Leggere Stefano Massari è sempre un'esperienza immedicabile. Molto più la sua
opera di quella di chi ha attraversato l'inferno prima del Novecento, per
quanto secolo dell'olocausto e della rivelazione. Ad essersi rivelato è infatti
il Deus Absconditus, nella forma della maschera funerea, che ha, nella
Storia, la serie infinita delle sue ripetizioni. Ogni evento è «artiglio e
convalescenza», ogni azione umana è pervasa dalla «guerra» e dalla «paura», che
s'intrufolano sin dentro la carne delle relazioni più autentiche, quelle
familiari. E ciò non per distacco con l'origine, bensì proprio per il legame
con essa: lo stesso Dio padre – ci racconta la sequenza incipitaria di Serie
del ritorno (La Vita Felice, 2009) – ebbe la propria controfigura in «un
dio» che si finse «suo figlio», che morì in suo nome, perché Lui non sapeva
morire. Ora tuttavia la sua morte è compiuta, ma non come l'intese il
nichilismo ottocentesco, giacché Dio, lascia intendere il poeta, non si dà
solamente nella forma rigida e tutta esposta della Storia, ma conserva un suo
essenziale nascondimento, un moto che pulsa sottopelle in ogni presenza, che
vive in un tempo altro eppure attivo nella forma della promessa, la quale tiene
pulsante il legame fra gli esseri, traducendo in amore la ferita originaria,
che portiamo impresso nell'ombelico, o «nel fianco», come scrive Massari, forse
riprendendo il Baudelaire di A colei che è troppo gaia. Il corpo stesso
diventa «varco», luogo di congiunzione della terra con il cielo, connessione
che tiene l'umano in contatto con il divino. La Storia, dunque, «inferno
imperfetto», non esaurisce l'essere che siamo, non essendone che la
cristallizzazione temporanea. E' invece il dolore, benedetto dal poeta, che ci
tiene prossimi al «risveglio», in cui «stringiamo il patto con la luce», in
singolare empatia con il simbolismo dantesco, dove in Massari, tuttavia, buio e
rapina respirano ovunque, persino nel corpo dell'amata, mentre la luce è
sostanza divina verso cui siamo diretti: «il mare che cerchi è pieno di luce».
La serie del ritorno, terzo canto della cantica infernale, dopo diario
del pane e libro dei vivi – l'unica possibile, invero, dato che la
storia si è rivelata priva di teleologia – racconta il dialogo estremo con
l'Assoluto, in cui egli si pone, nello stesso tempo, sia nella veste del figlio
inadeguato (di Dio), al modo dell'Emil Cioran de La caduta nel tempo, e
sia del padre di famiglia, inadeguato anch'esso, che demanda illusoriamente ai
figli la vendetta e il riscatto futuri.
Emblematica la poesia d'apertura della
sezione Irene dove, al caos della Storia, all'essere di ciascuno «senza
ordine senza direzione», resiste il
contatto degli amanti, il loro nascere ad ogni tratto, incarnazione della
speranza nel pensiero della Zambrano, sia pure, qui, in quanto atto dubitativo,
perché in Massari l'agnosticismo s'intarsia, senza mai fondersi, con la fede
più assoluta: se infatti, all'apice del suo delirio mistico, speranza e perdono
s'abbracciano quale via del ritorno, («dovrei soltanto chiedere
perdono alla vita», p.108), altrove
quel contatto è negato, non voluto («non perdonarmi mai non chiedermi perdono»). A guardar bene,
tuttavia, questa sembra più negazione psicologica, che ontologica. Come dire
che l'inferno è certo nel tormento autobiografico, personale, ma il popolo
cristiano, quello «senza circoncisione»), può, nell'amore/agape, stare in
prossimità della luce, stringere «il patto» con il Dio che si sottrae per
essere pienamente Vero. E così, «anche sanguinando», credere. In definitiva, mi
pare che Stefano Massari sia uno dei più autorevoli poeti cristiani
contemporanei, tormentato/eretico perché non dogmatico, aperto ad una speranza
che s'innesta nel buio perché maledettamente vivo.
Serie del ritorno pdf scaricato da "La dimora del tempo sospeso"
Questo saggio è uscito di recente su "La Mosca di Milano".
condivido lo sguardo di stefano su stefano. grandi entrambi. l.p.
RispondiEliminaAnch'io condivido, pienamente, anche il grandi.
RispondiEliminaHo letto il pdf, sono un po' distante (ora, non lo ero anni fa) non dalla morte, ma da questa tensionedentro lemmi di colpa, dolore, risurrezione, massacro, vendetta...,
dalla "morte che dovevi",
dal ripetersi di
dovevi, dovresti, puoi
di un tempo (verbale) il più delle volte differito (imperfetto, futuro, condizionale)
che, se presente, è quello di un io che dice “sono l’età la sempre ferma guardiana che governa e prega ancora”
o, se corre, è quel “rumore scuro” --- addio (a Dio) che si avventa
“sui portatori interi di dolore” o “sui numeri fratelli murati”
(immagini splendide!)
Così ogni corpo varco "è un varco che offre e cerca chi cerca vive eterno”
un tramite terra / cielo, come ottimamente messo in evidenza da te gugl,
ma anche ferita mai chiusa che suppura quando viva) ,
corpo varco che mostra il Figlio morto (quando il soldato squarcia il fianco sin. di Cristo, facendo uscire sangue e acqua) o l'osso messo a nudo del suo simulacro,
nel gesto, come del soldato, di Stefano Massari in questo magnifico passo:
“ho aperto il tuo crocefisso dentro ho trovato ossa della storia
le tue piaghe niente di commestibile allora l’ho capovolto
quello che forse è stato sangue ora è caos”, generatore...
e dunque corpo varco infine che “offre” il passaggio terrestre, dal quale esce la donna (sempre dal fianco sin, del costato di Adamo), o il figlio di nessuno (nel senso di figlio di tutti);
perché
il “dovevamo essere liberi . tu ricordi ?” non è
“e per salvarci esiste
un ago eterno di vendetta o l’estrema confessione dell’acqua
che copre l’alto della fronte ma non è più lo stesso dolore
crederei adesso in un dio soltanto tuo chiuso nelle viscere”;
dicevo sono un po' distante
ma mi affascina grandemente, e decisamente è gran bello.
Ciao
grazie infinite a stefano a luisa e anche a margherita per il commento molto efficace che mi ha coinvolto
RispondiEliminagrazie a te per questo tuo passaggio.
RispondiEliminabellisime poesie. ma non è una novità, quando si legge S.Massari.
RispondiEliminaAntonio B.