Giovanna Frene, Tecnica di sopravvivenza per l’occidente che
affonda, Arcipelago Itaca Edizioni, 2015, p.45 € 14,50. Con sei immagini di
Orlando Myxx.
[recensione uscita su "Poesia", ottobre 2016]
Che cosa l’occhio vede se, come
scrive Giovanna Frene in esergo del suo Tecnica
di sopravvivenza per l’occidente che affonda, è un occhio “di vetro”? Che
cosa c’è oltre quella sostanza vitrea? Esistono i fatti o non possiamo che
giocarci il loro senso nelle possibili interpretazioni? Leggere Giovanna Frene,
qui e altrove, significa far circuitare queste domande, in un esercizio
ermeneutico che si muove nei gangli della Storia letta attraverso il principe
machiavelliano, ossia quale conquista e conservazione del potere. In Tecnica di sopravvivenza il nodo
eventuale si concretizza anzitutto nella catastrofe dalla Grande Guerra, in
quel bivio che apre il novecento dei conflitti, della tecnica al servizio della
distruzione di massa, sulla scorta tuttavia dell’archetipo che ha, nelle
dinamiche di sopravvivenza della civiltà, il suo centro. “Liquefazione – sestina
bizantina” lo dice in codice, là dove “piccolo padre” significa Attila,
minaccia non definitiva per l’Occidente romano, che troverà in seguito le sue
strategie di sopravvivenza meticciandosi con i nomadi invasori. E tuttavia, la
prima guerra mondiale è mattanza differente, dove persino il reportage diventa
interpretazione anzi, peggio, scientifica propaganda. La “sestina di Crimea” ci
ricorda che fu quella guerra sabauda a inaugurare trincea e finzione, a ricostruire
a posteriore i fatti, per ottenere il consenso: “Una quinta di fondamento / per
una storia fotografica del genere umano davvero alla mano: / quella che
racconto ora, sanguina, dal bordo della scena”. E sono differenti, le guerre
novecentesche, anche perché nessuno vince, se non l’umanità, quando eroicamente
sfida il potere, non facendosi annullare, a costo di subire il martirio.
Chiariti gli antefatti, Giovanna Frene, tra geroglifico e collage (di
frasi lette o sentite, di pensieri e cose incontrate, di esperienze familiari),
ci racconta in seguito il suo viaggio nel primo e nel secondo conflitto, il
sacrificio dei fanti e dei partigiani per un futuro che non si è avverato: “Noi
non avremo il vostro perdono” recita amaramente la chiusa de “Il massacro del
Monte Grappa”. E subito dopo, in prosa, ci spiega con nomi e cognomi alcuni drammi
bellici accaduti nelle prealpi venete, terra madre di Giovanna.
Mai come in questo libro, la poeta attinge dal biografico, citando e
autocitandosi, nel tentativo di intrecciare coralmente il tragico cui è pervasa
la Storia, pensata, nel breve saggio che chiude il libro (e sulla scorta di
Paul Ricoeur), come un’allegoria dell’opacità del vero, opacità che chiede
perciò continuo sforzo interpretativo, resistenza per togliere la naturale vocazione
alla scomparsa che hanno sia i fatti e sia il linguaggio. In questo senso, Tecnica di sopravvivenza per l’Occidente che
affonda è un libro di poesia civile, laddove l’aggettivo riferisce ad un Esserci
essenzialmente storico, aperto al possibile e libero nella misura in cui
comprende le strutture del potere, che lo abitano e lo lacerano dall’interno, e
“dove essere testimoni o colpevoli deriva solo dall’esser nati in un luogo e in
un tempo precisi”.
Biografica è anche la scelta di corredare i testi della prima sezione
con alcune foto di Orlando Myxx, immagini dove le geometrie scure della cornice
e le tonalità dolci e sinuose del soggetto, raccontano come la dinamica del
guardare sia sempre un atto interpretativo in dialogo, spesso conflittuale, con
l’oscurità e con l’assenza.
SESTINA
BOSNIACA, O DEL PENULTIMO GIORNO DELL’UMANITÀ
ovunque andassi, la gente mi considerava
un debole
(Gavrilo Princip)
I.
se anche
andassi per una valle oscura, non
temerei alcun bene, perché tu sei con me:
se anche andassi a ritroso, ritroverei il corpo
esploso, la pallottola
per l’eternità, una pura paternità in prospettiva: in
somma, un impero centrale
II.
…un
proiettile non va esattamente dove si vuole: ma due su due sono un bivio
perfetto, imboccato a ritroso come per difetto, o per
eccesso di zelo:
si spinge indietro la macchina fino al punto esatto
del suo non-ritorno
III.
…devi vivere per i nostri figli: non sembra vero che il ritroso si ripresenti per
caso, aspetto
di un gesto grave, vista la fragilità, che afferra al
petto, non il posto accanto, vuoto
il vuoto, sussurrato nella corsa del corteo pasquale
di famiglia, che ha i suoi Decreti
[solenni, le sue Astuzie
IV.
come la storia: dobbiamo
ricominciare tutto daccapo! il ritroso, il secco, lo sconcerto dei fiori
raccolto con stizza da chi si accorge che non si
tratta di una tabacchiera, torna
indietro per cercare di smettere il calcolare, ma in
un tempo incalcolabile
V.
…un tipico
esempio della barbarie balcanica (…) ma in città non c’è alcun segno di lutto:
un tipico esempio della barbarie viennese, o più che
altro europea, ovunque
ci sia musica, nessuno piange a ritroso per più di un
quarto d’ora, da sempre
VI.
come sempre vivere attentamente in perenne
mobilitazione, anzi
pensare finalmente a un’eredità biologica senz’altro
fondamento,
dove un riformato non riformi mai davvero il mondo, ma
solo sempre lo finisca
LIQUEFAZIONE
- SESTINA BIZANTINA
…essere in sé
quello che si è costruito, e allo stesso tempo
galleggiare
in superficie. buio come un pugno,
dai piccoli padri
presenti, sempre presente il carro del vincitore, la
discesa
strategica con le armi degli altri, tutte o poco
per volta, l’invisibile forma un monolite stridente
con la sconfitta, e la rigetta diritta a Ovest come
occasione per rispedire indietro le insegne del
principio
“Orienta la spada sul seme della vicina distruzione”
: detronizzato il diminutivo, e prima destabilizzano
ancora il vuoto infiltrando l’ignoto, e altro, e in
alto
si perda il gioco universale di unire ciò che l’uomo
ha diviso
smembrando piuttosto il mondo che il suo potere
STENDITI A
TERRA – SESTINA DI CRIMEA
tutto ciò che si sapeva
rimarrà come eredità
…come spesso
gli uomini singolarmente intelligenti, aveva un numero limitato di idee,
un numero limitato di supposizioni, per ogni singolo
soldato steso a terra:
rifare il campo di battaglia, se non si può proprio
tutta la guerra, girare
al largo da queste vere carogne repellenti, ricreare
da vicino se non il morbo
del vero, il vaccino del veritiero: fare la carogna
per intero, in sostanza,
dare la notizia non della mattanza, ma della
“bellavista”:
vedi che il braccio non sia fuori retta con la testa
rotta, assesta
il colpo definitivo al cavallo centrale, centra la
vera carne
malata, prima che infetta: una degenerazione veramente
battagliera
di una schiera di inermi frantumati, a sfondo perduto,
una quinta di fondamento
per una storia fotografica del genere umano davvero
alla mano:
quella che raccolto ora, sanguigna, dal bordo della
scena
[Su come nell’Ottocento si ricreavano a posteriori i
campi di battaglia per fotografarli]
Anche certa poesia puó essere 'bellavista', di un tetro mondo interiore...
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