La poesia di Silvia Comoglio trova nel
ritmo e nel suono la sua struttura femminile, la voce suadente impostata per
toccare l’orecchio e il petto al lettore. Questo accade in ogni suo libro,
orchestrati per un ascoltatore disposto a compiere due azioni: immergersi nel
canto, dedicandosi alla voce che chiama; impattare frontalmente i testi,
trapuntati di segni grafici da decodificare. Il glossario lo troviamo nei Canti onirici (L’arcolaio, 2009), nel
quale veniamo a sapere, per esempio, che “la parentesi quadra all’inizio di una
composizione è un invito visivo a raccogliersi in se stessi per percepire un
suono sommesso, un dire sottovoce”. Perché è appunto questo che ci chiede
Silvia Comoglio: di partecipare ad un’esperienza tendenzialmente mistica, di
abbandonarci ad un tempo di lettura in dialogo diretto con l’interiorità, un
tempo assoluto, che pretende l’intero, il corpo e l’intelletto, l’occhio e il
tatto, con l’udito in primo piano, non prima tuttavia di avere assimilato la
partitura, che appare chiara quando la poetessa legge in pubblico.
L’ultimo suo libro, Bubo bubo (L’arcolaio, 2011) prosegue questa ricerca fono-grafica e
semantica, collocando la scena, ancora onirica, in un bosco notturno, acquoreo,
attraversato dal vento e pervaso dalle ombre, nel quale figure fitomorfe e ctonie,
memori forse delle metamorfosi
ovidiane, si chiamano, si rispondono, ma sempre in una indeterminatezza
volutamente spaesante, come spaesante è l’amore, tema centrale dell’opera. Lo
sfondo, come nei precedenti libri, è favolistico, medioevale, ma emerge in
trasparenza o per brevi cenni, senza turbare la tensione primaria, che certo ha
un forte legame con il mito. Ad essere
vive, infatti, sono alcune figure archetipiche, come l’albero, l’acqua, la
luna, il bubo bubo, il gufo reale che tiene, qui, i fili dell’arcano, tessendo
il dialogo fra le tenebre e la luce. Figura della soglia, libera alle passioni
l’amante, annuncia che ogni altezza pretende la vertigine dell’abisso. La
permeabilità degli opposti trova formalmente luogo nella distribuzione dei testi
sulla singola pagina, due in differenti combinazioni, frammenti invero di un
discorso amoroso tenuto sul filo dell’onda, il quale riverbera nel succedersi
delle pagine, di capitolo in capitolo,
anzi di movimento in movimento giacché ogni sezione porta l’indicazione del
tempo d’esecuzione, come in una partitura sinfonica: andante ma non troppo,
presto adagio presto, passacaglia…
Bubo bubo è anche un viaggio nell’impasto della lingua, nell’amore
con il quale il poeta vive la propria lingua, metamorfica non per scelta
sperimentale ma per vocazione della lingua stessa e per sensibilità acutissima
del poeta. Verità che in Silvia
Comoglio diventa fondante, grembo entro cui pronunciare la pluralità
degli esseri, bosco sacro in cui Dioniso e Apollo sembrano emissari di Orfeo, a
testimoniare che la poesia può essere il luogo dove desiderio e misura vengono
alla luce da un profondo imperscrutabile, che alimenta le differenze e con il
quale il poeta intinge la lingua per intonare il canto.
Stefano Guglielmin, in "Le Voci della Luna", n.52 - Marzo 2012, p.68
Adagio
II.I
[
chiese sera la barca che non porta
gli
álberi del sogno
óltre
questo mondo. chiese tempo
per
ardere per spazi, fúlgere a riflesso
di
grávidi e stregati - órdini di sguardi:
per
coniare - Della luna! il giallo immaginato,
il
rogo - del fiato - nella bocca ---
---
*
le núbi, si míschiano le
nubi
nel nome che diventa
úmida cintura, vícolo che
lega
etérno il ramo al bosco,
la caccia
ignota di confine, dal
tuo corpo
nel giorno imbavagliata:
le nubi
attecchite tra le ciglia,
“perpetue
- in stormo - srotolate ---
---
II.II
→ quíndi fu fárvi
- tútto un cerchio sacro
e dárvi
- un ángolo di bacio : un lómbo : un filo d’acqua,
il suono che spalanca
il soffio di una stanza [ ]
[ ]
DIS-LOCATO in réfolo di
sogno
plúrimo di vita, foste
órdine posposto
al fiore - aperto a meraviglia, márgine che venne
a pianta spaventosa, a
sémpre che già scosta
corólle e ómbre
- e quésta nuda porta: il modo
esatto
di sórgere
sugl’occhi - di luce uguale a buio,
a órbita di fiato di lunghi rematori
misurati in cristalli - di singulti ―
_______
II.III
…
smarrì la voce - cóntro
del
tetto la durezza, cóntro - del nome -
la
luce - di passaggio …
“Arrì!”
arrì negli
echi a términe di boschi,
síbilo-che-guarda
l’arco già scoperto
dell’última bufera, “l’álba ―
che oscilla di
traghetto sedéndosi leggera
su immote - le téste
e le ginocchia, l’álbero-lanterna
spogliato - di notte - per amore ―
______
II.IV
… mi soffi - come avessi -
tutto un fango - sulla brina, cóme
se ti fossi - la nótte - di
púbblica fatica …
La
sponda-notte ―
è gioco già cosparso - di ciglia
e di memoria:
pioggia, pioggia maestosa!,
a ómbra - e
violacciocca!, fúlmine che dice
le tende sbattute a caso,
l’ingánno
dell’álbero a radura - nel canto -
estivo di rumore: → il lábile ridire,
talvolta, nella luce, gli
improvvisi
á-liti di pietra,
núdi - e cigolanti ―
gli improvvisi immaginarsi
matrici della trama, le
térre - elétte -
a ócchi - di cicala ---
---
II.V
[
→ silén-ziami
così, tessendo - iridescente! -
l’último mio cerchio,
l’último tastare
il
tinnio - enórme -
della casa → quésta
sola ortica
a immensa grazia
sulla strada ―
________
→ “e tu ―
cucivi-soffi in
terre
di ombre successive ―
máschere
ferite
nel
cieco ancora affaccio
di móndo -
ereditato ―
álbe prive di rumore
sul ghiaccio che dilata
in ál-beri-farfalla
i sogni di radice, le stille
úmide a tumulto di ógni
guado oscuro ―
―
II.VI
[
:→ come se ti fossi
- corso di silenzio,
cifra - che già passa - a réfolo sull’acqua,
tra
la stirpe - dal vento - frantumata
:→
come se ti fossi - primo giorno
di
un tempo martellato, aurora - che odora
sghemba -
di
stella - e di peccato ---
---
*
due archi fanno storia
di luna - già consueta: étere che tocca
- fibrosi - témpi
di silenzi: gli élmi
ritratti alle pareti, in
diagrammi
testa-altezza ―
_________
Silvia Comoglio è nata nel 1969, vive a Verrua Savoia (TO) e
lavora a Torino. Laureata in filosofia, si dedica alla pittura e
all’approfondimento della lingua e della cultura russa. Finalista per la
sezione “Una poesia inedita” alla XXI e XXII edizione del Premio Lorenzo
Montano e seconda classificata per la sezione “B - Cantiere” alla XV e XVII
edizione del Premio di Poesia Renato Giorgi, ha pubblicato le sillogi poetiche
“Ervinca” (LietoColle Editore, 2005 - menzione d’onore alla XX edizione del
Premio Lorenzo Montano), “Canti onirici” (L’arcolaio, 2009 - finalista alla
XXVI edizione del Premio Città di Adelfia e segnalato alla XXIV edizione del
Premio Lorenzo Montano) e “Bubo bubo” (L’arcolaio, 2010). Sue poesie sono
apparse nell’antologia “Il segreto delle fragole. Poetico diario 2004”
(LietoColle Editore, 2003), sul giornale on-line Tellusfolio, nell’annuario
Tellus 29 “Febbre d’amore” (Editrice LaboS, 2008), nel blog “La dimora del
tempo sospeso” e nella rivista Il Monte Analogo. E’ presente nei saggi “Senza
riparo. Poesia e Finitezza” (La Vita Felice, 2009) e "Blanc de ta nuque" (Le Voci della Luna, 2011) entrambi di Stefano Guglielmin.
Grazie, Stefano, per il post e per la tua bellissima recensione. Grazie per aver ripercorso la mia scrittura e la mia ricerca a partire da Canti Onirici, per averla accolta, scandagliata e fatta emergere in modo così pieno e totale. Ci tengo a dirti che mi sono pienamente riconosciuta nelle tue parole e anche voglio dirti ancora un grazie per aver creduto nella mia scrittura e nella mia ricerca fin dall’inizio e per averla incoraggiata e sostenuta.
RispondiEliminaSilvia
uno degli aspetti che ho apprezzato della poesia di Silvia è il superamento programmatico del soggetto, l'affrancarsi dall'armamentario biografico e/o psichico scegliendo senza remore per la poesia come avventura linguistica, i rischi che si corrono da questo versante - oscurità, gratuità, leggerezza - sono di gran lunga più onorevoli di quelli che attendono sul versante opposto - sentimentalismo, narcisismo, egocentrismo - e questa poesia riesce a glissarli, è il caso di dire, per cristallina virtù melodica, con lo stesso mistero del quartetto di uccellini in giardino, fischiettato per rimanere tale...
RispondiEliminaPaolo (Donini)
Ringrazio Stefano per la perizia altissima con cui ha affrontato la preziosa scrittura di Silvia. Pentagramma quanto mai composito e impegnativo. Ma l'elemento fonico (non tanto eu-, ché talvolta, se portato a eccessi, può risultare gigioneria) è, se pur tra tematiche precise, una delle cifre più rappresentative del verso di Silvia.
RispondiEliminaGrazie, Stefano.
Un abbraccio alla mia autrice!
Gianfranco
Silvia ed io ringraziamo per questi commenti.
RispondiEliminaIl libro di Silvia si chiude con una poesia che contiene queste parole:
RispondiElimina"Fermarsi
prima - che rótoli la voce.
/.../Prima
di èssere chi tace./.../
che dicono tutta la consapevolezza dell'autrice nella sua ferma scelta poetica di andare alla ricerca di un suono di senso che scavi in fondo a materia vitale e in alto voli anche verso sostanze immateriali, ma senza mai dimenticare la concretezza della parola che si fa voce e cosa.
"Bubo Bubo" è poesia che rende necessaria l'esperienza della fonè
scritta nel mondo, ma che solo la voce della poesia estrae e riesce a "dire".Il soffio delle sillabe è esistenza naturale e questa scrittura ne materializza i sensi e i sentimenti.
Veramente un libro e una lettura eccezionali.
Un caro saluto a tutti.
Giorgio Bonacini
Un grazie di cuore a Paolo Gianfranco e Giorgio per i loro commenti, per aver messo in evidenza in modo così attento e acuto gli elementi essenziali della mia scrittura. E’ vero, la mia ricerca poetica è questo: un’avventura linguistica, un continuo rischiare e arrischiarsi nel suono e per il suono nel tentativo di creare e di offrire un canto, di materializzarlo anche.
RispondiEliminaAncora grazie, e un saluto a tutti.
Silvia
sarebbe interessante, cara Silvia, che chiarissi come mai rimani nella poesia lineare pur insistendo tanto nel suono.
RispondiEliminaDomanda interessante, Stefano. E inaspettata. Non ho mai sperimentato una poesia diversa da quella lineare. Mi piace cercare il suono nelle parole, nelle sillabe, nella costruzione del verso, vedere quale rapporto ci sia tra suono e linguaggio e vedere quale forza e quanta possa esserci in questo rapporto, e anche fino a che punto la parola possa liquefarsi diventando suono. Però nello stesso tempo mi piace che la parola possa offrirsi e donarsi, vivere di se stessa nella sua nudità e completezza. Credo sia questo ad avermi sempre fatta rimanere nella poesia lineare, il lavorare con la parola alla ricerca del suono ma nel rispetto dell’essenza e dell’autonomia di vita della parola. E aggiungo anche che al momento non ho intenzione di sperimentare una poesia diversa da questa.
RispondiEliminaSilvia
mi pare che la tua risposta sia chiara. grazie.
RispondiEliminaA te grazie perché mi hai dato l'occasione e la possibilità di riflettere su questo.
RispondiEliminaSilvia
:-)
RispondiEliminauna voce che conoscevo poco e che qui mi ha colpito molto, davvero, grazie.
RispondiEliminaA presto
Antonio B.