Gabriele Pepe è un vecchio amico di Blanc, di cui mi
sono già occupato nel 2006 quando uscì, a cura di Erminia
Passannanti, il volume collettivo Poesia del dissenso II (Joker).
Pubblico ora questo suo poemetto
inedito, costruito sull’attenzione alla parola e al ritmo – che si è fatto
negli anni meno compulsivo, per dare invece spazio al discorso, che si vuole
immaginifico anziché astratto, sintetico – e sull’infiammarsi della passione,
che riempie l’attimo fugace. Passione per la vita, anzitutto, e per il piacere
dello sguardo quando la interroga nel suo farsi e nel suo disfarsi, secondo
parametri cari al razionalismo illuminista e, nel contempo, al gioco fonematico,
che è proprio dell’orecchio fanciullo del poeta.
1.
Necessario,
a volte, immergersi in un intimo spiraglio:
farsi
frammento clandestino d'un calendario umano
il
rintocco residuo di un tempo mai cronometrato
e
immaginare meridiani e paralleli inquieti
fino
all'estremo di un orizzonte obliquo
appeso
all'attimo incoerente quando lo spazio
distorce
la matrice e precipitano visioni
presagi
archetipali di solstizi ed equinozi
ben
oltre la dottrina dei nostri sguardi indagatori
che,
come steli di pupilla, oscillano tra luce ed eclissi
Nel
mito del concreto, frequenza e costanza d'onda,
di
vita in vita, la vita, vivendo,
s'infiamma.
Fragile
e densa carne di stella
nel
fulcro dei sensi collassa e s'irradia
raggio
per raggio, pigreco miraggio,
giostra
e giostraio del palio mentale.
Il
vento indifferente agita ancora
le
dotte affermazioni di filosofi e scienziati
gli
ultramondi sensibili di santi e sciamani.
Scende
insolente la pioggia. Senza contegno liquida:
memorabili
tesi, argute teorie, incrollabili certezze
nel
luccichio sapiente d'acque dolci e salmastre.
Brucia
assoluto nei campi del vuoto
il
fiore quantico dell'infinito mutare:
da
fiamme a fibre, bagliore di nervi
siamo
un dardo cosciente di luce che genera forme
e
polvere alla polvere, cenere alla cenere
ogni
scintilla torna al fuoco originale
Ma
conquistare l'ignoto alquanto ci costa:
un
patrimonio faticosamente accumulato di gesti
fin
troppo dissoluti, ineffabili crudezze, nodali
esperienze
sperperate a braccia conserte e passi felpati
Forse
se avessimo tentato un'altra insurrezione
una
rivolta nuova senza mai sfiorare il
grilletto
incandescente
delle parole dolorose;
se
avessimo parlato una lingua accorta
senza mai vendicare quel barlume a volte
insofferente
a volte rassegnato che ci precede
tra
il battere di ciglia e l'eco delle palpebre
forse
staremmo tutti bene e ancora del tutto vivi
2.
Tra
basso cielo e vasta terra concedersi una
tregua:
una
promessa di purezza totalmente disarmata
il
nostro armamentario inferno deposto per la resa
e
aprirsi al perdonare come sempre fa la retina
ogni
qualvolta che, nel suo duplice affabulare,
il
mondo capovolge spacciandolo per vero.
Simulacro
intellegibile tutto mirato a lucido
sottoposto
a ragionevole interpretazione
ben
oltre i sacri canoni del giorno e della notte
le
ambigue volontà del sonno e della veglia
Perché
materia ardente materia oscura,
progetto
sintomatico dell'endoverso,
qualunque
fosse all'origine la causa del dividere
l'oggetto
del comprendere, in conclusione
ignari
come fragili conchiglie gettati a capofitto
tra
le scabrosità dell'ego, guerreggiando, stiamo.
Sperduti
a dismisura in ogni pianto nascituro,
e
luogo alieno a qualunque verità di fuga
senza
requie: respiro per singolo respiro.
Un
velo esteso dentro e fuori e tutt'intorno
come
se al mondo fosse un altro del tutto estraneo
al
ciclo circadiano a sognare l'umanità che erige
il
sogno quotidiano dei fatti e dei misfatti.
Per
tutto il resto di certo non bastano le
forze
che
appena avanzano a porgersi domande
che
ansiose tremano e volteggiano nell'aria
in
trepidante attesa che oracolo risponda,
sperando,
invano, che orecchio le raccolga
Istante
per istante, sorge e risorge il moto
dei
pianeti: e nel punto preciso, incrocio di creato
e
ricreato, si compie l'ennesima illusione: il trucco
del
coniglio che spunta dal cilindro del mago universale..
Forse
se avessimo guardato da un altro punto d'osservazione,
diretto,
con mirabile saggenza, l'intero caleidoscopio
su
cieli assenti e galassie tra gli specchi
senza
mai contestare il prodotto eterno lordo
del
buio e della luce;se avessimo solo goduto
il
senso univoco dei fiori e dei colori,
senza
mai offuscare il lume dell'artista
forse
staremmo tutti in pace, finalmente liberi
3.
Concedersi
di tanto in tanto il dolce lusso
il
sano dubbio : è meglio stare oppure andare?
Ma
nulla a questo mondo è davvero bifocale
Se
un passo segue l'altro, una è l'orma che lasciamo.
Che
sia traccia indelebile impressa quasi in vuoto,
grande
balzo del genio umano a spasso sulla luna,
che
sia l'impronta fossile del pensiero vestigiale,
uno
e soltanto uno è il calco che affondiamo
ben
oltre le frenetiche scalate, le atroci scorribande,
le
nevi, il fango, l'erba cruda, e il buio da squarciare.
Perché,
a memoria d'uomo, le cause del partire
le
contrastanti e solitarie ragioni del restare
di
pari passo vanno lungo le anguste vie
che
corrono e attraversano ogni dannata storia:
siamo
le piste insanguinate dell'ultimo bisonte,
le
irriducibili barricate prima dell'orrido sentiero
E
dunque rinnegarsi a decifrare eventi:
soggetto
oggetto; causa effetto; esterno interno.
Quel
complesso intento, quel rito tutto biologico
che
ad ogni costo vuole sempre travasare senso
in
un compendio logico a misura di cervello
come
se lingua e segni del cammino ci
appartenessero
incisi
a fuoco tra le rughe della fronte, le valvole
del
cuore, il vorticoso eccedere di formule e preghiere.
Le
presunzioni, dicono, rendono l'uomo scaltro
perfettamente
in grado di comprendere
con
le dovute cautele il sonno delle rocce,
l'onore
delle querce, il sapore delle nuvole
Ma
infine scienza o metascienza quel che forse
a
malapena emerge dall'utero del mondo
è
un'esigenza chimica che aspira al cielo
una
ghirlanda accesa tra le pieghe della sera
Ringrazio Stefano per l'ennesima prova di coraggio ospitando un alieno della poesia italiana contemporanea che solo per caso prende il nome di Gabriele Pepe.
RispondiEliminaIl titolo del poemetto è "Metafisiche da passeggio" lo rivelo perché nel titolo c'è un po' il senso di ciò che avrei voluto sprimere al di là della metrica e il respiro prosodico. Un po' tra il serio e il faceto c'è l'amara constatazione del totale fallimento dell'ordine cartesiano nel quale la nostra "civiltà" è rimasta prigioniera. Da qui il desiderio di rompere la matrice, gli inganni della ragione per giungere a quella vera consapevolezza della realtà che è "ben oltre i nostri sguardi indagatori". Dall'altro lato superare il muro autocostruito dai sensi e dalla ragione senza però cadere nel suo uguale e contrario ossia la "fede" intesa come "verità" soprattutto quella cieca e insensata delle religioni istituzionalizzate. Ovviamente non sono un filosofo, né un teologo. A malapena scribacchio qualche verso di rado decente e quindi faccio quello che posso ma secondo me oggi come oggi la questione è cruciale.