La poesia che ci invita a conoscere Alessandro Assiri ne La stanza delle poche righe (Manni, 2010) sembra essere stata scritta per sparire subito, come l'incipit suggerisce: «le parole [...] devono scomparire per essere intese». Ossia: scrivo per sottrarre, per negazione; solo così posso essere inteso, solo così il lettore può infilarsi in quanto esiste «tra questo nulla e me», nella polpa che tiene in prossimità nulla ed io e che ha senz'altro parentele con la scrittura.
«Nel cielo non c'è niente» ci assicura il poeta, invitandoci «a restare nella carne», nei suoi margini, là dove identità e mondo dialogano sul mistero del corpo e dei suoi confini. A cucirne i bordi sono le parole, «postume fin da subito» perché successive al rumore inessenziale del mondo, sempre inadeguate, ma epifaniche nel contempo, perché sorelle del silenzio, del bianco – parole chiave nel libro, metafore del non ancora – e perciò capaci di preparaci al futuro, alla sua possibilità aperta.
Le stanze di Assiri sono piene di non ancora, levigato con maestria e tenuto rasoterra, senza palloncini volanti o giochi che svaghino, salvo frasi-stringhe mosse dal vento dell'ispirazione, sospese a mezz'aria, enigmatiche: «forma piatta che eri nelle cose care», e: «a te va tutto il silenzio del mondo»; oppure: «solo le mani ci si lava per sempre». Ognuna di loro galleggia sulla pagina-stanza, ma non porta in alto o fuori di là. Intriga, piuttosto, mette in moto e spiazza l'intelligenza, come fosse un coan utile a trattenerci ancora qui, nella stanza delle domande, di fronte all'inspiegabilità della vita. Il loro ruolo è quello di preparaci, come un esercizio Zen, all'ascolto dell'altrove identitario, il più vero nella misura in cui non accetta ruoli prestabiliti e stereotipi, fondante eppure fuggente, che le parole non possono pronunciare, ma soltanto avvicinare per analogia «perché ogni inizio è senza voce», o per contrasto, attraverso l'opaco del mondo e della lingua, sapendo che «nessuna ombra accade senza luce».
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Si affrettava il passo e sembrava si spostasse,
l'unico spazio che all'uomo è concesso
tutto quel vuoto che manca all'adesso
ho seminato parole che non sanno tornare
dimmi cosa c'è tra questo nulla e me
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le parole gettate
rimangono sospese
un attimo nell’aria
poi muoiono
precipitando
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anniversario degli oggetti
condannati a esser densi
come noi che sorridiamo
tra le radici e le stelle
attraversando un silenzio
in quei palazzi invernali
dove ancora oggi
si raffreddano le stelle
77 reticenze
e io non posso entrare
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Stabilisce prima il tuo nome
questa gente di penombra
In fondo a te c'è un pressappoco,
come un forse nelle vene
o un venerdì di nuovo
e dove si rovista per cercarsi
si accumula la carta
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ma qui lo sai non ci si salva
si appare solo all'improvviso
non ci si aiuta, si segue la voce
come inquilini d'inverno
divenire è per un attimo confondersi
succubi d’inchiostro
appoggiarsi all’infrangibile.
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Di stanza in stanza
così divento casa
al plurale immaginando
mattone su mattone
costruire lontananza
con la calce dell’addio.
Alessandro Assiri nasce nel 1962 a Bologna, risiede da molti anni in Trentino. Prima di La stanza della poche righe (Manni, 2010) ha pubblicato Quaderni dell’impostura, uscito per Lieto Colle nel giugno del 2008. Corredato da fotografie di Massimo Saretta e note critiche di Chiara de Luca e Alberto Mori. Sempre per Lieto Colle la silloge Modulazione dell’empietà segnalato al premio Lorenzo Montano XXI Edizione. Con Aletti Editore pubblica nel 2004 Morgana e le nuvole e nel 2006 Il giardino dei pensieri recisi raccolta in prosa poetica con prefazione di Paolo Ruffilli, finalista al Montano XXII Edizione. Con Chiara De Luca pubblica per Fara Editore sui passi per non rimanere novembre 2008. Co-curatore del progetto “Poeti a Nord-Est” che si occupa di creare sinergie tra artisti prevalentemente del territorio e di portare la parola poetica all’interno delle scuole, con seminari e dibattiti. Fa parte della redazione della neo-nata Kolibris Edizioni e del comitato editoriale di Opera prima, collabora con altre riviste sia cartacee che telematiche. Qui il suo spazio virtuale.
una scrittura incisiva e ferma al dettaglio.
RispondiEliminauna poesia dolcissima, intensa.
complimenti ad Alessandro.
grazie a Stefano per la proposta.
anila
hai ragione.
RispondiEliminaciao!
Intagli di gesti e suoni sapientemente impartiti con incisioni precise, pittoriche, schizzate. Parola/gesto che non si crogiola in sé, ma che al contrario si rende “mezzo” e percorso continuo di ricerca all’insegna di un’essenzialità che demanda, in maniera naturale e priva di forzature, al piacere della scoperta di quanto di universale ci sia nell’istante, nello “schizzo”, nell’attimo “prima” e “dopo” ogni lettura.
RispondiEliminanc
Apprezzo anche io la scrittura di Alessandro.
RispondiEliminaSono d'accordo sull'incisività sottolineata ma secondo me i dettagli/schizzi che sono "catturati" sono, come scritto nell'ultimo commento, gesti che ancora si muovono.
Se l'attenzione è al dettaglio, rimane comunque un'ombra del resto che si presuppone.
Come parlare di un'unghia per dire di un corpo intero.
Segnalo anche le poesie della raccolta "Cronache dalla città parallela" pubblicata nel 2011 per Thauma.
Marco