluite nella performance di lettura di cui curavo la realizzazione – certo, dietro ci sono stati gli anni in cui la mia piccola compagnia teatrale si è impratichita della macchina organizzativa del Comune che reggeva le fila dell’evento, ha intessuto rapporti con il volontariato locale, ecc. – è c’è stata la faticosissima mediazione con lo spazio all’aperto, e architettonicamente destrutturato in cui gli organizzatori hanno chiesto di convergere – le testimonianze più belle che ho raccolto sono arrivate da alcuni immigrati che con gli occhi lucidi hanno detto “per fortuna qualcuno dice in un buon italiano le cose che noi non riusciamo a dire”, o da una non-immigrata che ha definito “di necessaria rottura” questo lavoro, senza il quale la festa sarebbe stato il solito scambio di cibi etnici, magliette, strette di mano, dibattiti sul razzismo, danze folcloriche – e se con la poesia si riesce a “rompere”…

    ora, dico questo non per sbrodolarmi addosso, mi sembra evidente che se il fine è far crescere una cultura della diffusione e valorizzazione della produzione poetica contemporanea e non, bisogna mettere in comune quante più possibili esperienze che abbiano prodotto un certo impatto, e comincio col raccontare la mia (non basta lamentarsi degli organizzatori che non investono in promozione, ho visto anche esperienze in cui META’ del budget era investito in comunicazione, ma arrivavano lo stesso da 7 a 15 spettatori, bisogna anche insegnare a volte agli organizzatori come canalizzare un evento) (ho visto anche bibliotecari che, dopo un immane lavoro di “cucito” tra i loro utenti, mettono in piedi serate poetiche con pochi posti rimasti vuoti e con quattro euro di fotocopie e di buffet casereccio) (ho visto anche eventi in cui Rigoni Stern veniva ottimamente letto a 30 spettatori in un grande teatro, dove 30 scompaiono, e 25 di loro si compravano un libro dell’autore prima di rincasare) (ho visto…) (hmm… sto iniziando a scrivere come un beat…) (taccio)


    Mario

    RispondiElimina
  5. Con la mia biblioteca comunale stiamo tentando la strada del salotto vecchio stampo. Giovedì scorso ho fatto una serata in una casa privata, aperta a tutti ma su prenotazione, c'erano una dozzina di persone ma quello era anche il numero giusto. E' stata una serata piacevolissima, con molte discussioni, e sono convinto rivedrò quasi tutti e qualcuno di più questo giovedì, quando ci sarà Antonella Sbuelz.
    12 è più di quel che era capitato in un paio di serate di "Libri al bar", tentativo apparentemente più popolare ma praticamente tanto elitario da trovarci quasi soli.

    RispondiElimina
  6. @ Fabiano: complimenti, intanto, per la tua avventura statunitense. ptobabilmente in USA le cose sono più facili sotto questo aspetto, ma, come dici tu, ci vogliono professionisti anche ad organizzare gli eventi. no nbasta la buona volontà.

    @ Giacomo: vedo che abbiamo lastessa opinione. Grazie per averla sostenuta.

    @ Silvia: io preferisco l'incontro con il poeta singolo. Raramente ci si annoia. Quando invece tanti leggono, diventa una routine che ci privi del contatto autento con l'autore e inoltre, spesso, vale più la performace che l'opera. E qui mi collego con quanto dice Mario, autorevolissimo nel chiamare in causa sinergie e multimedialità. rimane però il fatto, come tu dici, che ad organizzare tutto ciò, sia un professionista con portafoglio.

    @vdm: l'esperienza del salotto l'ho fatto anch'io e mi sono divertito molto a leggere in casa di amici, con una decina di partecipanti interessati. In effetti, anche il contesto conta. forse la poesia dovrebbe essere letta in spazi piccoli, cos' da poter conversare familiarmente, guardandosi negli occhi.

    RispondiElimina
  7. aggiungo anche io una piccola esperienza, se vuoi simile a quella di Fabiano.
    sono appena tornato da bratislava, da un festival dove ad ogni serata c'erano un centinaio di persone, per ascoltare letture in una lingua straniera. bè, all'estero sembra il paese delle favole...però:

    anche all'estero mi è capitato di leggere davanti a cinque persone in un luogo che avrebbe dovuto essere importante;

    è vero ciò che dice Fabiano e condividiamo tutti, bisogna pubblicizzare e probabilmente ancora di più crearsi un pubblico, abituarlo, pur sapendo che si sarà comunque e sempre di nicchia. ma almeno un poco ci siamo cacciati da soli in questa situazione, mi pare: forse si deve lavorare per cambiare la percezione stessa che si ha della poesia, a partire dalle scuole in poi. e lo dico incolpandomi per primo, dato che scuola ci lavoro...

    un caro saluto a vincenzo, uno dei personaggi più coerenti e sinceri che io abbia conosciuto in questo ambiente.
    ed al padrone di casa.

    ciao
    francesco t.

    RispondiElimina
  8. A schio, come qualcuno di voi sa, facciamo da 6 anni la rassegna "poesia/poesie". la media degl ispettatori è di 30. non male, anche se ultimamente il pubblico è un po' calato, perchè il comune non ha sostenuto abbastanza l'evento (es: non si può tenere la sala a 18 gradi: gli anziani se ne vanno, maledendo noi e la poesia).
    Quest'anno si ricomincia in gennaio, probabilmente: insisteremo per avere un locale ben riscaldato, con un buon impianto voci e una buona illuminazione. vi saprò dire.

    sulla scuola: il 6 novembre, con Alpe-Adria, sarò alla fiera di padova: una sala per incontrare gli studenti. ci saranno poeti balcanici, friulani e veneti. Il progetto è complesso, vi saprò dire anche su questo.

    ciao Francecso, grazie per avermi fatto capire che VDM è Vincenzo Della Mea. A volte dormo! :-)

    RispondiElimina
  9. i narratori/attori dell'ex FIAT Teatro Settimo hanno iniziato il loro progetto sul teatro di narrazione proprio girando di casa in casa (già negli anni '80 se non ricordo male) - la Curino, la Giagnoni, Allegri... credo anche Marco Paolini, per un periodo, ma dovrei informarmi meglio, comunque faceva parte di quel formidabile gruppo capitanato dal buon Vacis - oggi ognuno di loro riempie i teatri...

    be', andrò con le vostre informazioni, Vincenzo e Stefano, dalla direttrice della locale biblioteca...

    ;-)

    RispondiElimina
  10. Mario, lo sai che Paolini e Vacis sono stati i consulenti per il recupero del teatro civico di Schio?

    Barcamp? non è troppo dispersivo? in ogni caso, ribadisco lì'idea che ognuno deve fare il mestiere che ha scelto (quando può farlo): ai poeti la poesia, agli organizzatori di eventi, il resto. meglio poche cose ma incisive.

    gugl

    RispondiElimina
  11. anche io sono d'accordo che il marketing vada lasciato a chi lo fa di mestiere. nonostante tante volte si debba fare di necessità virtù. ed è una cosa che sopporto a fatica.

    quando parlo di noia non mi riferisco solo ad un certo tipo di incontri, anzi! così come credo le rassegne che mettono al centro esclusivamente la performance siano molto lontane dalla mia idea di incontro tra la poesia e i lettori.

    ed è proprio questo il punto, secondo me, ciò che si offre. ribadisco.
    troppo spesso martoriamo/martoriano le persone venute ad ascoltare poesia con prodotti, eventi, conferenze che li allontanano, dalla poesia.
    penso a certe maratone poetiche a cui ho assistito e che mi hanno lasciata sfinita. la poesia, dice la mia ex, è come la pappa reale: se costringi gli altri ad ingurgitarne troppa non fa certo bene...

    incontrare un poeta che mi piace, sentirlo leggere i suoi testi, parlare con lui. è una delle cose che preferisco.
    s.

    RispondiElimina
  12. sei anche tu, dunque, per incontri con un poeta, magari bravo, magari simpatico. l'atmosfera che si crea è tutta un'altra cosa rispetto alle letture-fiume. ripeto: condivido in pieno.

    ciò si può fare anche in luogo pubblico, pagando il giusto affinché il poeta sia valorizzanto a tutto tondo.

    gugl

    RispondiElimina
  13. senza anadare negli USA, mai stati al PoesiaFestival dell'Unione Terre dei Castelli di Modena? Bè, andateci, è un'esperienza: incontri con i poeti, pubblico di tutte le generazioni, libri, ecc. E c'è pure la piadina con i ciccioli (anche Fantuzzi quest'estate ha fatto una cosa poetico-gastronomica con il comune di S.Pietro, e la gentec'era). Certo, ci vuol tempo e strategia (e schei). Ciao, GTZ

    RispondiElimina
  14. Schei, soldi, cash.
    Appunto.
    Troppo spesso si cerca di organizzare le cose alla buona "in famiglia". Mi spiace, ma non funziona cosi.
    O si hanno risorse oppure si lascia stare.
    Oppure si tenta la lettura fiume, con 25 autori e quei 25 sono -di fatto- il pubblico.

    Fabiano Alborghetti

    RispondiElimina
  15. i poeti non ascoltano gli altri poeti. aspettano solo il porprio turno per leggere e andare via. di solito è così.

    gugl

    RispondiElimina
  16. io spero che il mondo della poesia non si limiti all'ascolto dei poeti :)

    fesserie a parte, il festival mio a castel san pietro terme ha 1/100 del budget del festival di modena. e alcune decisioni loro sono opinabili, come poi sono anche io quando finisco a ciccioli e sangiovese. è chiaro che il mio interesse non è che ci si ascolti tra poeti lì, ma che i neofiti ascoltino la poesia contemporanea.
    dopo 5 anni di media sono più di 200 persone a lettura. numero certamente drogato dalle mangiate colossali che si fanno. ma con la pancia piena si pippano 3 ore di poesia senza colpo ferire.
    per il resto concordo. la poesia va proposta. i poeti non sono il target della poesia. bisogna fare tanto sul dialogo e sul rispetto altrui. in sostanza sull'ascolto.

    matteo fantuzzi.

    RispondiElimina
  17. fulmineamente mi vien da pensare a quante volte mi son detta :"questo/a qui si prende troppo sul serio...".
    ecco.
    (mi riferisco ai poeti nel pieno orgasmo delle loro performances...)
    s.

    RispondiElimina
  18. vedi che a parlarsi...

    teatro e cibo sono ormai un classico, ma poesia e cibo non ci avevo mai pensato

    ma anche senza cibo

    quest'estate in piazza a Gorgonzola, Poesie da Mare (con rispetto parlando...) con bellissimi video di due bravi documentaristi, montati verso per verso sulle poesie che gli avevo indicato, sghei (a Berghem se dis i sghei, mia i schei) non tanti ma quanto basta, un'assistenza tecnica di prim'ordine (curata da un dipendente dell'Ufficio Tecnico Comunale!!!) - c'erano 60 sedie, più svariate panchine e un sacco di gente in piedi - davvero non me l'aspettavo, è che la gente ha una grande voglia di poesia (una delle serate più riuscite dell'estate di Gorgonzola, secondo gli organizzatori) - mai sottovalutare il pubblico!




    se poi tanti poeti non ascoltano o non leggono... cazzi loro

    Mario

    RispondiElimina
  19. caro Mario, però la cosa che racconti si è svolta a Gorgonzola: un nome, un programma :-)
    Ha dunque ragione Matteo ad abbinare cuore e stomaco, cervello e dentiera? io direi che si può fare così, che questa è una ricetta (per restare in tema). Anzi due: cibo e immagine. musica. o scenari da favola. In ogni caso, ci vuole lo zuccherino affinché la medicina sia presa? a quanto pare, A Silvia - e nemmeno a me - non piace nemmeno la medicina con troppe bollicine.

    io ribadisco l'idea di partenza: meno eventi e più sostenuti. Evitando le maratone dove chiunque può mettere in mostra le mutande in rima. il curriculum sia un criterio di selezione. L'entusiasmo non basti. l'istrionismo nemmeno.

    gugl

    RispondiElimina
  20. attenzione agli abbinamenti..
    Il rischio è di vedere eventi culturali (in primis la poesia) esclusiovamente esistenzi in concomitanza della sagra della porchetta o il festival dell'uva.
    O i reading affollati solo se c'è l'aperitivo offerto.

    Il rischio vero è abituare la gente ad avere qualcosa in cambio e nel modo sbagliato: non vanno ad assistere alla poesia e poi, vabé, c'è anche l'aperitivo ma il contrario...


    Concordo con Gugl: meno eventi e piu sostenuti (e piu contenuto, anche)

    Fabiano Alborghetti

    RispondiElimina
  21. ben detto, gugl!

    non voglio dire che la poesia si possa condividere solo in un certo modo, ma la mia esperienza personale (sia quando parte del pubblico sia che quando mi sono trovata ad affrontarlo) mi ha portato a pensare che la spettacolarizzazione nuoce alle parole. alla fine sono quelle, che dovrebbero arrivare. le parole, le poesie.(sono una fan del libro di carta...)
    e quando vado ad ascoltare un/a poeta che legge i suoi versi, quello che voglio è proprio sentire la sua voce, come li legge lui/lei, come li sente...

    se il pubblico va agli incontri attirato da tutto quello che c'è intorno, mi chiedo, cosa sente? cosa gli arriva?
    e con questo non voglio nulla togliere alla poesia performativa, o ad eventi che uniscono arti differenti...anzi. solo, mi vien da dire, corrono il rischio di distoglirci dal testo, dalle parole, che è poi quello su cui ci accaniamo, noi poeti.
    (ricordo un'amica che, dopo essere stata folgorata da una performance di una poetesse comprò il libro. e ne rimase delusa, perchè le parole scritte le sembravano "brutte"...)
    s.

    RispondiElimina
  22. l'importante è la voce del poeta, sono d'accordo. Per esempio, sentire leggere Giuliano Mesa è una grande emozione. Forse altri poeti (io ocmpreso) dovrebbero/dovremmo esercitarsi/ci di più.

    A me piace anche quando legge un attore che non esaspera l'intenzione del poeta, ma semmai la placa, la rende più tollerabile all'orecchio nuovo dell'ascoltatore.
    Insomma, benvengano poeti e attori che leggono, ma davanti ad un pubblico motivato da una intelligente spinta pubblicitaria.

    gugl

    RispondiElimina
  23. (ah... Stefano, conosci Franco Gàlato di Gorgonzola?

    be', in ogni caso per loro l'evento di quest'estate è stato un'eccezione, quanto a presenze di spettatori, di solito in biblioteca ne hanno molti meno)


    da sostenitore del metodo "sinergico" sono d'accordo con te, Fabiano, sul fatto che non se ne possa però fare una questione "salamelle e poeti"

    tuttavia concorderete che dove sono nati i reading poetici, fondati su di una ben precisa poetica (e non negli anni Sessanta in USA, prima, già nel 1952 nel primo happening al Black Mountain College c'era il rettore a leggere i suoi testi, il grande poeta Charles Olson, accanto a musicisti come John Cage e David Tudor, proiezioni e installazioni di Bob Rauschenberg, assoli di danza di Merce Cunningham...), insomma non hanno fatto terra bruciata! ma nemmeno quadruplicato le vendite di libri di poesia... però tagliare corto mi lascia perplesso se alla lunga porta a diminuire anziché accrescere le diverse opportunità di accostarsi alla poesia

    dovrei recuperare un video che avevo usato anni fa in un liceo, con giovani poeti americani che performavano i propri testi alternando sapientemente immagini a parole... vabbe'...

    sono d'accordo con te Silvia, anche a me è capitato una volta di ascoltare un poeta declamare suoi versi e trovarli molto intriganti, per poi avere una grande delusione nel leggerli su carta (e inoltre avevano una punteggiatura scadente!), ma anche al contrario ascoltare poeti o attori la cui voce mi ha facilitato (quando da ragazzo ancora non ero allenato a farlo) il compito magari non facile di accedere ai certi tesori

    ripeto, generalizzare può portare in scorciatoie che, tagliando giù per il bosco, possono anche portare sopra strapiombi che gli altri sentieri invece conoscevano

    la questione del "meno eventi ma più sostenuti" è la politica che sta ispirando il lavoro che da qualche tempo sto portando avanti (anch'io voglio un manager che mi curi! ma non se ne trovano!) con una biblioteca, con il grande appoggio della direttrice e ovviamente le perplessità dell'assessore...

    rimango però sostenitore del metodo sperimentale, le ricette che sembrano funzionare sulla carta per la loro forza logica intrinseca sono l'oggetto costante dei miei dubbi

    [qualche anno fa, con Angelo Chirico, direttore del teatro dove lavoro, un grande che ha portato un piccolo teatro di provincia a numeri di eccellenza sul piano nazionale, ragionando sul motto: "crea il tuo cartellone di successo, ecco le regole primarie" si concludeva che, da qualunque parte la giri, alla fine il fattore dell'imponderabilità nell'organizzazione di eventi culturali è sempre talmente elevato da impedire di fatto di poterla pensare come una scienza] [se il tema è appunto "poeti senza pubblico"...] [se invece è "poeti senza lettori", allora si ragiona sul rapporto fra il poeta e il lettore all'interno del mercato librario *tout court*, senza sagre, performance, multimedialità e quant'altro... che forse anche lì la regola "meno libri ma più sostenuti" vada caldeggiata?] [per me il punto, e me ne convincevo rileggendo di recente Adorno, è che manca ancora una seria e ragionata estetica delle pratiche artistiche socialmente diffuse, il "pochi ma buoni" rischia di risultare inapplicabile dentro una di fatto costante espansione di pratiche creative che producono tonnellate di libri, CD, DVD, serate...]

    Mario

    RispondiElimina
  24. non conosco Galato, ma sarà senz'altro una persona interessante, se lo nomini.

    "pochi ma buoni" ha i suoi rischi, hai ragione, ma anche "tutti comunque" non funziona.

    l'epoca della black mountain e del beat è stata unica e irripetibile (e anche molto americana: chi è il nostro whitman? manzoni?)

    come dice il direttore del teatro dove lavori, ci vuole un'offerta valida e continua. Gli eventi estemporanei (come i premi letterari che pullulano sul territorio) sono dannosi.

    gugl

    RispondiElimina
  25. Sì, VDM sono io (cioè Vincenzo).
    Comunque non ho letto in casa di amici: a parte l'assessore alla cultura e il presidente della commissione biblioteca non conoscevo nessuno.
    Leggere in casa propria lo abbiamo fatto a lungo, con un gruppo (Librarsi - Letture che sollevano) che poi ha cominciato anche a fare letture in pubblico. Erano letture di tutti per tutti, non di propri testi (non solo poesia). Ci davamo un tema e ci trovavamo la domenica pomeriggio con delle sorprese da leggere per gli altri.
    Era molto bello.
    Comunque il mio scrivere succede per ragioni e vie che non c'entrano molto con la sua "distribuzione". Mi tocca scrivere; posso scegliere di leggere in pubblico, pubblicare , ecc. Io personalmente oscillo continuamente tra il pensare che sia meglio cercare di fare, divulgare (ed allora sono convinto bisogna investire soprattutto nell'ufficio stampa) ed il pensare che non c'entra niente. Ma niente talebanesimo a questo proposito...

    RispondiElimina
  26. la scrittura è la scrittura (lo dice anche Derrida). la lettura pubblica è un'altra cosa.

    Giusto: niente talebanesimo. professionismo sì, però.

    ciao!
    gugl

    RispondiElimina
  27. scusa Stefano!!!
    non avevo capito il senso della tua frase su Gorgonzola, inteso come il prodotto tipico di quella cittadina!

    Gàlato, direttore della locale biblioteca, oltre che poeta (ma che non ho avuto ancora la fortuna di leggere) e promotore di poesia, anni e anni fa si trovò da solo su di una piazza di un paesotto di provincia, mi raccontano amici comuni, a declamare poeti beat e dintorni senza un cane che lo ascoltasse - ma lo fece lo stesso... surreale... eppure... come diceva l'estetologo Francesco Piselli: "i Bronzi di Riace sono belli dal momento che li abbiamo sottratti al mare, o erano belli anche prima, quando nessuno ne poteva godere la bellezza?"


    quando scrivi: "Gli eventi estemporanei (come i premi letterari che pullulano sul territorio) sono dannosi", oltre a sottoscrivere appieno, penso a chi, per scoprire altri Bronzi di Riace (perché, rispondendo a Piselli, la bellezza è anche aspirare alla bellezza che non si può percepire) si mettesse a dragare palmo a palmo fondali marini... sì, alla fine rischia davvero di non rimanere più nulla! ma come fare a spiegarglielo?

    Mario

    RispondiElimina
  28. bella la domanda sui bronzi di riace: esiste il mondo indipendentemente da chi lo guarda? e, anche se esistesse, ha una valenza intrinsecamente estetica?

    e i poeti sommersi, esistono indipendentemente dagli occhi che li leggerebbero? ma esiste l'essenza "poeta"? o esiste un sistema di relazioni entro il quale quella funzione (o ruolo) acquista un senso? Che cos'è un poeta che non abbia mai avuto un pubblico? può dirsi ancora "poeta"?

    io sono un bambino che piange...

    gugl

    RispondiElimina
  29. Vorrei aggiungere qualcosa:
    in effetti parte degli interventi della presentazione romana, alla Vallicelliana, dell'antologia di LiberInVersi, ruotavano intorno al pubblico della poesia e le capacità "attrattive" che la poesia oggi, in questa realtà sociale, possiede.
    Sono state fatte varie ipotesi e si è parlato molto, per quel che si poteva parlare in un paio d'ore.
    Ne è venuto fuori che non solo la poesia da sola è oggi incapace di attrarre - ma ha sempre bisogno di un sostegno -; quel che serve è che sia comunicata diversamente nelle scuole, che occorre pubblicare di meno, che sia vista dalle istituzioni non come un corpo estraneo e marginale, che bisogna abituare all'ascolto, che bisogna rifondare una dimensione critica di lettura della realtà tramite la poesia, che forse bisogna cambiare... i valori della società, le regole dell'economia e la classe politica.

    voc

    RispondiElimina
  30. "datemi un mondo migliore e vi solleverò la poesia": ci vorrebbe un nuovo archimede :-)

    gugl

    RispondiElimina
  31. temo che se fossimo socialmente più 'importanti' i nostri garanti del potere costituito non so se ci lascerebbero tanto andare in giro a declamare. per natura (cultura?) mi sono sentito sempre più vicino ai pochi, a quelli che stavano/stanno in un angolo... e se ci sono 6 persone che sono venute a sentirti/ci bisogna dimostragli un po' di rispetto e 'fare' la nostra parte (a ognuno la sua). a Madrid a volte ci sono fiumane di persone a sentir leggere un poeta, e allora? cosa cambia? la maggioranza sono lì perché poi c'è il vino, o gli firmano il libro, o perché è più caldo che in strada...
    la poesia entra se sei disposto alla sua entrata.

    un abbraccio

    alessandro ghignoli

    RispondiElimina
  32. sì hai ragione. ma il rispetto delle 6 persone c'è, non ti preoccupare.

    ciao!
    gugl

    RispondiElimina
  33. Da navigatore della domenica (mi spiace se ci riesco poco)e senza voler fare prediche ridicole da vecchio saggio, perché la misura con la realtà mette tutti sullo stesso piano, a mani e culo nudi, colgo tanti pezzetti di verità in tutti, con riscontri positivi e negativi che ho provato anch’io, dopo anni ed esperienze accumulate con Milanocosa e no: ricerca di sinergie (tra ambiti e linguaggi diversi, dna di Milanocosa); pochi ma buoni o tutti dentro, per vedere in quali casi era favorito il meglio. Il peggio però, degli atteggiamenti e comportamenti di coloro (poetanti, artisti, musicisti ecc.) che, come avete rilevato, adorano solo se stessi, emergeva sempre.
    Ricordo che anche con la Carovana del 2003 (il tema era la guerra) arrivavano per porgere i loro superbi versi e scappavano. I puri, quelli della poesia che deve essere libera e al di sopra, erano (e sono) i peggiori. All’inizio dicevano no, non mi interessa, poi, quando l’iniziativa ebbe l’enorme successo che ebbe (con 25 città e migliaia di persone coinvolte), molti ritornarono chiedendo di aderire. Ad alcuni, che avevano usato i toni più sprezzanti dissi di no, facendomi qualche nemico ma pazienza.
    A tante altre esperienze ha partecipato come socio attivo anche Fabiano e può dire quanto era (ed è) facile, dopo essere stati con la lingua fuori a fare autentici miracoli (di pubblico e di qualità) con pochi mezzi, trovare lamentele di qualcuno che, senza dare alcunché, si riteneva poco evidenziato.

    Io non sputo nemmeno, anche se non l’ho mai usati, su aperitivi e salsicce, se fossi convinto della loro utilità. Non nell’immediato, intendo, ma nell’aggregare qualcosa che tenda a cambiare modalità di essere che sono alla base dell’insieme dei problemi che avete dibattuto. L’ho scritto in vari interventi, su riviste cartacee e del web. È questo il nocciolo profondo (quell’arroganza o hybris occidentale, fondata dalle e nelle separatezze, che vorrebbe educare dimenticando di educare se stessa)che non è ininfluente sulla produzione di testi, che dicono dalla prima riga che non glie ne frega niente di parlare a qualcuno. E allora puoi anche trovare soldi e professionisti della promozione che ti portano invece di 7, 70 o 700 persone. Non verrebbe risolto il problema della distanza (immedicata) e noia (complimenti a Silvia di averlo detto): alla volta successiva, se non hanno fatto propri e abitati i versi proposti, gireranno alla larga, comunque. Molti poeti (anche di lungo corso) sono ormai assuefatti a tale condizione e quando parlo di co-abitazione, condivisione, comunicazione (nel senso di Porta, di mettere in comune) mi guardano come fossi un marziano, per loro ormai va bene così, la poesia è e deve restare appartata, ininfluente e di nicchia, non deve comunicare, deve rimanere un seme sotto ghiaccio succeda quel che succeda.
    Io domando a volte: ma ve li immaginate dei cinematografari che facessero film visti solo da altri addetti?
    Pensare alla poesia come un soggetto (come diceva Gramigna) per me vuol dire che fino a quando rimane un seme che parla solo con se stesso, che non parla e si scambia con l’Altro (quello vero, cioè un pubblico di non addetti, che è imprescindibile per la determinazione sia di criteri di qualità, sia del senso di ciò che ognuno fa, qualunque cosa faccia), semplicemente non è, vale un fico secco. Se vogliamo fare un esempio in termini economici o biologici, rimane un plusvalore non realizzato, un prodotto non venduto, un alimento potenziale. A molti (quelli che concepiscono la poesia e l’arte come sollazzo di sé) sta bene così, a me no.

    Contribuiscono a lasciare com’è e a replicare acriticamente questa c.d. realtà liquida, per dirla alla Baumann, ma perché crea barriere nel territorio e blocchi nello stomaco? Non di tutti, ovviamente, di quelli che sono liberi di subirla, o al massimo di creare bollicine evanescenti e disgregate di io-io.
    La pianto qui e scusate le chiacchiere, che non danno risposte sul che fare, che possono nascere solo dal pensare, insieme, sulla situazione (dentro e fuori le carte) in cui siamo. Bene perciò ha fatto Stefano a porlo e gli faccio i miei complimenti.
    Adam

    RispondiElimina
  34. il problema è il pubblico? la sua assenza/essenza? a me sembra che il problema sia che molti poeti non sono poeti. narciso è sempre lì, dietro l'angolo a reclamare il suo spazio.

    un abbraccio

    alessandro ghignoli

    RispondiElimina
  35. Caro Adam, se ricordi (e te lo scrissi in privato), io non venni alle letture mondiali e carovaniere e non cambiai idea nemmeno quando ci fu la calca.
    L'esibizione sfrontata di sé, come dici tu, nuoce alla poesia.

    sul secondo aspetto, se ne discute da tempo: poesia e comunicatività sono due termini che s'intrecciano in tanti modi. Io penso: se la poetica decide è un bene; se decide narciso è un male. talvolta, come dice Alessandro, il poeta comunicativo è un narciso mascherato da versificatore. Naturalmente non è il tuo caso.

    un caro abbraccio ad entrambi.

    gugl

    RispondiElimina
  36. il pubblico si educa accompagnando versi in giro, catturando attenzione non pretendola...è il nostro modo di partecipare che va messo in discussione, pubblicizzare un non mercato è un ossimoro, il prodotto vendibile è suscettibile alla reclamizzazione, il resto no. I responsabili dell'assenza di pubblico siamo noi, nella supponenza,nei circolini e quant'altro è lo spirito che anima e deve animare le manifestazioni e gli incontri ed è questo che latita, null'altro
    un caro saluto
    alessandro assiri

    RispondiElimina
  37. caro Alessandro, unaparte di responsabilità ce l'abbiamo anche noi (che non cerchiamo il contatto ocn il pubblico, bensì esibiamo la nostra paranoia), tuttavia un evento è qualcosa di complesso, che esula dalla qualità del cibo messo sul piatto. Gli organizzatori, in questo senso, hanno dei doveri: non basta mettere a disposizione una sala o mandare delle e-mail. l'evento va preparato, guidato. l'evento non è un fatto che accade, bensì un fatto straordinario da cui è un peccato mancare.

    grazie per il commento.

    gugl

    RispondiElimina
  38. Credo solo caro Stefano, che non si possa più educare alla poesia in una sorta di pubblicità progresso:) ma si possa solo avvicinare e in questo avvicinamento il poeta è chiamato a una responsabilità. Nessuna improvvisazione poi giova all'evento che come giustamente sottolinei, dovrebbe accadere e non succedere
    un caro saluto alessandro assiri

    RispondiElimina
  39. ognuno deve fare la sua parte, sono d'accordo. anche l'amministrazione pubblica.

    ciao!
    gugl

    RispondiElimina
  40. beh, che si fa con tutto quello che ci siam detti/e grazie a questo post?

    a me, per esempio, è venuta l'idea di cercare uno sponsor. una casa vinicola o produttrice di birra. offrire da bere per ringraziare chi m'è venuto ad ascoltare mi sembra il minimo...
    :)
    s.

    RispondiElimina
  41. sì, potresti spedire un regalino a tutti i tuoi lettori: una bella fetta di prosciutto qualora qualcuno dubiti che le tue poesie non abbiamo un contenuto :-)))

    RispondiElimina
  42. non ho firmato (il cibo mi fa girare la testa)

    gugl

    RispondiElimina
  43. bel post!
    molto interessante.
    ora lo rileggo e ci penso...
    ciao,
    red

    RispondiElimina
  44. Sono un pò in ritardo... un mese e più dall'ultimo commento... ma ho trovato interessante gli interventi e mi fa piacere intervenire, raccontando la mia esperienza.
    Ad Avellino, qualche anno fa, con degli amici, abbiamo organizzato delle serate di poesia nei locali, abbiamo fissato un giorno, il giovedì e, con pubblico o senza, siamo stati lì a far leggere i poeti, intervallati, una volta al mese da un performance di teatro sperimentale (da spoon river ad altro, anche meno attinente al testo poetico).
    Il locale era raccolto, ci andavano non più di 35 persone, ma qualche volta siamo arrivati a 40-50 (alcuni dopo un pò andavano via per il caldo, nonostante fosse gennaio). Ma ci sono state anche serate dove oltre ai poeti invitati (4 per sera) c'erano alcuni loro amici (rari) e giusto una paio di coppie che ascoltavano. Comunque l'appuntamento fisso era diventato un modo diverso per passare il giovedì sera. Le letture erano essenziali (5-6 poesie ognuno) e dopo le letture il pubblico poteva porre delle domande, a volte eravamo noi stessi a creare degli spunto di discussione per far esprimere i poeti intervenuti.
    Tutti autori non lontani più di 40 km da qui perché i nostri fondi consistevano nell’invito al locale di ospitare a cena (una cena frugale) i poeti. Gli ascoltatori mangiavano, bevevano e pagavano. O ascoltavano soltanto senza obbligo di ingresso. Quando leggevano i poeti c’era il silenzio assoluto, qualcuno al massimo gustava un bicchiere di vino, senza disturbare. I poeti che funzionavano meglio erano quelli che non leggevano moltissimo, erano chiari e gradevoli, anche con un pizzico di simpatia. La cosa era ben pubblicizzata su quotidiani locali e locandine in giro, ma anche con mail a tappeto. Da parte nostra solo lo spirito di servilismo poetico, e il piacere di incontrare degli amici trascorrendo una serata diversa. C'era un buon seguito. Abbiamo ripetuto la cosa di un altro posto ancora più accogliente, ma lontano dal centro abitato, un agriturismo con una bella mansarda, dove si leggeva dopo cena, anche qui senza obbligo di chi veniva di cenare per forza. Ma qui non c'era mai troppa gente, pochissimi seguivano la cosa, tranne le serate teatrali. In quel caso ai poeti ospitati era garantita una vera cena e pernottamento a chi veniva da più lontano e i poeti a serata erano 6, quindi quelle 15-20 persone le avevamo comunque. In una sala da the abbiamo anche organizzato, successivamente, degli incontri con gli autori, uno presentava e poneva domande e il poeta si raccontava e leggeva. Discreta la cosa, la domenica pomeriggio, ma spesso, come accade, erano amici dei poeti, rigorosamente del posto perché in tal caso funzionava il passavoce. Per chiudere, da queste esperienze va da dire che abbinare il relax del cibo o del bere alla lettura, funziona, solo non occorre essere troppo lunghi nei tempi di letture e troppo numerosi. Anche nel presentare i poeti, chi li presenta non deve andare oltre i 10 minuti e non deve essere troppo tecnico, se si vuole presentare la poesia in spazi pubblici come questi. La poesia diventa un’alternativa alla buona musica, solo che la musica sovrasta la voce e tra un pezzo e l’altro o durante si può anche chiacchierare con gli amici, con la poesia si crea comunque un dialogo tra il poeta e il suo ascoltatore. Quindi tale dialogo non può andare oltre poche poesie, anche perché chi esce in un locale la sera, vuole assistere a qualcosa, ma vuole anche passare un po’ del suo tempo con gli amici con cui è uscito. Se si da una data fissa, infine, si crea quel piccolo pubblico curioso e interessato ed è la cosa migliore per il poeta che legge. Ultima cosa, quasi tutti i “poeti” della provincia coinvolti alle serate non si sono degnati di ritornare in altre serate dove non erano protagonisti, conferma che chi ama la poesia non sempre la scrive.
    Infine, personalmente, ho dato delle indicazioni a persone che hanno cercato di riproporre incontri simili, curando questi eventi, ossia dare almeno ospitalità e dignità al poeta, altimenti è meglio stare a casa a leggere un bel libro quella sera.
    Domenico Cipriano
    www.domenicocipriano.it

    RispondiElimina