II viaggio procelloso che Alberto Toni ci propone in Mare di dentro (Puntoacapo Editrice, 2009) ha tre controfigure d'eccellenza, disseminate fra le pagine: anzitutto l'Ulisse dantesco, «l'eroe» attorno al quale «tutto ruota», e poi, per contrappasso, due viaggiatori dello sfacelo, antieroi nell'anima se non nel destino. Si tratta del vecchio Santiago di Hemingvray e del marinaio d'acqua dolce Marlow, «fermo ad aspettare che la notte» gli porti «consiglio», ma già tutto dentro quel cuore di tenebra che, in Mare di dentro, lo inghiottirà. Questa trinità laica, con i piedi nella melma e gli occhi tesi a cercare la via del ritorno, ha la sua mistica rosa dei beati, anch'essa verticale a mezz'acqua, nel torbido di un movimento che tende simultaneamente al sublime e al suo contrario. Ecco allora M.L. Spaziani, W Woolf, P Neruda, M. Troisi, S. D'Arrigo, E. Pecora, G. Conte, S. Penna e, perno inossidabile di questa giostra citazionista, Eugenio Montale, disseminato come un Orfeo sin dalla prima poesia: «Tu che più non ricordi/ e io non ricordo con te, non ricordo», recita l'io lirico toniano in una reticenza doganiera che vede nel mare «solo scaglie», un mare di dentro, tuttavia, i cui ossi sono memorie levigate dal tempo, ciò che rimane dell'evento, dell'integrità biologica nella pienezza dell'agire. E però, a differenza di Leopardi e dello stesso Montale, qui la memoria non salva, non rasserena. Il tifone, titolo conradiano ripreso due volte, è infatti la forma del mondo nel suo darsi ordinario, entro il quale non c'è bussola capace di orientare, tanto che il poeta, per niente addolcito dal naufragio, si dichiara smarrito, e chiede, come un fanciullo, aiuto alla donna che ama: «Prendi, prendi la mia mano,/ è scivolata e non so più/ dove potrò rifugiarmi. La mia mano,/ potresti darmi un legno/ di fortuna,/ contenere la mia paura». La matrice amorosa del libro, esplicitata nella dedica, non colma tale disastro gnoseologico, e per questo muta, via via, nel suo movente tragico. Appare infatti sempre più chiara l'origine dello smarrimento e la funzione di «zattera» chiesta all'amata: essa riferisce non tanto alla valenza edipica, quanto piuttosto alla consapevolezza che la vita è un transito inesorabile dalla luce alle tenebre, dal legno che salva alle sue «incrinature»; tutti luoghi, questi, destinali e perciò estranei alla comprensione umana eppure — nella cognizione del poeta — limpidi rispetto alla visione cosmica, che tiene la vita e la morte in un unico cerchio. Il mare, in fondo, altro non è che la prima metà dell'enigma, cui fa pendant la notte, altra infinità, altro solido nulla. La poesia di Alberto Toni si muove entro questi due abissi, scegliendo un verso sintatticamente quieto, quasi prudente nel timore di cadere giù, di lasciare voce all'ebbrezza, all'«ardore» della parola tragica. La scelta chiama forse in causa Sandro Penna, e l'idea – sulla quale occorrerebbe tornare – che 1'arido vero debba trovare, nella lingua, pacifica metabolizzazione, rotta soltanto da improvvise slogature del metro.
Ma su legni di spiagge
dove non scendo, appare
la tentazione del mare,
tu che più non ricordi
e io non ricordo con te, non ricordo
se l'altra pace è persa
e il sole trafigge e vano.
Dal bordo la terrazza mi trattiene.
Tu profumi. All'ombra mi cerchi,
io cerco il me di ieri.
Ora dirai la figura che trattiene
me di ieri, soltanto.
Scendi perché non vuoi altro,
ma sotto, più sotto dell'abisso non andiamo.
La lama dell'acqua,
ci trattiene l'acqua, il timore di perdere la vista,
perché, vedi, in tutti questi anni la casa non è
cambiata, ma il mare
ha occhi e memoria
e tutto è dentro, è
finito dentro ed è per noi, per
dimorare nel cuore, quando così lontane sono le cose.
***
Che miseria perdersi nelle acque mosse
sotto il vento e cercare all'orizzonte
l'ultimo bagliore, nel legno mosso e nella
zattera che non ha più direzione.
Eppure non lo dicevo perso il cuore,
tu anche lo sapevi e aspettavi la calma
e il riposo.
Insieme navighiamo, l'alta scogliera e il raggio
che di sera illumina la città di mare.
Non questa terra
già persa, già violata,
ma il mare del ritorno
a casa, del lume e del giaciglio dopo tanto tempo.
Ecco il sogno di Ulisse, il suo splendore.
***
.........L'acqua è la forza che ti tempra
........E. Montale
E bussa l'alga della giovinezza, nei sogni
quando stanca ti adagi sulla spiaggia.
Una forza ti segue, si trasforma e più
lenta della marina la forma tua del mare.
Tutto il tempo trascorso sul tuo viso nuovo
e sul mio di riflesso, ora a questa condizione
ritrovata, mentre il caldo ci sfibra. E la città
distante, la mente fuori di casa nel viaggio.
Quasi un traguardo, l'ora breve che ci connota.
Questa necessità impellente, importante
per libertà e silenzio. L'acqua del tuo trasporto.
(uscito in La Mosca di Milano, n.22, giugno 2010, pp.140-141)
Alberto Toni è nato a Roma nel 1954. Negli anni '80 ha partecipato a numerose letture e ha pubblicato sulle più importanti riviste di poesia: Arsenale, Nuovi Argomenti, Prato Pagano, Tabula (con una prefazione di Amelia Rosselli). Ha esordito in volume con La chiara immagine (Rossi & Spera 1987, premio speciale opera prima L'isola di Arturo - Elsa Morante). Sono poi seguite altre raccolte, tra cui: Partenza (Empirìa 1988); L'apparizione (Schema Poesia 1992); Poesie per Patrizia (Tipografia della Pace 1993); Dogali(Empirìa 1997, premio Sandro Penna); Liturgia delle ore (Jaca Book 1998, premio internazionale Eugenio Montale); Teatralità dell'atto (Passigli 2004, premio Pier Paolo Pasolini).
In prosa: la monografia Con Bassani verso Ferrara, (Unicopli) e il romanzo Quanto è lungo il sempre, (Manni), entrambi nel 2001; L'anima a Friburgo (racconti), (Edup 2007).
Ha tradotto, tra gli altri, testi di E. Dickinson, T. S. Eliot, M. Leiris. È anche autore di teatro: del 2003 il monologo in versi Donna su una poltrona rossa, (Editrice lanua). Si occupa di critica letteraria su periodici culturali e quotidiani.
È inutile che io lo nasconda, ma subisco la fascinazione del mare. Perfino il suono delle sue due semplici sillabe mi procura empatia e io che vivo in un paese di mare cerco sempre di leggerlo negli occhi di chi lo vive in altro modo , magari “ in transito” quando il suo ingombro da luogo/materia diventa una presenza “attraversata” e da attraversare. Ciò che vi ac-cade acquista quella lentezza in cui ci si accorge che, anche se fino ad allora lo si ignorava, nulla di ciò che passa o ci trapassa va mai perso, e sul suo fondo, se si trova il coraggio di arrivarci, lo si ritrova sempre, vuoi o non vuoi, con tutto il suo peso.
RispondiEliminaQuesti testi da te qui proposti sono molto molto belli, sono i primi che leggo di questo poeta, così come la lettura che ne fai nel proporne il libro.
grazie
lisa
Mi trasmette, anche nella forma, il senso profondo dell'esitazione, quando non è ancora e non sarà mai paralisi da paura paurosa (cioè da paura che nasce istintiva), ma rimarrà sempre sottile e inquieta (meditativa -sempre che meditativa si possa dire della paura :))
RispondiEliminaper intenderci è l'esitazione prima del tuffo nel piede nell'acqua o della penna nell'inchiostro, esitazione che ti rimane addosso anche quando ti sei immerso, quando il cerchio che si forma anche se scendiamo sotto (ma cmq “più sotto dell'abisso non andiamo. “)
poco trattiene di noi, ma ancora lo trattiene (fosse anche solo il tremolare del respiro che sale in superficie)
e mi piace questa sospensione.
Ciao!
hai presente la scena i ncui il direttore d'orchestra ha appena finito di dirigere l'opera nel film "il concerto"? lì l'emozione è trattenuta, si mostra nel tremore dei corpi, negli sguardi...
RispondiElimina(intendi questo?)
ciao!
grazie Lisa per il commento (era finito, per chissà quale ragione, nelle spam).
RispondiEliminaanche a me piace il mare, almeno per qualche ora. anzi, pr quel tempo, non c'è nulla di più bello.
poi però comincio a sentire la nostalgia della montagna. Quando sono in montagna, però, mi manca la luce del mare e i suoi profumi...
credo di sì, di intendere questo, anche se non ho visto il film "il concerto"
RispondiEliminadirai, ma allora che diavolo :), perché credo che l'esitazione della quale parlo (e che avverto in questa poesia) abbia a che fare con quel "sentimento di profanazione" nei confronti del mistero che Novalis attribuisce al pudore.
Ne approfitto, ieri, mannaggia, l'ho lasciato sottinteso , per dirti quanto bella gugl la tua introduzione.
ciao!
se nomini Novalis, non posso che darti ragione :-))
RispondiEliminagrazie!!!
quello di Toni è un libro che ho apprezzato. Molto bella e centrata la tua nota, Stefano.
RispondiEliminaUn saluto ad entrambi,
Anna R.
professore felice di sentire che sta in iper forma con le sue poesie ed idee. un abbraccio jacopo vaccarezza (mater carmeli medie)
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