In un'atmosfera da Blade
Runner, ma meno drammaticamente tesa e con un finale che sposta la morte
altrove ("la morte è in campagna"), Metropoli di Nader
Ghazvinizadeh (edizioni cfr – poiein, 2011) è un libro forse debitore – oltre
che del cinema – anche delle città invisibili, che qui sono tutte
contenute nei labirinti di Bologna, laddove in Calvino era Venezia il centro di
ogni tentativo di mappatura. Ghazvinizadeh, di scena in scena, colleziona città
d'ogni fattura: città-cosmo, città-piromani, caldaia, città-fabbrica e
"dei muratori", città d'acqua e città-voliera, città-granai, tutte
raccontate in un cielo "livido e plumbeo", dove angoscia,
inquietudine e vuoto popolano gli animi di uomini grigi, che spesso bevono per
non vedere. C'è tuttavia un altrove, fatto di sabbia e mare e fiumi, una
città-rifugio, luogo della memoria, che assomiglia al delta del Po, dove
"in mezzo al fiume c'è il paese con le piazze al vento", ma anche,
nel contempo, luogo che spaventa: troppo vasto per noi che "ci perdiamo
nei bicchieri d'acqua".
Metropoli è
un bel libro perché nomina scorci di paesaggio urbano, scegliendone gli aspetti
emblematici, quelli che parlano da soli, senza bisogno di un commento, di un
monito; scorci a volte resi nella deformazione metaforica (i contadini in
bicicletta che diventano "cani lupo piegati sui manubri") o che
agganciano scene dell'immaginario collettivo (quel "mettere le mani in
tasca e stringere le spalle" che ricorda James Dean nel ritratto di Dennis
Stock). In entrambi gli esempi è chiara l'origine visiva, cinematografica,
della poesia di Ghazvinizadeh, e la sua radice drammatica, di giovane che
brucia. Ancora Dean e la movida bolognese già tuttavia corrotta dal sentimento
che dietro le apparenze c'è il nulla, come aveva scritto Montale in Forse un
mattino andando, e che in Metropoli diventa "chi ha sofferto
mantiene il segreto": uno scarto dall'ontologico all'esistenziale, da una
generazione che cercava ancora il senso dell'essere ad un'altra che cerca una
ragione per non essere. E intanto vive, ama, scrive.
Livido e plumbeo è,
invece, il nostro vestire in città
umido, che viene voglia
di mettere le mani in tasca e stringere le spalle
e addormentarsi
nella cesta, come
dormono le bestie
grattacieli come i
sottomarini
città piromani, vetri rotti
slavate dalla pioggia, città, sfumate nella nebbia
**
Nella città sempre
notte
scrosci di gente nera
sotto le piogge
maschi da vaporiera
femmine di stireria,
la città scotta, fucina
di febbri
neoavanguardie e noi,
nel parco urbano abbandonato
come l’abbraccio di un
parente di secondo grado
noi siamo ricchi,
vestiamo un po’ bene
un po’ male come i
tartufi
sapendo di terra e di cane
**
Al ramo morto, dei
barconi insabbiati
noi non volevamo andare
al mare,
ma risalire il fiume al
primo campanile
e in mezzo al fiume c’è
il paese con le piazze al vento
quando si perde
l’argine maestro,
e si esce nel mare
muto, che è già mare aperto
si perde anche il
fiato, viene paura ascoltare la radio
che parla delle navi e
degli altri mari
viene voglia di tornare
indietro
come per cena, e noi ci perdiamo nei bicchieri
d’acqua
**
Hanno ancora chiuso il
paese
con le case rovesciate
che tolgono i campi alla piazza
porta di una pianura
dove scomparivano le
macchine agricole
e appariva la cuoca con la testa di lepre
La morte in campagna
Oltre tutto l’agrodolce
di questa tavola
nei bar, all’ombra del
silenzio
un gioco di carte lungo
un solstizio
al buio ed al rosso
del pugilato, del
ciclismo
e noialtri a bere con
quelle facce
da bambini, che da
dolci in un pomeriggio
son diventate amare
un caffè da viaggio
mentre alle quattro i
cuochi e i camerieri
si siedono a mangiare
all’ora dei preti nei
letti, della falena
dei bambini e delle
lucciole dopocena
tutto questo sa di
lumache e sa di lungomare
il vino sa di grondaie,
e odora della nebbia
volevamo assaggiare le
specialità delle massaie
che sanno delle messi, che sanno del mare
**
Fecondo Gennaio il mese
convesso
cieli presagi di
frumento
metabolismo muto nei
campi in amplesso
abdica il corvo muto e
si fa nevaio
il sonno si prende e si
perde a metà notte
città/voliera città/granaio
Nader Ghazvinizadeh, iraniano, nato nel 1977, vive a Bologna.
Allena la squadra di calcio del Progresso Castelmaggiore, ha scritto di
criminologia e urbanistica su vari quotidiani, ed è stato giornalista
radiofonico. Ha firmato la sceneggiatura dei film “Drobgnac“ e “Apocalisse in
Via Orfeo“. Suoi testi sono inclusi in Dieci poeti italiani (Pendragon
2002), Poesia. Narrativa (La Meridiana 2003), Annuario di poesia 2004
(Castelvecchi 2004) e Ai confini del verso. Poesia della migrazione in
italiano (Le Lettere 2006). Ha pubblicato la raccolta poetica Arte di
fare il bagno (Postfazione di Roberto Roversi, Giraldi 2004) e Metropoli
(cfr – poiein, 2011)
mi piace moltissimo, questo poeta. Matura la lingua, la contaminazione tra linguaggi ma con grande misura, il metro, il sentire ma anche le invenzioni. luisa p.
RispondiEliminasono d'accordo.
RispondiEliminaUn realismo lievemente sognante o stralunato, un giusto bilanciamento tra essenzialità e generosità nell'offrire scorci e atmosfere. Un poeta leggibile e che suona molto "libero" (nel senso positivo del termine) dalla nostra tradizione, per origini o formazione forse. Grazie.
RispondiEliminadi certo la sua formazione cinematografica influisce in queste sequenze. Probabilmente più della tradizione letteraria.
RispondiEliminaIn effetti anche io ho molto apprezzato questo bilanciamento instabile fra realismo e una certa visionarietà cinematografica, bilanciamento che nello scarto trova il mistero e la forza della poesia.
RispondiEliminaMolto bravo.
Francesco t.
piace molto anche a me.
RispondiEliminavincenzo celli
sono d'accordo con francesco riguardo al "bilanciamento instabile" tra realismo e visionarietà (un blake dei nostri giorni?). un grazie alle edizioni di gianmario lucini e a stefano per la novità della proposta. roberto c.
RispondiEliminabeh, forse blake è eccessivo, se non altro perché qui il romanticismo è meno mistico.
RispondiEliminaun saluto a Francesco, Vincenzo e Roberto.
Ghazvinizadeh, che ammiro da quando uscì su 'Dieci poeti italiani', è forse il poeta più sottovalutato della sua generazione. Mi fa piacere rileggerlo qui.
RispondiEliminae sì che l'ansia per le generazioni ha un suo focolaio proprio in emilia romagna :-)
RispondiEliminaLe migliori poesie che io abbia mai letto.
RispondiEliminaIla