Parlare
di È veramente cosa buona e giusta
(Battello stampatore, 2014), di Mauro Caselli, impone anzitutto di rilevarne il
metro, l’endecasillabo, e la sua forma, il sonetto, quest’ultimo organizzato in
un’unica strofa senza costanti rimiche. Struttura formale che confligge, per la
sua ascendenza alta, con la fluidità discorsiva e sintattica, tanto che
potremmo riordinare i versi in un’unica prosa e non perderemmo quasi nulla del
messaggio di queste poesie, la cui intenzione è, mi sembra, ridurre all’essenza
un discorso filosofico, un’ontologia che, come scriveva Tiziano Salari nella
postfazione a Il giogo (Cierre
grafica, 2004), ha scelto di portare alla luce le smagliature dell’ente “che ha
obliato l’essere”. Se tuttavia in quell’opera prima Caselli cercava spesso la
tensione lirica (“l’abitare dissolto nella pace / indugia in cima, nell’orlo
affilato / insiste in leggero e continuo giacere”), nel suo secondo libro, Per un caso o per allegra vendetta
(Battello stampatore, 2007), la scelta di combinare, entro la gabbia del
sonetto (già strutturato in monolite), un discorso fluido e razionale trova già
piena realizzazione. Il contrasto tra metro e intenzione comunicativa è
radicale e chiede di essere pensata. Capita infatti un capovolgimento della
scrittura saggistica contemporanea, di matrice heideggeriana (che troviamo, per
esempio, in Flavio Ermini), dove il concetto diventa pensiero poetante, ossia
lirico, ricco di tensioni, ma mantiene la sua condotta lineare, con le pause
indicate dalla punteggiatura. Qui invece Caselli chiude il discorso entro gli
a-capo e toglie il canto quasi del tutto. Ossia sembra lasciare alla lirica il
suo guscio vuoto, la forma-sonetto appunto, per concentrarsi nel tema, che, in È veramente cosa buona e giusta,
consiste nel cogliere le sfumature in cui il movimento eracliteo si dà a
conoscere, declinandolo nella debolezza del sentire umano, frastornato dalla
caducità. È come se Caselli non credesse più nella forza rigenerante del canto,
nel valore aggiunto della retorica densamente praticata, per limitarsi a
metafore d’uso o personificazioni elementari (alcuni esempi dalla terza poesia:
le cose rimangono in attesa, il movimento della memoria, l’imbarazzo del vero,
la maternità delle bellezza). Eppure il pensiero genera lo stesso il suo
oggetto, per quanto esso sia impastato con la lingua, tanto che chi dice e cosa
detta non sono facilmente distinguibili. Lo scrive esplicitamente l’autore
triestino verso la fine del libro: “Si decide di stare con le cose / o,
diversamente, con le parole. / Basta sapere che, qualunque sia, la
migliore scelta rimane l’altra”. È
sempre sull’oscillazione che tiene nella vicinanza gli enti che Caselli si
sofferma, su quel confine impredicabile e iniziale che genera, come la
differenza derridiana, il molteplice. Questa posizione filosofica, il titolo la
declina nella sua versione eucaristica, nella misura in cui anche nella
teologia cristiana il Redentore costituisce l’alterità radicale, il nuovo per
eccellenza, dandosi a conoscere in quanto inizio che fonda.
Siamo
dunque di fronte a una verità generativa, a prescindere dall’artificio retorico
e dal bello stile. Ed è qui, forse, che questa scelta poematica si scontra con
il gusto moderno, laddove quest’ultimo ha fatto della lirica la regina dei
generi poetici, il più verticale. La scrittura di Caselli – evidente anche nei
suoi saggi, in particolare nello studio sull’Otello shakespeariano, Il banderato importuno (Battello
stampatore, 2013) – segue invece l’orizzonte, si fa retoricamente minuscola per
assecondare l’intenzione comunicativa, che non è mai solipsistica o
sentimentale o concentrata sull’io, bensì in ascolto dell’alterità, del
perturbante, del discontinuo che ripullula nell’onda del presente. Vuole essere
insomma fenomenologia, prima che lingua della tecnica, pensiero, ma senza
rinunciare alla messa a fuoco di un evento preciso, ontico; sotto questo
profilo, la forma-sonetto serve a dare rilievo al tema, a circoscriverlo, a
isolarlo, per una maggiore densità sintetica e drammatica.
Da È veramente cosa buona e giusta (Battello stampatore, 2014)
Ti sono
accanto, come non ci fossi,
quando
stai dormendo io vivo il segreto,
che se
ne va, se lo vieni a sapere.
La
verità è un’azione condivisa,
e il
difetto la traccia d’un silenzio
che
accade e che comunque non ha fine,
la
circostanza dell’altra cosa,
effetto
senza causa - e viceversa -
per chi
conosce dei motivi e cerca
in
qualche maniera di farne a meno.
Il
presente smette così le attese
e si
apre al tempo della meraviglia.
Solo io
so il tuo nome, e non lo dirò
nemmeno
a te, cara mia differenza.
***
E
non si torna mai. Certo, una buona
volta
sarà indifferente, lo sanno
tutti,
quando gli eventi perderanno
importanza
e le cose la corona
d’uso,
per un consenso che perdona
ai
contenuti di verità il danno
e
la beffa. Lontani dall’affanno,
il
mutamento ritrova la zona
che
non esiste ancora, la figura
e
l’estensione del tempo perduto,
il
luogo in cui si fa finta di tutto,
confidando
nel fatto che in chiusura
ci
sarà l’occasione di un saluto,
così,
per non andare via di brutto.
***
Ami te stesso in quel prossimo tuo
che sa rimanere dietro
allo specchio.
Con la terza persona è
differente,
perché con essa il caso
singolare
si dissolve e al
contempo viene meno
l’unità di misura per
il bene.
Questo comporta, nella
divisione,
che il sentimento
faccia male i conti,
da cui la pena che ne
manchi sempre.
Ci si consuma così,
dolcemente,
senza colpi di coda e
volentieri,
poco importa se poi è a
fondo perduto,
l’amore è una figura di
risposta,
perciò non ama far
troppe domande.
***
Non
lo so, o forse solamente credo.
Mi
accorgo dopo d’avere sbagliato,
quando
non si può più tornare indietro.
È
sempre stato così, me l’aspetto
ogni
volta in cui, nell’evocazione,
emerge
la figura di qualcosa.
Impossibile
far finta di nulla,
devo
continuare a chiedere ancora,
è
una questione di principio e fine,
dell’esistenza
d’una direzione
che
porti effettivamente lontano.
Un
altro tentativo, è necessario,
per
trovarsi nuovamente da capo,
a
pensare che non so, oppure sì.
Inediti
Nella
prima persona c’è un po’ tutto,
l’estensione
sicura della forma
e
il momento che torna su se stesso,
in
una conoscenza dell’insieme
che
di continuo fa quadrare i conti,
eliminando
incertezze e segreti -
che
a dir la verità vanno anche bene,
per
dare un certo un effetto di rilievo,
un’impressione
di profondità.
È
il tentativo della completezza,
l’evocazione
di quel che è accaduto,
al
posto d’un presente che confonde
tempi,
luoghi, che fa un tale casino
che
guai se non ci fosse poi il futuro.
***
Non
sarà mica la fine del mondo,
è
l’evento di sempre, quotidiano,
ci
si fa l’abitudine; che in fondo,
ad
uscire, uno proverebbe invano.
Così,
la distrazione d’un secondo
e
il bene se ne va, via; non lontano,
solo
un poco più in là, a girare in tondo;
basterebbe
allungare un po’ la mano
e
tutto quanto tornerebbe uguale.
Un
gesto semplice, ovvio, naturale,
che
non si fa, chiamati al proprio male
da
un avvenire definito, assunto
come
un’azione completa che, appunto,
deve
esaurire ogni valore aggiunto.
Mauro
Caselli è nato a Trieste nel 1961, dove vive. Dopo una fruttuosa
esperienza nella fotografia - e presentando mostre personali a Trieste, Bologna
e Parma - si è dedicato alla scrittura di radiodrammi per la Rai. Dopo la
laurea in filosofia contemporanea - sul concetto di riso nell’opera di
Friedrich Nietzsche, relatore Pier Aldo Rovatti, - e dopo aver seguito corsi di
approfondimento in Francia e Inghilterra, ha iniziato la sua collaborazione ad
alcune riviste letterarie. Il suo campo di indagine è quello di una critica
letteraria di orientamento ermeneutico, dove l’indagine tende alla ricerca
delle componenti eminentemente speculative dell’opera.
Per quanto riguarda la
critica letteraria, ha pubblicato il volume La
voce bianca (Campanotto 2004), a tutt’oggi l’unica opera di carattere
monografico che indaga l’opera di Virgilio Giotti. Nel 2013 esce Il banderaro importuno (Trieste,
Battello), studio critico-filosofico sull’Otello
di Shakespeare.
In peosia ha pubblicato: Il giogo (Cierre grafica, 2004), Per un caso o per allegra vendetta
(Battello stampatore, 2007), È veramente
cosa buona e giusta (Battello stampatore, 2014).
La sua raccolta È veramente cosa buona e giusta ha vinto
il premio «Lorenzo Montano», sezione opera edita, nel 2014. È stato invitato a
festival di poesia e conferenze di filosofia. Sue poesie sono state musicate
dal gruppo di musica contemporanea «Motocontrario ensemble».
In quanto cultore della
materia in psicologia dinamica, gli sono stati affidati incarichi di
insegnamento presso l’Università di Trieste. Nello stesso ateneo insegna
tuttora Information literacy, e in
qualità di esperto nella trattazione del libro antico, si occupa della
catalogazione e censimento dei fondi di ateneo.
poeta che non conoscevo; queste poche poesie sono di notevole livello, bellissima /una sorta di poetica?/ "Non lo so, o forse solamente credo." versi che in una ipotetica non cantabilità della parola, viene cantata dal suo dire ritmico.
RispondiEliminacomplimenti
un abbraccio
alessandro ghignoli
Ciao Alessandro, grazie per il commento.
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