E' un raccontarsi sapendo di stare sospesi sul vuoto il nuovo libro, omonimo, di Gabriel Del Sarto (Transeuropa 2011). Una sospensione metafisica, vissuta stando dentro un'auto, spesso, o nel «tiepido limbo» di una stanza, grembi dai quali osservare il mondo, per cercare tracce capaci di sfidare l'attimo, che esile fugge anche in mezzo a segni familiari, d'apparente pienezza. L'interrogare e lo sguardo di Del Sarto sono montaliani, ma quanto gli si para davanti in quell'aria di vetro, s'infittisce all'inverosimile, diventando inventario, catalogo del superfluo quotidiano e mercantile, un pessimo gusto al quale s'è rassegnato: sguardo post-crepuscolare, il suo, che all'ironia sente più consona la malinconia o forse, come in Tarkovskij, la nostalghia dell'origine, della vescica prenatale, uscendo dalla quale non trova che spigoli, un «vuoto» ostile, appunto, un'impermanenza alleviabile con le carezze dell'amore, dei ricordi, delle epifanie in cui micro e macrocosmo si incontrano in un abbraccio semplice. Come quando un riflesso di sé balena nell'insegna di un supermercato, o altri sincronismi che suggeriscono, ma non garantiscono, l'esistenza di una mente ordinatrice, forse divina.
Se già agli esordi, Del Sarto cantava il reale «in una pace inquieta», ora, del reale, ne rileva ancor più la debolezza fondante nella misura in cui esso, drammaticamente, non fa che ripetere la frammentarietà del senso, essendo anzi l'emblema fenomenico dell'impossibile ricomposizione metafisica («alla fine solo questo / non visitare l'intero»), portando così al centro della sua poesia il bisogno di una verità almeno terrestre, di «una linea da percorrere» per quanto parziale e quotidiana, che supplisca l'assenza di Dio. Per questa ragione, «l'angelo smagrito Gabriel», sopra un «deserto presepe estivo», non può che annunciare «qualcosa piangendo», un niente il cui inesauribile segreto sarà probabilmente spazzato via da «una fiamma improvvisa, ossidrica». Poca cosa ma grandemente moderna in una poesia che, pur sfiorando l'elogio del nido di matrice pascoliana, ha il coraggio di nominare anche quanto vede oltre il muro di nebbia, di attraversarlo, indagando il rumore della città grigia, delle professioni senza creatività, della famiglia in crisi, non indignandosi per le loro cause secolari, bensì stupendosi per la natura effimera eppure minacciosa che le caratterizza, contrapponendo a tutto ciò, senza gridarlo, i dettagli di luce salvifica che pur vi lampeggiano, come uno sguardo, un fiato che condensa, «l'odore acre e dolcissimo / dello spogliatoio» dopo una partita di calcio del figlio, lo stesso avvertito in giovinezza: è l'attimo degli affetti che consola, in una memoria carica di nostalgie, ma che non si piange addosso, offrendosi invece in una tenerezza disarmata che tutti vorremmo sciogliere un poco ogni tanto e condividere.
La differenza
Una canzone bellissima, ascoltata in auto
alla fine del giorno. Ci sono
le mie sere uguali in città
nei rientri, l’asfalto bagnato
e triste col sacchetto della spesa,
il cibo della famiglia,
quando poi il tempo che mi aspetta
è scandito dai racconti dei figli,
dalle notizie del mondo, la partita,
l’intervallo dei pensieri.
...................................Fermarsi
davanti al cancello di casa, un secondo
nel freddo vero,
soli da millenni, conoscendo attese,
e percepire la silenziosa
soglia del tempo e la minima differenza
fra le mie mani e la loro assenza.
Certe sere
Come vengono i pensieri senza sapere
altro che l’immagine di noi. Come
ci avvicinano – e ne coltiviamo la presenza
che è quello che conta oggi, stasera,
dopo la corsa sui viali, incrociando la fretta
dei ritorni, la follia di una città
che vivo da poco, il freddo che sento
nella folla dei palazzi e nel tratto
sceso dall’auto fino alla tua porta.
Queste luci serali però sono vita
si insinuano
col vento nelle maniche quando penso
che molti hanno passato vite
e famiglie qui, consumato e atteso
sere come questa
in un altro appartamento.
....................................È tardi
e la vista del citofono grigio
è un segno che rende
te più reale, come la stanchezza
che avvolge i desideri e i gesti.
Essere qui, conoscere l’attesa di un calore
domestico, una luce buona, qualche
abitudine appresa da poco – non so tu
ma ci sono domande così chiare
da restare senza risposta, e mi confondo
nell’attesa
che una voce superiore rompa i limiti
dei commenti, delle spiegazioni parziali,
adesso, in una casa in affitto, provvisoria
e troppo cara.
..................La luce del frigo, l’insalata
mista nei piatti, le vicissitudini del giorno
restano fa noi, si mescolano
ai gesti e ai corpi, e non so se sai
che comprendo la normalità di tutto questo
solo adesso, e che non mi basta.
dalla sez Meridiano Ovest
III
I pochi episodi fondamentali attorno
cui il senso di una vita ruota appena
quel tanto, millimetrico segno in un tempo
esatto, sono il mio disarmo
il mio limitato sapere su Dio.
.....................................Come
quella volta, a motore acceso nel parcheggio
di cemento che scintillava
dopo la pioggia, le auto lucide, abbandonando
le mani sul volante, alla fine della primavera,
quando sono rimasto sospeso
leggero nel raggio
di un tramonto normale, riflesso
nelle grandi lettere d’acciaio
dell’insegna del supermercato. Un vento,
e l’intimità che si forma in questo destino
di fragilità e legami.
«Ma – mi chiedi – ma non ti viene mai
la voglia di avere
................qualcuno per casa, con cui parlare almeno
sfogarti?»
Sul rettilineo che percorro del viale
verso casa – la luce più umida dei lampioni, i fossi
fra le canne, gli spasmi ancora di una polvere
degli anni ’80 – entro in un mistero
buio, i cui confini si infiammano,
luce residua sul margine di una terra.
IX
La violenza della luce sul parabrezza, il vento
della mattina sui viali e tutta la morte
di questo tempo fra noi: ascolto le onde
di una stazione fm nel vuoto
delle cose. È sabato, posso restare
in attesa, avere fame, un lavoro flessibile,
le dolcissime politiche comunitarie, e posso
consumare prima di altre invasioni
della storia.
...............È sabato
........................e dovunque e comunque,
in ogni stagione creata,
nei cristalli liquidi degli schermi,
negli scaffali, nei corridoi lineari
e piastrellati dei supermercati
e degli ospedali, nei manuali colorati,
tutto è un montaggio perfetto.
.......................Le ore sono quiete
come profondamente gli oggetti,
e il mondo scorre fianco a me, mentre
guido verso casa – oppure
ora il sole è come su questo
violento e deserto presepe estivo
sopra il quale l’angelo smagrito Gabriel
annuncia qualcosa piangendo
alla polvere che si leva ai lati del viale
in una fiamma improvvisa, ossidrica
Winter Songs
I
Entrare qui, con te. In una stanza come
l’interno di una vita mutato, in giorni
standard d’inverno, il consumo e la musica
pop di natale, il mondo che produce,
come fosse possibile conoscersi in casa,
nelle mani, nelle maglie a collo alto.
II
I caffè come questo, presi coi ronzii
dei frigobar degli autogrill nella notte, i panini
decomposti dal giorno, le luci gialle
dell’Agip, hanno fatto parte del calore
e dell’insieme. E i respiri, come quando
sorpresi nell'aria fredda appena scesi
dall'auto, come se ci fossi.
III
Quel disporsi delle cose una notte, dono
e sorte. Nuvole e luminosa. E tu,
fra le foto che appendi, mi parli
con voce bassa come da lontano,
di altre estati, persone che non conoscerò.
Le cose prima del freddo e degli anni.
E la tua voce è come un’anima più dentro
al tempo che lasciamo, desiderato, poco a poco.
IV
Molte sono le delicatezze, le domeniche
d’inverno, le cose rimandate. Ogni uomo – mi dicevi –
cade, a suo modo. E il bianco delle sue ossa
è un segreto anche per lui. Così passa
il suo autunno, le cose successive, fino a quando
vede altre luci, che a tratti sono un domani,
in una casa lontana, colma di vento,
e tu, come ci sorridi dentro, con un sole.
Il senso
Il senso era qui, luminoso
e perduto, nell’attenzione improvvisa
dei tuoi occhi mentre mi parlavi
di lui, del tuo sognare la sua morte
mentre accadeva. Eri qui. Lo sguardo
su te ora è sul vuoto e quella sedia
è come morte, altra morte ancora.
Siamo questa speranza
trafitta dalla cenere dopo la luce
di un gesto, come se avesse questa tua pazienza
ogni storia, o differenza, che sapevi
e raccontavi: così ascoltare era come
assaporare il tessuto che mi lega
al dolore di un padre e di un figlio.
Il resto, le guerre, è lontano da qui
e viviamo in un mondo ovvio,
che non si cura di noi, e lo chiamiamo
casa. Ma anche stasera dopo il pasto dopo
il cartone animato, i popcorn caramellati,
soffrire fonda la serietà della vita. Sono
gli infiniti che si raccolgono
nel sonno dei miei figli, sonde e respiri.
E non so quale notte poi,
dolce e infinita forse, è la forma
del racconto che da oggi ti comprende.
Se quel vento è intimità che salva.
Gabriel Del Sarto è nato nel 1972. Ha pubblicato la raccolta poetica I viali (2003). Ha lavorato, per anni, nel settore della cooperazione sociale. Oggi lavora come consulente e formatore; si occupa, in particolare, dell’inserimento nel mondo del lavoro dei disoccupati e dei precari. Sue poesie sono state tradotte in spagnolo e portoghese.
Qui altre preziose infirmazioni.
Splendide queste poesie di un autore che non conoscevo e grazie quindi a Stefano per averle pubblicate. Le sento molto vicine e terribilmente vere. C'è sicuramente una densa pasta montaliana (il poeta, personalmente, che amo di più e con cui sono cresciuto) che ritrovo con piacere, le cose descritte, catalogate con precisione e svuotate di ogni senso, ma l'andamento, il fluire dimesso e rallentato dei versi, il tono impastato di malinconica rassegnazione, vibrante tuttavia di una sottesa "rivolta" (non foss'altro che per il fatto di scriverla e denudarla a sangue questa disperata quotidiana "mormalità", senza veli illusori di salvezza)che ne fa, a parer mio, una poesia tragica e altissima e dio sa se ne abbiamo bisogno di versi così. Bravissimo Gabriel, felice di averti conosciuto! (Corro a comprare il libro) francesco sassetto
RispondiEliminaGabril è già poeta famoso: uscì nelle più importanti antologie dei poeti nati negli anni settanta. Ora che l'onda s'è calmata, occorre rileggerlo con più ampio respiro.
RispondiEliminacomplimenti a gabriel che avevo conosciuto e letto parecchi anni fa e la cui voce mi sembra che si sia, nel tempo, maturata e consolidata. grazie a stefano per la presentazione accurata e 'calda'. roberto cogo
RispondiEliminaCarissimo gugl, leggo con colpevole ritardo il tuo post e i commenti dei lettori. Ti ringrazio per la tua lettura, densa e capace di meravigliarmi, mostrandomi aspetti della mia poesia che mi sfuggivano. Ringrazio infine i due amici, Francesco e Roberto, per le parole di apprezzamento. Ringrazio in particolare Francesco per la "rivolta" che coglie e sente. Perché è proprio da lì che mi muovo, lì che sta la motivazione, una sorta di rabbia dolcissima, della scrittura di questo libro. Gabriel.
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