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venerdì 20 aprile 2012

Un poeta italiano: Nader Ghazvinizadeh



In un'atmosfera da Blade Runner, ma meno drammaticamente tesa e con un finale che sposta la morte altrove ("la morte è in campagna"), Metropoli di Nader Ghazvinizadeh (edizioni cfr – poiein, 2011) è un libro forse debitore – oltre che del cinema – anche delle città invisibili, che qui sono tutte contenute nei labirinti di Bologna, laddove in Calvino era Venezia il centro di ogni tentativo di mappatura. Ghazvinizadeh, di scena in scena, colleziona città d'ogni fattura: città-cosmo, città-piromani, caldaia, città-fabbrica e "dei muratori", città d'acqua e città-voliera, città-granai, tutte raccontate in un cielo "livido e plumbeo", dove angoscia, inquietudine e vuoto popolano gli animi di uomini grigi, che spesso bevono per non vedere. C'è tuttavia un altrove, fatto di sabbia e mare e fiumi, una città-rifugio, luogo della memoria, che assomiglia al delta del Po, dove "in mezzo al fiume c'è il paese con le piazze al vento", ma anche, nel contempo, luogo che spaventa: troppo vasto per noi che "ci perdiamo nei bicchieri d'acqua".

Metropoli è un bel libro perché nomina scorci di paesaggio urbano, scegliendone gli aspetti emblematici, quelli che parlano da soli, senza bisogno di un commento, di un monito; scorci a volte resi nella deformazione metaforica (i contadini in bicicletta che diventano "cani lupo piegati sui manubri") o che agganciano scene dell'immaginario collettivo (quel "mettere le mani in tasca e stringere le spalle" che ricorda James Dean nel ritratto di Dennis Stock). In entrambi gli esempi è chiara l'origine visiva, cinematografica, della poesia di Ghazvinizadeh, e la sua radice drammatica, di giovane che brucia. Ancora Dean e la movida bolognese già tuttavia corrotta dal sentimento che dietro le apparenze c'è il nulla, come aveva scritto Montale in Forse un mattino andando, e che in Metropoli diventa "chi ha sofferto mantiene il segreto": uno scarto dall'ontologico all'esistenziale, da una generazione che cercava ancora il senso dell'essere ad un'altra che cerca una ragione per non essere. E intanto vive, ama, scrive.




Livido e plumbeo è, invece, il nostro vestire in città
umido, che viene voglia di mettere le mani in tasca e stringere le spalle
e addormentarsi
nella cesta, come dormono le bestie
grattacieli come i sottomarini
città piromani, vetri rotti
slavate dalla pioggia, città, sfumate nella nebbia



**

Nella città sempre notte
scrosci di gente nera sotto le piogge
maschi da vaporiera femmine di stireria,
la città scotta, fucina di febbri
neoavanguardie e noi, nel parco urbano abbandonato
come l’abbraccio di un parente di secondo grado
noi siamo ricchi, vestiamo un po’ bene
un po’ male come i tartufi
sapendo di terra e di cane



**

Al ramo morto, dei barconi insabbiati
noi non volevamo andare al mare,
ma risalire il fiume al primo campanile
e in mezzo al fiume c’è il paese con le piazze al vento
quando si perde l’argine maestro,
e si esce nel mare muto, che è già mare aperto
si perde anche il fiato, viene paura ascoltare la radio
che parla delle navi e degli altri mari
viene voglia di tornare indietro
come per cena, e noi ci perdiamo nei bicchieri d’acqua



**

Hanno ancora chiuso il paese
con le case rovesciate che tolgono i campi alla piazza
porta di una pianura
dove scomparivano le macchine agricole
e appariva la cuoca con la testa di lepre



La morte in campagna


Oltre tutto l’agrodolce di questa tavola
nei bar, all’ombra del silenzio
un gioco di carte lungo un solstizio
al buio ed al rosso
del pugilato, del ciclismo
e noialtri a bere con quelle facce
da bambini, che da dolci in un pomeriggio
son diventate amare
un caffè da viaggio
mentre alle quattro i cuochi e i camerieri
si siedono a mangiare
all’ora dei preti nei letti, della falena
dei bambini e delle lucciole dopocena
tutto questo sa di lumache e sa di lungomare
il vino sa di grondaie, e odora della nebbia
volevamo assaggiare le specialità delle massaie
che sanno delle messi, che sanno del mare



**

Fecondo Gennaio il mese convesso
cieli presagi di frumento
metabolismo muto nei campi in amplesso
abdica il corvo muto e si fa nevaio
il sonno si prende e si perde a metà notte
città/voliera città/granaio





Nader Ghazvinizadeh, iraniano, nato nel 1977, vive a Bologna. Allena la squadra di calcio del Progresso Castelmaggiore, ha scritto di criminologia e urbanistica su vari quotidiani, ed è stato giornalista radiofonico. Ha firmato la sceneggiatura dei film “Drobgnac“ e “Apocalisse in Via Orfeo“. Suoi testi sono inclusi in Dieci poeti italiani (Pendragon 2002), Poesia. Narrativa (La Meridiana 2003), Annuario di poesia 2004 (Castelvecchi 2004) e Ai confini del verso. Poesia della migrazione in italiano (Le Lettere 2006). Ha pubblicato la raccolta poetica Arte di fare il bagno (Postfazione di Roberto Roversi, Giraldi 2004) e Metropoli (cfr – poiein, 2011)


11 commenti:

  1. mi piace moltissimo, questo poeta. Matura la lingua, la contaminazione tra linguaggi ma con grande misura, il metro, il sentire ma anche le invenzioni. luisa p.

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  2. Un realismo lievemente sognante o stralunato, un giusto bilanciamento tra essenzialità e generosità nell'offrire scorci e atmosfere. Un poeta leggibile e che suona molto "libero" (nel senso positivo del termine) dalla nostra tradizione, per origini o formazione forse. Grazie.

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  3. di certo la sua formazione cinematografica influisce in queste sequenze. Probabilmente più della tradizione letteraria.

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  4. In effetti anche io ho molto apprezzato questo bilanciamento instabile fra realismo e una certa visionarietà cinematografica, bilanciamento che nello scarto trova il mistero e la forza della poesia.
    Molto bravo.

    Francesco t.

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  5. piace molto anche a me.
    vincenzo celli

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  6. sono d'accordo con francesco riguardo al "bilanciamento instabile" tra realismo e visionarietà (un blake dei nostri giorni?). un grazie alle edizioni di gianmario lucini e a stefano per la novità della proposta. roberto c.

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  7. beh, forse blake è eccessivo, se non altro perché qui il romanticismo è meno mistico.

    un saluto a Francesco, Vincenzo e Roberto.

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  8. Roberto Batisti22/4/12 19:47

    Ghazvinizadeh, che ammiro da quando uscì su 'Dieci poeti italiani', è forse il poeta più sottovalutato della sua generazione. Mi fa piacere rileggerlo qui.

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  9. e sì che l'ansia per le generazioni ha un suo focolaio proprio in emilia romagna :-)

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  10. Le migliori poesie che io abbia mai letto.
    Ila

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