Scrive Antonio Errico: “Questo era per Toma la poesia. Non era il salotto della vecchia o nuova borghesia finto-intellettuale, i gruppi mascherati da poeti, il bitter con le olive al bar del centro, il libro come tessera dell’exclusive club. Era solitudine, bere solitario, un gioco di dadi, l’azzardo, lo stupore, il conoscere cose orrende, meravigliose, senza fondo; ed era l’ironico dire di sé “a Great Poet”, la consapevolezza triste che poeti si nasce e a volte non si finisce. [...] Quando Toma morì corse voce di un suicidio. Perché sembrava un gesto naturale, la fedeltà ad un’idea, la conclusione perfetta di una poesia. Il personaggio si prestava a questa voce. Le sue radicalità esistenziali, le roventi sue dichiarazioni di poetica, quel suo scrivere il senso del vivere con parole vere, crude, essenziali, senza mascheramenti, senza paure per la verità che gli si denudava davanti impietosa e impudica, davano una concretezza, una fisicità a questa voce. Di suicidio parla anche Maria Corti nell’introduzione al Canzoniere della morte, l’antologia pubblicata da Einaudi nel novantanove. Ma Salvatore Toma non si è suicidato [...] è morto per lo squarcio che l’alcool gli aveva aperto nel corpo.”
Ultima lettera di un suicida modello
A questo punto
cercate di non rompermi i coglioni
anche da morto.
È un innato modo di fare
questo mio non accettare
di esistere.
Non state a riesumarmi dunque
con la forza delle vostre certezze
o piuttosto a giustificarvi
che chi s'ammazza è un vigliacco:
a creare progettare ed approvare
la propria morte ci vuole coraggio!
Ci vuole il tempo
che a voi fa paura.
Farsi fuori è un modo di vivere
finalmente a modo proprio
a modo vero.
Perciò non state ad inventarvi
fandonie psicologiche
sul mio conto o crisi esistenziali
da manie di persecuzione
per motivi di comodo
e di non colpevolezza.
Ci rivedremo
ci rivedremo senz'altro
e ne riparleremo...
Addio bastardi maledetti
vermi immondi
addio noiosi assassini.
(a scanso di equivoci vorrei rassicurare gli amici: va tutto bene :-)
meno male :-))) forte la poesia! ciao antonella
RispondiEliminaStupore, silenzio, solitudine e azzardo: la poesia vera nasce, vive e cresce tra queste quattro pareti. E non ne evade, non può. Perché è lì che si consuma il rito con cui dà voce all'inespresso, a ciò che non ha forma. E ciò che non ha forma è già un grido levato contro ogni rappresentazione omologante e consolatoria.
RispondiEliminafm
questo che dici, Francesco, è il paradosso della poesia: per essere felicemente libera deve far fruttificare le 4 pareti chiuse nelle quali cresce.
RispondiEliminaciao anto, buona giornata.
forse il poetico, quando è autentico, vince sulla forza della vita, anche quando è autentica
RispondiEliminabeh, leggo poi la nota agli amici...tanto bene non andava in direzione di un simulato suicidio letterario, se si è ucciso bevendo...
RispondiEliminaun mio carissimo amico fraterno, poeta di Salerno, si è suicidato una notte di agosto del 2000, senza lasciare nulla, dopo tanto scrivere, tanta passione disperata ...nessuna lettera o poesia. Mi ha fatto male questa poesia....Daniele (Medici) amava la vita...e gli altri. Mai aveva espresso pensieri suicidi prima, nessuno lo avrebbe mai sospettato...Siamo stati molto male noi amici per non essercene accorti...
erminia
Canto di periferia
RispondiElimina(di Daniele Medici)
Ed ora ascoltate con me
questo dolcissimo canto
che proviene
da remote vastità
vicoli lontani
spersi nei meandri bui
di periferia.
Note malinconiche
una voce di donna
diffonde nella notte
l’eco di un’infelicità
senza luogo
senza tempo un po’ più lontano
il rumore del mare.
Questa voce giunge di là
da quel vicolo buio di periferia
dove oltre una siepe
brilla solitaria una luce
e una puttana
per attirare i clienti
suona il piano.
il sucidio è sempre un gesto inspiegabile. morire di alcool, secondo me, non è un suicidio, ma un cammino che si nega lo sguardo al futuro e sceglie lo stordimento dle presente. il suicidio, invece, punta dritto lo sguardo al momento in cui tutto finirà. E il presente è lucido, demoniaco.
RispondiEliminagrazie Erminia per aver ricordato un tuo amico.
ah, la nota agli amici è mia, nel caso qualcuno si preoccupasse del post.
RispondiEliminaah, Stefano, la nota è tua..., adesso comprendo. avevo ritenuto fosse un appendice al testo dell'autore....qualcosa cambia, allora. Viene a mancare quell'ironia che avevo visto nella nota, che avevo dunque attribuito al poeta e che rendeva troppo premeditato il tema della poesia. (erminia)
RispondiEliminaquando il mia mico si è suicidato, ho avuto un mese di paranoia, perchè la mia mente non accettava di essere venuta a conoscenza del modo orrendo con cui si era tolto la vita. lamiamente vacillava nell'immagianre l'attimo. sono stata sul punto di crollare...poi ho saluto che altri due amici stretti di Daniele e miei (eravamo un gruppo che cercava di stargli vicino per affetto e per responsabilità civile, data la sua condizione) hanno avuto per un intero mese e più lo stesso disagio psicologico grave a seguito del suo suicidio. vorrei sperare che Daniele non abbia inteso punirmici per non essergli stati abbastanza accanto. Io comunque ero a Oxford da anni, ma lui mi mandava lettere in inglese (inglese che stava appena apprendendo da autodidatta) e anche i volumi successivi di poesie autoprodotti.
RispondiEliminaComunque, ecco un'altra bellissima poesia di Daniele Medici dedicata all'unica donna che avesse mai amato, e che mai lo ricambiò (quando si è suicidato l'unico biglietto trovato era per questa fantomatica Teresa):
"Cinghiale"
Un cinghiale
s'aggira
tra le siepi
in cerca di Teresa
un cinghiale
si cinghia
tra nevi
in cerca di Teresa
un cinghiale
e' la mia anima
il mio folle desiderio
furioso
per la cerca
di Teresa
Un giorno quel cinghiale
ti troverà
ti annuserà
ti prenderà sul groppone
portandoti a me
trasformandomi
in daino gentile.
"Canto di periferia" di Daniele Medici l'ho postata io, insieme a "Ninfale" di Beppe Salvia, che ho avuto il piacere di conoscere prima che anche lui decidesse di andarsene. "Ninfale" è scomparsa, insieme alla firma. Magari più tardi cerco di inserirla, è un testo bellissimo, tremendamente bello, devastante.
RispondiEliminafm
grazie Francesco. Per la mia sensibilità, sono più toccato da "cinghiale" che trovo potentissima. Forse si potrebbe scrivere qualcosa di più su questo autore che non conoscevo.
RispondiEliminaDici che hai conosciuto Salvia: com'era?
Erminia, credo che nei suicidi ci sia sempre una punizione inflitta a chi 'non ha capito'.
Se Erminia permette, rinvio a questo sito dove c'è una sua lettura critica di D. Medici:
RispondiEliminahttp://www.vicoacitillo.it/transat/2.htm
si, ma è una lettura un poco dettata dall'imminenza della sua morte. dovessi farla adesso, una nota critica su Daniele, direi cose migliori e più appropriate. Un altro testo meraviglioso è il seguente, sempre dedicato a Teresa e al suo Cilento (terra e donna, un binomio per Daniele molto forte):
RispondiEliminaA T. (A Teresa)
Come sei bella.
Con le tue nebbie azzurrine
il tuo buio d’arancio
che lavora
i tuoi fiumi
viaggi lontani
le tue valli
d’agnelli docili
e rosso-codati
cavalli
le tue fosse
cadute da cui riemergi
le tue piante verdi
il tuo rivo Calore
i tuoi semi di sale
le zolle scure
macchie sulla pelle
le spighe d’orzo
dei desideri.
Tu sei la terra.
Fossi il mare che ti abbraccia
la luna che ti guarda
il sole che ti scalda.
Come sei bella.
Così imperfetta.
Così imperfetta
da poterti
amare.
l'enfasi struggente di Daniele sull'amabile imperfezione (di teresa della terra della vita), la sola dimensione, l'imperfezione, che consenta l'amore autentico, la vicinanza del cuore..
RispondiEliminadovrò prima di morire io stessa cercare di organizzare un convegno su Daniele Medici nella nostra città, Salerno.
Era altissimo, molto normanno, castano chiaro, pelle bianca, occhi verde smeraldo, lineamenti di principe mai decaduto. vestiva con abiti coloniali, come un inglese in vacanza...ma era profondamente salernitano-normanno (come mezza parte di Stefano Gugl, del resto)...Tipologia molto frequente a Salerno dove ha regnato Roberto il Guiscardo per secoli, all'incirca nell'anno mille. Tipologie di uomini e donne di questo genere è comune nella terra del Guiscardo.
Daniele Medici era un suo discendente, forse.... (erminia)
oppps, ...intendevo dire....Roberto egli stesso non ha regnato per secoli...sorry, volevo dire dove è rimasta la sua influenza normanna per secoli...(erminia)
RispondiEliminaEravamo tra la fine del 1982 e gli inizi del 1983, non ricordo con precisione (dovrei avere una sua lettera da qualche parte, ricevuta pochi giorni dopo), ero a Roma per un concorso e nel pomeriggio partecipai ad un incontro di presentazione con alcuni autori di Prato Pagano. Dopo ci fu una bella discussione ed ebbi modo di scambiare qualche impressione con lui. Si rideva (già allora, pensa adesso!) sul "fallimento" della "leva" del '54. Ebbi poi modo di conoscere anche Michelangelo Coviello e Gino Scartaghiande (Erminia sarà contenta: uno di Agropoli e l'altro di Cava dei Tirreni): chi sa che fine hanno fatto, soprattutto Scartaghiande, poeta e critico finissimo, di cui ho perso ogni traccia. Com'era Beppe? Immagina due occhi bellissimi e profondi, lontani anni luce dalle parole che gli uscivano dalla bocca, e leggi questi versi che certamente conosci: contengono la fotografia della sua anima e del suo corpo.
RispondiElimina"...e padre e madre vorrei
essere di questa solitudine.
Non l'abitudine filiale, ma il segreto esempio
la natura dolce delle parole vere
io voglio dedicare a questo corpo magro,
attraversato dal tremendo folgore
del coltello e dell'innaturale pietà
della preghiera...".
C'è, in questa classicità quasi "stilnovistica", la sua poetica (condivisibile o meno) e uno degli indirizzi di riviste come "Braci" e "Prato Pagano": esperienze di nicchia, ma comunque ben presenti nella mia memoria.
fm
p.s.
RispondiEliminaMi colpì talmente la notizia della sua morte, quasi annunciata in quel libretto fuori dal tempo che è "Estate di Elisa Sansovino", che gli dedicai un'intera sezione del mio primo libro, "Le guide del tramonto" e un testo:
Nella penombra. Altrove
Venduti per poche lacrime
alla solitudine - unico delitto
macchiato di purezza
quel fuoco che non brucia
quando si tende a sussurrare
alle nevi dove dimora il cuore
Nel giorno la ruota del sole
ci trapassa le labbra
nel suo volo tempo che migra
e carte bruciate dal silenzio
parole scritte sulla fronte del cielo
tra le crepe della sua bocca -
domande insospettate
per le ore in cui la terra declina
offre con timore le mani
e accende le sue lampade votive
Poi di sera non si dà nome
a nulla che non sia un grido -
l'attimo che la luce morente
aveva reciso da un volto
(1985)
fm
(Francesco, conosco Dino Scartaghiande per fama passata, qui, a Salerno)…ma non ne ho sentito più parlare… anche perchè non ci sono stata dal 1994.
RispondiEliminaGrazie per avere postato la poesia di Beppe…, un testo meraviglioso che comincia un amore radicale e profondo per la vita.
Questo sì che riconosco come un vero possibile testo di poeta suicida: uno struggimento, uno strazio totale, autentico, un rispetto penetrante per quello che non si sa avere (ma che si apprezza troppo).
Come per Daniele, un culto della vita, e una coscienza della propria inadeguatezza...del proprio fallimento (ma ovviamente è un fenomeno psichiatrico, di self-distorted image, mancanza di autostima patologica, senza nessun fondamento nella realtà di quello che pensano gli altri)
Testo suicida, …mentre il testo di Toma sembrerebbe appunto testo dal tono euforico, nell’odio e nel disprezzo, testo di alcolizzato, amante risentito della vita, ma non tragico, da suicida.
Il suicida credo predisponga la sua poesia ad una certa classicità di cui parla Francesco appunto perché scrive epitaffi. C’è classicità in “Edge” di Sylvia Plath scritta la notte stessa del suo suicidio. Si respira soffocante profumo di incenso, candele, compostezza dell’imminente funerale, chiarore lunare, eccetera, stillicidio di sangue e minuti di residua esistenza…
Il testo-suicida si prepara al silenzio tombale, alla sua dignitosa compostezza. Meyre il testo di Toma scrive, in qualche senso in modo sano,energico nell’odio, dunque dinamico, parlando dal lercio e del lercio della vita entro cui si forse con disgusto ed auto-odio pur sempre si colloca, un a vita orrenda che però egli vuole vivere e consumare.
Che ne pensate voi. A me questa poesia di Toma sembra comunque espressione di una tensione vitale.
(erminia)
Erminia, se leggi il "Canzoniere della morte" di Salvatore Toma, ci trovi tra i versi, coltivato in silenzio come un segreto a cui si tiene più che a ogni cosa, lo stesso senso e amore per la vita di cui parli a proposito di Medici. La morte è uno specchio dove ogni verso (soprattutto in alcune liriche) rimanda i riflessi del suo rovescio, una sorta di sole bambino che abbaglia e affascina al suo apparire. E lo sguardo del poeta (ma è una mia lettura) è proprio quello del bambino: uno sguardo che restituisce innocenza e verità anche all'orrore verso cui va incontro.
RispondiEliminaIl testo postato da Stefano, secondo me, letto controluce, reca tracce dell'urlo del Cristo abbandonato dal padre (e ognuno dia a questo termine i significati e le valenze che vuole): ci vuole coraggio, dice, a progettare la propria morte, cioè a vivere: e a volte si muore proprio per troppo amore per la vita.
Ci sono alcuni esseri la cui morte è già scritta nel fuoco delle pupille che si trascinano: quando, di fronte a un muro, hanno la visione, la percezione esatta, di ciò che dietro alla parete si nasconde: e allora chiamano gli altri, con la voce silenziosa e inudibile contenuta in un verso, a condividere tutto il peso e lo stupore del loro sguardo: mentre intorno il mondo gli risponde che sono "pazzi", perché quello è solo un muro, un ammasso geometrico di pietre e calce.
Sono quelle pietre e quella calce a seppellire occhi e giorni.
fm
dio mio....Francesco...mi hai fatto capire che bisogna stare attenti a leggere negli occhi il suicidio che si prepara in chi vede al di là...bisogna stare attenti cercare di fare qualcosa, prima che sia troppo tradi...(come l'angelo di Il cielo sopra Berlino)...mettere una mano sulla spalla...ma a volte, non basta. Il suicidio è iscritto, secondo Freud, alla nascita come pulsione al ritorno all'inorganico. Per costoro, essere nati alla vita è come per il piccolo principe un essere capitati per caso in pianeti sconosciuti dai linguaggi difficili, un paese di sabbie e disastri aerei, re dispotici...incomunicabilità.
RispondiEliminadavvero, quando lessi Il piccolo principe capii che si trattava di un suicidio programmato nel momento stesso in cui il piccolo si era messo in viaggio verso la terra. Per questo non riuscivo a smettere di piangere. Nella morte inflitta dalla vipera c'era per il Piccolo Principe l'unica speranza di un ritorno alla sua innocenza originaria...
Ecco perchè quello sguardo struggente, dolce, distante, perduto, aristocratico negli occhi di Daniele, di Beppe.....
Spero abbiate letto Alvarez, The Savage God, studi sul suicidio in letteratura. C'è inquesto volume anche un famoso saggio sulla Plath (dicui Alvarez forse fu l'amante)
(erminia)
grazie amici per le ottime riflessioni che avete offerto su un tema così difficile. Pensate ai suicidi che non riescono a scrivere poesie, a quanta morte ci sia nel non riuscire a pronunciare la parola che, per quanche ora, salva la vita.
RispondiEliminaSu "I begli occhi del ladro", l'antologia di Salvia pubblicata da Il ponte del Sale, uscì una mia recensione ne "La mosca di milano", n.12, maggio 2005.
Sylvia Plath
RispondiElimina"Limite" (1963)
La donna è perfezionata.
Il suo corpo
Morto veste il sorriso del compimento,
L'illusione d’una necessità greca
Fluisce nelle pieghe della toga.
I suoi piedi
Nudi sembrano dire:
Siamo venuti da lontano, è finita.
Ciascun bambino morto,
Bianco serpente avvolto
Intorno al suo bricco del latte, ormai vuoto.
Li ha raccolti nuovamente
Nel suo corpo come petali d'una rosa chiusa
Quando il giardino si contrae
E odori sanguinano
Dalle dolci profonde gole dei fiori notturni.
La luna non ha niente di cui rattristarsi,
fissando dal suo cappuccio d’osso.
È abituata a queste cose.
Le sue zone d’ombra scricchiolano e attraggono.
In Ariel, Faber & Faber 1965.
Questa poesia nella mia traduzione, già pubblicata una decina di anni fa, ne L'Immaginazione, è stata scritta da Sylvia Plath la notte stessa in cui si è suicidata.
Grazie dell'informazione, Stefano, non sapevo niente dell'antologia di Salvia. E' possibile trovare in rete la tua nota? Mi piacerebbe leggerla.
RispondiElimina*
Erminia, la tua traduzione è bellissima, così come il testo della Plath, che avevo letto solo in inglese. Complimenti.
fm
ti ringrazio, Francesco...sono stata innamorata della poesia della Plath, quando scrivevo la mia prima tesi di laurea.
RispondiEliminaCarop Francesco, la nota a Salvia non è in rete, ma te la spedisco in file.
RispondiEliminaGrazie Erminia per il bel testo della Plath
Intervento la cui necessità è tanto maggiore quanto più crescente è la grandezza del poeta Toma. In merito al "maledettismo" salentino (registro con piacere un vostro intervento sulla Ruggeri) ho pubblicato un intervento dedicato al terzo vertice del Salento poetante e suicida degli ultimi anni: Stefano Coppola. Il mio intervento è reperibile sul blog: samgha.wordpress.com - un saluto, Luca Ormelli
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