Con il suo stile
compatto, avaro di aggettivi e segni d’interpunzione, amico del novenario ma
che non disdegna il verso lungo e il segmento discorsivo, Fabia Ghenzovich, in Totem (Puntoacapo, 2015), prosegue la
sua ricerca intorno alla natura umana e alla sua declinazione di genere. Questa
volta articolandola nell’allegoria della lupa, quale emblema antropologico
dell’origine ferina degli uomini, corrosa dalla civiltà fino a cacciarla nel
profondo di ciascuno, nel rimosso colpevolizzato, che tanti danni ci procura.
Alle spalle ci sono Rousseau e la psicoanalisi, ma anche uno sguardo attento al
presente, alle sue meschinità mercantili. Non a caso, sullo sfondo di questo
sfacelo, c’è Venezia, città mercantile per eccellenza nonché terra madre
dell’autrice. Della quale, specie nel poemetto collocato verso la fine del
libro, ci dà un ritratto caro a un vedutista contemporaneo, fra pittura e
cartolina, con “taxi bianchi e gialli, barchini a tutto volume / e piccoli
motoscafi velocissimi. mototopi da trasporto / costruiti a Burano da
generazioni. Sandoli e altre barche / della remiera adatte a ogni tecnica di
voga”. Una scena in movimento, un brulichio che contrasta con l’immobilità
dell’ospedale, raccontato nella medesima poesia, nelle quiete stanze del dolore
dov’è ricoverato Gastone in compagnia della sua badante Frosia, che gli ha
fatto vista, entrambi dei vinti, forse, ma non senza lottare.
È esattamente di questo
che ci vuole parlare Fabia Ghenzovich in Totem:
della vita quale flusso di energia che nessuna cornice può contenere, se non
mortificandola. Ecco allora l’archetipo della lupa e delle sue sorelle
regionali (“Sibilla / Diana delle fonti Luna blanca / […] loba Babajaga maga //
strega”, e la leggendaria “Catanegài”, che con la sua zatterina recupera i
bimbi morti annegati nelle acque del Sile), tutte ad incarnare l’incontenibile
femmineo, cui spetterebbe il compito di prendersi cura dei mortali, se solo la
miopia delle società non le rigettasse come pericoli dell’ordine costituito. La
poesia incipitaria non lascia dubbi in tal senso: “D’istinto un lupo per
esempio / ecco quel che abbiamo perso / la prima pelle – la sola che ci salva”.
Per avvicinare di nuovo quella pelle, che qui diventa totem salvifico, occorrerebbe
tuttavia un rito iniziatico collettivo attraverso cui prendere di nuovo
dimestichezza con le forze arcane della natura, nelle quali la morte e il lutto
sono elementi essenziali. La Ghenzovich mi sembra pessimista su tale eventualità
ed è difficile darle torto, tanto più oggi, in cui la vicinanza del femminile
con la ciclicità naturale di vita e di morte è vissuta come una minaccia e, dai
maschi di qualsiasi latitudine e cultura, violentemente repressa.
Tana
era a falde la roccia
punte
d’ossa e muscoli in tensione
nel
balzo in avanti nel tempo
della
pietra nel sangue
d’istinto
un lupo per esempio
ecco
quel che abbiamo perso
la
prima vera pelle – la sola che ci salva.
***
Nessuno
per ferocia lo eguaglia
giocando
al perverso emissario del male
l’uomo
soltanto si sbizzarrisce in gusto macabro
(De
Sade insegna il brevetto dell’orrore).
Del
resto chi non si porta in spalla
il
suo olocausto quotidiano
consumato
all’ombra della storia?
Lo
sterminio tra mura domestiche di ogni amore?
E
Jekyll non si nasconde forse in qualche cella
frigorifera
del cervello? Meglio rottamarlo
nell’astratto
compiacimento per l’indifferenza
o
piuttosto negare
negare
sempre.
***
Un
segreto patto di non belligeranza
sconfinando
uomini e lupi
l’uno
per fame con altre specie
l’altro
per sete
di
lucro e commerci.
***
Sono quello
che vedi di me – che tu
vuoi vedere
– la santa inquisizione di quello
che vuoi che
io sia con intenzione
e
costrizione per tuo solo piacimento
per tuo
costrutto allo stremo del tutto
scontato e
già di me detto che mai
sono stata
né sono né di questa mia
da te
libertà nulla potrai sapere
dell’affondo
– taglio che aprendo
s’increspa
in abbrivio di sorgiva
in santità
di un sorriso che dal fondo
del corpo scavalca il suo confine
sotterranea impronta
di te
Sibilla
Diana
delle fonti Luna blanca
lupa Loba
BabaJaga maga
strega!
***
Mi tira la
gonna mi tenta
scuote piano
i capelli
più forte il
richiamo confonde
sovverte si
allarga e spalanca
la gioia
inattesa che sale
più densa
più ardita pervade
e ritorna
più viva
alla parte
di me infinita
di me
pluraleindivisa.
***
Se
passassi da sola questo Natale
tanto
per cambiare prospettiva
togliendomi
di dosso ogni orpello
pensieri stretti e un po’ strani
piccole
ripetute costrizioni
parole
dette e non dette
un
sorriso troppo accattivante
col
rossetto e il vestito più bello
e
nessuna grazia ricevuta
nessuna
etichetta alla pesantezza
del
mondo messa lì sotto l’albero
tra
lo sfavillio di una luce commerciale
se
passassi da sola questo Natale
in
un silenzio vibrante di neve
allungherei
la mia prima zampa
poi
l’altra per l’urgenza di andare
muso
in avanti a tagliare l’aria
più
veloce il passo quasi senza peso
in
corsa verso l’aperto della notte.
***
Una
zatterina una candela accesa
per ogni
morto negà
per ogni putèo desmentegà
drento el paltàn del fondo
tra le
sponde del Sile la schiva
la Catanegài i
la ciama
i vivi e i morti smarìi soto aqua
dove la
zattera sosta
de novo catài
dal scuro fin a la luse
de un nome pronunzià
– la luse
la tanta luse dei oci
delle madri.
(Una
zatterina una candela accesa/ per ogni morto annegato/ per ogni bambino
dimenticato/ dentro il pantano del fondo/ tra le sponde del Sile la schiva/ La
Catanegài la chiamano/ i vivi e i morti smarriti sotto acqua/ dove la zattera
sosta/ di nuovo portati dallo scuro fino alla luce/ di un nome pronunciato – la
luce/ la tanta luce degli occhi/ delle madri)
***
Flebo
urgente antidolore per una colica alla cistifelia
che ospita un'oliva / calcolo di 2 cm e mezzo.
Terapia – dieta idrica ( un collasso per una buona forchetta come me)
e qualche lacrima.
Poco dopo al reparto di medicina scivolo
nel sonno / silenzio della notte.
Il buongiorno del mattino cade su S. Michele.
L'isola dei cipressi e dei morti.
che ospita un'oliva / calcolo di 2 cm e mezzo.
Terapia – dieta idrica ( un collasso per una buona forchetta come me)
e qualche lacrima.
Poco dopo al reparto di medicina scivolo
nel sonno / silenzio della notte.
Il buongiorno del mattino cade su S. Michele.
L'isola dei cipressi e dei morti.
Il
sole già alto e fiducioso.
Un crescendo tra il moto delle onde e quello delle barche
sempre più frequente e rumoroso.
Mezzi di linea. taxi bianchi e gialli. barchini a tutto volume
e piccoli motoscafi velocissimi. mototopi da trasporto
costruiti a Burano da generazioni. sandoli e altre barche
della remiera adatte ad ogni tecnica di voga.
La vita è movimento come il respiro come il volo di un cormorano.
Per noi è il ritmo di una corsa.
Un crescendo tra il moto delle onde e quello delle barche
sempre più frequente e rumoroso.
Mezzi di linea. taxi bianchi e gialli. barchini a tutto volume
e piccoli motoscafi velocissimi. mototopi da trasporto
costruiti a Burano da generazioni. sandoli e altre barche
della remiera adatte ad ogni tecnica di voga.
La vita è movimento come il respiro come il volo di un cormorano.
Per noi è il ritmo di una corsa.
Retrogusto
la meraviglia di percepirne la luce.
In ospedale dove l'immobilità è quasi inevitabile
come in una zona neutra intuirne la possibilità.
La possibilità della bellezza.
Calpestata negata e mai colta eppure perenne.
Basta fermarsi o essere fermati.
Arriva l'inserviente – la voce gentile.
In ospedale dove l'immobilità è quasi inevitabile
come in una zona neutra intuirne la possibilità.
La possibilità della bellezza.
Calpestata negata e mai colta eppure perenne.
Basta fermarsi o essere fermati.
Arriva l'inserviente – la voce gentile.
Apre
una finestra quel tanto che basta per arieggiare.
L'aria fresca è una carezza sul volto sulla pelle.
Sto con l'aria – leggera come una lieve levitazione
un effetto collaterale alla malattia o forse un aspetto singolare della felicità.
L'aria fresca è una carezza sul volto sulla pelle.
Sto con l'aria – leggera come una lieve levitazione
un effetto collaterale alla malattia o forse un aspetto singolare della felicità.
Fabia
Ghenzovich è nata a Venezia dove vive. Ha partecipato alla
prima Biennale di poesia “Officina della percezione” premio Lorenzo Montano
–2004 a Verona – e nel 2005/2006 al FestivalVerona poesia. E’ interessata alla
poesia e alle sue possibili interazioni e contaminazioni
tra i linguaggi
dell’arte e in particolare con quello musicale, come nel caso di “Metropoli”, testi musicati in stile rap,
con più rappresentazioni a Venezia, Mestre, Padova e a Milano. Ha pubblicato
tre libri di poesia : “Giro di boa”
(Joker edizioni 2007),” “Il cielo aperto
del corpo” (Kolibris 2011), “Totem”( Puntoacapo Editrice 2015). Ha avuto segnalazioni e premi a concorsi di
poesia: secondo premio per la silloge inedita al concorso Guido Gozzano 2009, terzo premio al concorso nazionale poesia
scientifica Charles Darwin 2014 e finalista al Premio Astrolabio per silloge inedita, con
“Totem” finalista al premio internazionale sulle orme di Leopold Sèdar Senghor 2015.
Ha partecipato a numerosi festival di poesia
tra i quali: Fiume di poesia,
festival di poesia performativa( Padova 2011) , Festival Internacional Palabra
en el Mundo (Venezia 2013), 100 Thousand poets for Change (
Bologna, 2013-2014), Festival delle Arti (Venezia 2014), Arts’ Connection ( Museo del vetro di
Murano -Ve. 2014 e Palazzo da Mula 2015), al festival internazionale di poesia
e arte “Grido di donna” (Venezia casa
Goldoni 2014), Bologna in lettere (2015), Congiunzioni,
festival di poesia, scrittura, fotografia e video arte ( Biblioteca di Spinea
–Venezia 2015).
Totem è per me simbolo d'una vitalità innata e diciamo pure animale, ma dietro al simbolo, c'è un percorso di tipo fenomenologico ed esperienziale, corporeo che ho portato avanti nel tempo. L'aver riconosciuto la possibilità di un nucleo vitale, di un'espansione della percezione come espansione di uno stato di coscienza nell'interazione col vivente..ardua impresa, mi ha spinto a scrivere questo mio Totem. Il femminino, inteso come forza sensibile di cura per la pace,lo definirei patrimonio dell'umanità, da riscoprire perchè troppo è stato negato, e in questo senso pur non avendo una visione disincantata sulle lacerazioni e l'imbarbarimento di un mondo il cui valore e modello spietato è quello del mercato, mi resta uno spiraglio di speranza. Un lumicino mai spento del tutto, nostro malgrado, e grazie anche alla ferinità della "lupa"(o del lupo) che forse ci salva. Grazie Stefano per avermi accolto sul tuo blog e per la vicinanza delle tue parole. So che lo stile specie nella prima parte/sezione del libro, potrebbe apparire un pò troppo scarno, ma credo di aver comunque percorso una mia strada: quantomeno la misura di un sentire in movimento. Fabia
RispondiElimina"Il pane buono del corpo" (FB, pag.24)...questo per me è la poesia di Fabia Ghenzovich. Un pane che può saziare o diventare veleno. Come la vita. La poesia, quando vale,non è che il doppio della vita.
RispondiEliminaGrazie per il commenti, che vanno a precisare la mia lettura.
RispondiEliminaHo già avuto modo di scrivere qualche parola su questa interessante raccolta di Fabia. Riuscitissima, a mio avviso,forte e cruda sia nel dettato poetico, essenziale, tagliente, a volte volutamente aspro, sia nell'assunto di fondo, coerente e declinato nel percorso dell'intero libro. Un'idea centrale dominante, e direi tragica, una ferinità ancestrale mai domata, ammansita (malgrado secoli o millenni di cosiddetta civiltà)che si riversa (e spiega) una ferocia (anche più occultata, più sottile) recente e presente, un "homo hominis lupus" che si perpetua. Anche, e molto, come bene dice Stefano, nella nostra Venezia, che può assurgere a simbolo di una immoralità, un'indifferenza per il bene ed il Bene comune che credo diventi ogni giorno più "normale", accettata e imitata. Una poesia dunque necessaria, oggi più che mai, una chiave di lettura del presente che se non serve a sanare una ferita putrescente, può almeno spiegarla e, più ancora, mostrarla. Nuda e cruda com'è. Bravissima Fabia!
RispondiEliminaGrazie Alessandra, la poesia che hai indicato mi rappresenta molto e grazie Francesco che come Guglielmin hai colto nell'essenzialita' dello stile una coerenza col contenuto dell'intera raccolta. Una tragicita'della condizione umana scaduta nell'indifferenza e assuefazione al degrado.Vero è che c'è poco da essere ottimisti e dai testi lo si evince bene, anche se una possibilta' di resistenza è sempre presente se si sa coglierne la bellezza.La poesia e l'arte tutta ne sono una testimonianza . .
RispondiEliminaGrazie Fabia, di aver condiviso queste letture del tuo Totem, che convergono nell' analisi e nella sensazione che esso lascia al lettore: segno della traccia 'chirurgica', della forte identità di questo libro. L'ho recensito anch'io, dimenticando forse di citare La Lupa di Verga fra i possibili referenti letterari dell'opera.
RispondiEliminagrazie per il commento Nicola e per l'attenta recensione recensione che mi hai inviato
RispondiEliminaTesti poetici interessanti e aggregati attorno a un concept originale. Una lupa fuori dal branco, sia per l'approfondimento tematico ricerca che per le scelte stilistiche non convenzionali
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