Caro Stefano,
ho letto il tuo libro Ciao cari e mi è piaciuto
molto. Certo, detto così non significa tanto:
è un semplice dato emotivo
soggettivo, per ciò che ho sentito leggendo le tue poesie.
Ma è questo che ho provato: una
messa in forma del sentimento che diventa
senso avvolgente. Senso che lega
il dolore e la gratitudine. E c'è anche un dato
affettivo personale nel ricordo
di Giacomo. Anche questo fa la poesia: aggancia
la commozione alla natura
esistenziale di ogni scrittura viva. Ma ciò che più mi ha colpito
e intorno a cui ha girato tutta
la mia adesione per le parole del tuo libro,
è il secondo verso nella
poesia Antonella (1958 – 1993):
“...pesavi metà di ogni cosa felice.”
Straordinario. Tra i più belli
che ho letto e forse tra i più belli nella poesia dei nostri anni.
Avresti potuto scrivere, per dire
la fisicità prosciugata dalla malattia nel tuo sguardo doloroso,
“pesavi
più di ogni cosa triste”, come potrebbe venire più naturale, e invece no. La parola
“felice” sgancia la durezza del
patimento e innalza il sentire. E permettimi un dato personale.
Una mia poesia di tanti anni fa
terminava con “nella curva/delle
lacrime/c’è tutto”. In cui
evocavo, senza esserne veramente
cosciente, questo innalzamento e leggerezza nel dolore.
Evocavo soltanto, ma ora,
leggendo la tua poesia, so qual è la sua presenza vera. Precisa.
Ecco, ho sentito il desiderio di
dirti questo, che ho provato con le tue poesie.
Bel libro!
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