venerdì 4 marzo 2011

Lorenzo Pittaluga


Lorenzo Pittaluga ha tanti amici in rete. Tante persone attente e che amano la poesia, sapendola radicalmente implicata con il senso ultimo delle cose. Un senso plurale, che ci tiene fra le pieghe della vita, e che necessita della parola per esistere. Lorenzo ha tanti amici non perché suicida, bensì appunto per la sua capacità di raccontare il disargine, che ci riguarda tutti, a partire dalla misura, che in lui diventa ossessione, sino a costruire i libri (editi e inediti) sulla ripetizione di differenti moduli, uno per libro. Penso a L'indulgenza (poesie di 4 terzine), ma anche A lume di candela - riuniti da Marco Ercolani e Elio Grasso ne L'indulgenza, Ghraphos 1997 - (due strofe di 4 e 3 versi) e a La musa che resta, quartine trovate recentemente da Ercolani (ce lo ricordava un paio di settimane fa nel blog di Francesco Marotta: "Un’amica voleva conoscere la calligrafia di Lorenzo e io, rituffandomi nell’armadio in cui conservo i suoi quaderni, nella mia stanza di psichiatra del Servizio, ho trovato queste quartine che forse conoscevo ma che avevo del tutto dimenticato"). La buona lentezza sempre curata da Ercolani e Grasso, (Campanotto 2000) che raccoglie poesie scritte tra il 1993 e il 1995, rompe talvolta il metro, ma per restituire, con quella deflagrazione, la misura tangibile e orientante del proprio spaesamento (rompe dunque, ancora, per arginare), metro che poi si ricompone in distici cari ai poemetti pascoliani.

Tale evidenza conviene misurarla con l'affermazione di Pittaluga secondo il quale il proprio verso è un "canto breve per sciogliere il lutto possibile"; breve forse per l'icasticità del suo gesto poetico, sorta di lampo che brucia l'esperienza in un'immagine nata già classica, dove il fuoco arde dentro, ma che solo l'occhio esperto riconosce. Egli infatti ingabbia anche la brace, per darle sembianze lisce, canoviane: la superficie levigata gli esce spontanea dalla bocca come uno scrigno gelido, che noi dobbiamo aprire per giungere al suo segreto, che brucia e nel cui nucleo confliggono, come le due lingue di fuoco del XXVI canto infernale, il sentimento della sfinitezza ("leggimi di notte come io scrivo, / fallo pietosamente, con indulgenza, / perché, lo sai, sono nato sfinito") e quello, eroico, di sfidare la desolazione terrestre secondo lo spirito di Eliot ("Sono potenza e respiro. Sono / l'unico poeta uscito dalla / placenta della terra desolata"). Una nascita luttuosa sia perché immette tra le macerie della storia e sia perché inizia un percorso il cui esito inesorabile sarà la morte. Nascendo, ci si consegna al morire: la filosofia serva a trovare un senso a tutto ciò, dice Montaigne nei Saggi, e lo scrive, ma solo in apparenza, Pittaluga: "Sposo della terra, seme / dei glicini, imparo poco / a poco l'arte di morire": arte, infatti, non è qui riconoscere la necessità della finitezza, ma conseguenza dell'insopportabile dolore per questa consapevolezza, sino ad acquisire una tecnica dell'autoannientamento. Arte insomma diventa arto con il quale egli recide il flusso, gli dà un taglio, per accoglierlo in una forma tollerabile: ecco lo stile che diventa l'ostile alla morte, il farmaco inadeguato tuttavia, che non può se non cantare la morte stessa, madre che il poeta tragicamente sposa, sino a decidere di abbracciarla in volo, di ricongiungersi a lei, dal cielo, per fecondarla. In questo senso, il suo gesto suicidario può forse essere inteso quale mitico sacrificio di sé per rigenerare il tempo dell'autenticità, per liberare la terra desolata dal suo torpore "metallico e risentito". Un gesto caro ad Urano e forse, per analogia, a Prometeo. Un gesto comunque impraticabile dall'eroe mortale, tanto più se pervaso dalla sfinitezza; ed ecco dunque la poesia di Pittaluga diventare "seme", con una forza consapevolmente postuma, che feconda le nostre orecchie, come l'arcangelo Gabriele nell'annunciazione mariana, per tenere aperto "il lutto possibile" non in quanto sconfitta immedicabile, bensì nella sua riserva significante, atomo di luce che rischiara il creato quale brulichio operoso dove immergerci, nonostante "il capestro e i residui / del veleno" che corrode le nostre bocche, tutte.



Da L'indulgenza


Qui


Su questa mia scrittura testamentaria
ti giungesse come un barbaglio
o un fuoco minimale e accorto.

Io transiterei verso una
seconda morte cercata, disvelata
nell'etere che assorbe e spoglia.

Se il Dio delle mosche e della
brina mi si proponesse tale
da esprimersi manifesto, reale.

Questo non allontanerebbe
Il desiderio né taciterebbe
la mia colpa d'essere qui giunto.



Volti


Le si stancò dentro
un canto mai risolto,
un balbettìo accidioso.

Un flagello comprime
l'esile figura al muro
e l'istante si frantuma.

Bonaccia, breccia del
tempo nel tempo che –
a ritroso - sto compiendo.

Se la nuca è bella
e glabra qui rinuncio –
rinuncio ad esistere.



Riso



Tabella d'obblighi nel rallentato
gelo invernale. Rinasce ragione
dal calice del pane azzimo.

Lacrimazione incessante dei
fanciulli che recano il loro
profondo di asperità, derive.

Ti porto la rosa dell'aurora.
Che si spetali e, morente,
mi parli di te - della tua agonia.

Passa un riso di donna sul
fiume - forse cavalcate,
forse un bussare alle dimore.



Padre


Spegni la sigaretta: ti devo parlare.
Da te più non inseguo
Pasque, la mia saliva è sale.

S'alza grezza e fumo di bosco,
erompe il mio sesso gioioso -
gridi e ricominci a ridere.

Finisco il vino, sorseggio
la tua stessa bevanda.
So, so della tua negligenza.

Biciclette e derisioni alle
guerre - padre, ricomincia
a raccontarmi di te!



Scritture


Le scritture, le mie, naturalmente
nate postume, celano la forma
del riposo, del denso incantamento.

Versi da gogna nati per non restare,
per morire embrioni innalzati d
al mio ostinato orgoglio.

Leggimi di notte come io scrivo,
fallo pietosamente, con indulgenza,
perché, lo sai, sono nato sfinito.
Diritta non è la mia strada,
confuse le orme. Sulla selce,
calciato, è il mio volto incancrenito.


Nel sito di Marotta, qui e qui altre sue poesie. Vedi anche Viadellebelledoenne qui e il blog di Viola Marelli, qui dal quale ho ricavato la foto.

Lorenzo Pittaluga nasce nel 1967 a Cremeno di S. Olcese, nei dintorni di Genova. La prima plaquette in prosa, del 1987, ha come titolo un verso di Rimbaud, Arcobaleni tesi come redini. È del 1989 la prima plaquette poetica: Marginali annotazioni di un modesto ventriloquo di provincia. La rivista «Arca» pubblica nel 1994 le sue Poesie del primo giorno. Nel 1992 esce Arca di fiume. Nel ‘94, Le ore della sete per Campanotto editore. Durante l’ennesimo ricovero psichiatrico, pochi giorni dopo il Natale del 1995, si toglie la vita. Nel 1997 esce postumo, per le edizioni Graphos, L’indulgenza, a cura di Marco Ercolani ed Elio Grasso. Nel 1999 ancora Campanotto pubblica La buona lentezza, su iniziativa del Comune di S. Olcese, con due brevi saggi degli stessi curatori del libro precedente. Alcuni versi di Lorenzo appaiono in due libriccini Pulcinoelefante, a cura di Alberto Casiraghy. Altre poesie postume ullle riviste «Istmi», «Ciminiera»e «Pagine».

24 commenti:

  1. Le tue parole, Stefano, raggiungono la poesia che Lorenzo ci ha lasciato e insegnato. Le sue insegne, appunto. "Una volta per sempre".
    Elio

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  2. Al numero dei poeti importanti che popolano "Blanc de ta nuque" si aggiunge, da oggi, grazie a Stefano, Lorenzo Pittaluga. Questa è, per me, un'ottima notizia, perché si aggiungeranno altri "amici in rete", altri lettori di questa poesia che modula la sua follia in scrigni levigati, in forme esatte, anche se traversate dal soffio dell'enigma. Intuizioni giuste, le tue, Stefano: un rigore compositivo sempre mutevole ma sempre "rigoroso" e questa natura maniacale del gesto ultimo, del suo "gettarsi in volo".
    Chi leggerà Pittaluga credo che troverà dei motivi di interesse in questa poesia che, a sentire anche l'opinione di lettori non addetti ai lavori, sembra raggiunga chi la legge per una autentica, elementare, scabra potenza.

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  3. "Leggimi di notte come io scrivo,
    fallo pietosamente, con indulgenza,
    perché, lo sai, sono nato sfinito.
    Diritta non è la mia strada,
    confuse le orme. Sulla selce,
    calciato, è il mio volto incancrenito."

    Parole toccanti, che lasciano un segno. Molto apprezzati questi testi.
    Grazie
    Giovanni

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  4. Ripeto le parole di Giovanni per un autore che conosco pochissimo, ma andrò a cercare.
    Grazie.

    Francesco t.

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  5. Grazie, Francesco.

    Cercalo da me. Puoi scrivermi a

    mark.ercolani@libero.it

    marco

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  6. Se non fosse stato per voi due, cari Marco e Elio, le poesie di Lorenzo sarebbero ancora sconosciute.

    un saluto a tutti e grazie.

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  7. conosco da sempre, si può dire,la poesia di Lorenzo, ma la nota introduttiva di Stefano mi ha colpito in modo particolare. Dire che è splendida è poco.
    Grazie, per eserti occupato in questo modo del "nostro" Lorenzo.
    lucetta

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  8. grazie a te Lucetta per il complimento. Sempre gradito.

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  9. margherita ealla6/3/11 16:11

    Come Lucetta dico che è stupenda la tua presentazione. e più non aggiungo
    (aggiungo grazie!)

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  10. Una nota critica, quella di Stefano, che, unita alle "indagini" di Marco ed Elio, ci restituisce la fisionomia pressochè completa di un poeta degno di grande attenzione e considerazione.

    A breve uscirà un nuovo "quaderno" di inediti (curato da Marco).

    Un saluto a tutti.

    fm

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  11. aspettiamo il nuovo "quaderno", sperando che, l'insieme del lavoro di tutti quanti, muova un editore ad unire l'intera opera di Pittaluga.

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  12. Basterebbe, Stefano, una corposa antologia. Spesso non è necessario che di un autore si legga tutto, ma poter avere fra le mani un libro che riassuma la sua opera è essenziale.
    Un grazie speciale a Francesco, che in questi anni mi ha stimolato a trascrivere molti degli inediti di Lorenzo.

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  13. La nota di Stefano accompagna intensamente questo piccolo gioiello delle poesie di Pittaluga. Anch'io spero che ne esca un'antologia, che non rimangano "sepolte"; c'è troppa luce di grandezza.

    Cristina Annino.

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  14. Sì, l'antologia andrebbe benissimo.

    Ciao Cristina!

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  15. Un abbraccio a Cristina, che passa da qui e lascia il suo segno. Avrei voluto che Lorenzo potesse leggerti. Sarebbe stato "nervosamente" in sintonia con il tuo spirito.

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  16. Ho parlato di antologia, ma corposa, come Marco si augurava, poi qualunque riconoscimento credo sia significativo e "obbligato"dalla qualità originale e alta di Pittaluga. Averne di poeti di tale caratura!
    Il fatto che sarebbe postuma avvalora il fatto che la poesia autentica è contemporanea e postuma, supera i limiti; ricodifica il tempo, la biografia, ecc. Voglio dire.

    Cristina Annino.

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  17. sì, pienamente d'accordo.

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  18. "Versi da gogna nati per non restare,
    per morire embrioni innalzati
    dal mio ostinato orgoglio."

    Conosco ora Pittaluga, e lo sento in una casa accanto.
    Non so se avrebbe voluto un'antologia dei suoi versi,
    nati per non restare, ma per farsi semenza, piuttosto.
    Ma che importa. Il rito è per chi rimane, ed è quest'ultimo a sceglierne la liturgua. Per fermarsi e per andare. Un saluto a tutte/i e grazie a Stefano per questo post. GTZ

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  19. i semi respirano dentro l'albero. E l'albero dice che l'essere è differenza.

    chissà!

    ciao Giovanni, fatti sentire.

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  20. Sempre grazie per la possibilità di leggere Pittaluga, a Ercolani e Guglielmin. Per noi i suoi versi sono stati una scoperta, che ci passiamo di tasca in tasca.

    Saluti,
    Giampaolo De Pietro, Francesco Balsamo

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  21. un saluto a voi.

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  22. Grazie a Giovanni, Giampaolo e Francesco del passaggio. Vi aspetto anche alla Dimora del tempo sospeso per le "quartine" di Lorenzo.

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  23. Buongiorno mi chiamo Luca Terenzani e ho 47 anni, ho conosciuto Lorenzo quando avevo 22 anni circa e lo trovavo una persona estrosa simpatica e molto intelligente .Purtroppo lui se n'e' andato forse perche' non poteva piu' sopportare un dolore psichico troppo grande anche per il suo cuore scegliendo le mura di Maragliano forse per spingersi al di la un ultima volta, al di la di quelle mura che lo rendevano prigioniero del suo stesso male.
    Io ogni tanto scrivevo qualche poesia e gliele facevo leggere per avere un giudizio.
    Lui e' sempre stato sincero con me mai mediatore o accomodante pane al pane e vino al vino.
    Mi diceva che usavo parole troppo altisonanti ed ero troppo prolisso.
    Come aveva ragione!
    Qualche giorno fa mi son visto con una nostra amica comune Monica che ora vive in Sardegna e lei mi chiedeva l'esatta data della morte ma io non me la ricordo.C'e qualcuno che mi sa dare un aiuto.
    So che era qualche giorno dopo il Natale del 95 ma non so altro.
    Grazie
    Luca Terenzani

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  24. marco ercolani17/1/16 14:36

    Caro Luca,

    sono Marco Ercolani, lo psichiatra che ha seguito Lorenzo per quindici anni. La data della sua morte non è sicura: i giornali non la riportano esattamente, e anche alle mie domande alla clinica psichiatrica mi è stato risposto evasivamente. Credo fosse i 27 dicembre.
    Per qualsiasi informazione mi puoi contattare per mail:
    mark.ercolani@libero.it

    Un caro saluto.

    Marco E.

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