Il titolo dell'autoantologia di Fabio Pusterla focalizza perfettamente l'immaginario bifronte del poeta: Le terre emerse (Einaudi 2009) richiamano infatti alla speranza post diluvio, alla rifondazione del bene dopo l'inabissamento marino per collasso del frenetico civile vivere moderno, ma anche al presente sopravvivere senza futuro, lo stare "in bilico sul margine, dove straborda / l'onda al passaggio di parodie di navi". Speranza e rassegnazione convergono, inoltre, sia nella scommessa che la generazione futura trovi "il gioco che ci salvi", e sia sulla nostra capacità di "scordare qualcosa", di vivere senza eccessive zavorre o pustole ereditate dalla storia, non temendo nel contempo la natura, seppur intricata di rovi e acquitrini, di "formiche volanti" e "scorpioni".
Lo sguardo di Pusterla, sin dapprincipio, coglie gli interstizi, il vivere quando svacca e l'inedia balena, l'esatto contrario dunque dell'occasione montaliana: se nel ligure salva, qui il luccichio svela la sostanza sartriana, senza teleologia, delle cose. Ogni paesaggio infatti, anche morale, pullula di scorci marcescenti, nauseabondi, cui non possiamo sottrarci. Nel succedersi delle raccolte, Pusterla toglie sempre più la nevrosi che accompagna questa scoperta, diventando via via presa d'atto di una condizione esistenziale, che ha nell'antieroico la sua cifra e il suo credito d'umanità, necessario per sopportare tutte le notti che sono state e che verranno, "per strappare / un attimo all'asfissia". Anche nella prima racconta, ad ogni modo, la messa in disparte dell'io – che è condizione sine qua non per la tipicità dello sguardo pusterliano – è già operosa, prima dunque dell'incontro con la poetica di Jaccottet, autore comunque decisivo per affinare in Pusterla l'implacabilità diottrica, svuotandola della sovraeccitazione sia simbolica e sia umorale, per un più disteso mezzogiorno con gli enti, nella loro miracolosa presenza (con ciò liberandosi dalla nausea sartriana): "Sul bordo delle rogge: / girini, latte scure. Una valigia / incatramata", "doni del reale" a partire dal fatto, scrive poco dopo, che "Io sono questo: niente".
Tutta questa consapevolezza risplende matura in Pietra sangue (1999), in cui la concretezza delle scene rappresentate prende la forza dell'affresco, degli exempla, in cui la spiritualità, totalmente incarnata, traluce appunto dal fare di esseri in aspra sintonia con l'ambiente, come nell'"alpeggio sconvolto / l'uomo in canottiera [che] allevava i maiali" o Leo che "corre, / poi cade, poi ride, corre / ancora". All'inverno, potremmo dire riprendendo una stagione assidua nei suoi scritti, non si risponde per via antagonista, bensì accettandolo entro una dimensione più complessa che contiene il suo opposto, come la "rosa" che apre Folla sommersa (2004), la quale "gioca il suo gioco" rifiorendo ad ogni primavera, "rosa vecchissima e nuova". Letta in questa chiave, l'emergere dalle terre diluviate, non avviene bellicando ad oltranza con la brutalità naturale, bensì appunto riconoscendole una necessità imponderabile, tale da chiederci una sospensione del giudizio, coerentemente con la messa tra parentesi dell'io: "Che cosa pensa un vitello, / per esempio / quando affoga? / Volete cercare parole anche per questo, / per sentirvi più in pace? Un vitello / non pensa a nulla e se pensa / lo fa in un pensiero animale / incomprensibile". E tuttavia, anche se fossimo capaci di tanto coraggio o predisposizione (facendo come lo stlanik, il pino cembro in un racconto di Salamov e che chiude il libro di Pusterla, pino che si piega come la ginestra leopardiana), rimane nel poeta di Mendrisio l'impossibile dialogo con la Storia, l'orrendo animale dalla cui bocca nasce il tempo dei "martoriati" e dei "dispersi", senza requiem. Gli inediti raccolti in Le terre emerse puntano il dito su questa matrigna crudele, "fiumana dolorosa" dove siamo gettati e vinti, scegliendo dei luoghi deputati per raccontarlo: Milano, Sarajevo e tante altre tragiche "cartoline d'Italia", nelle quali appare chiaro l'assunto di partenza: "Potere comanda, famelico, da sempre / e noi come sempre ubbidiamo".
da Bocksten (1989)
L'anguilla del Reno
Adesso sì, sorella, e più di prima,
se guizzi disperata tra scoli d'atrazina
e getti d'olio vischioso;
o se colpisci di coda, estenuata,
la carezza dell'onda di fosfati che s'annera
sulla ghiaia della riva
la riva, il greto,
il melmoso sabbione
frugati dalle torce delle squadre,
sfrecciano via elicotteri, lampeggiano
bluastre le sirene bitonali),
se adesso persino il Baltico è perduto,
circoscritto il viaggio
nell'armilla d'incendi e d'esplosioni,
e ti rituffi ai relitti, ai tesori del fondo,
chiglie corrose e catene d'ancoraggio,
a precipizio per correnti verticali, masse d'acqua
più fredde, dove scopri il tuo brivido,
un istinto di nuoto, perché il mare
è un profumo lontanissimo, il sospetto
di un sogno interrotto poco prima dell'alba,
quanto basta alla pinna e al tuo testardo
palpito delle branchie, per strappare
un attimo all'asfissia, un'idea di vita
all'evidenza dei fatti, l'ultima sfida all'ansia, un'utopia
alla paura di tutti.
da Pietra sangue (1999)
Bandiere di carta
V
Veniva con le nuvole, talvolta, un richiamo
o forse un fischio invitante: più in là.
Sul lago tremolava un fumo incomprensibile,
una musica quasi perfetta,
e dentro quel quasi bisognava arrischiare. Dai boschi
scendevano acque scoscese, appena spiovute. Poi:
l'effluvio di fungaia, la pista suicida
segnata tra i rovi dallo stereo di un mulo.
A voler salire davvero tra i massi,
lungo una certa strettoia
si poteva arrivare persino a un alpeggio sconvolto
dove un uomo in canottiera allevava maiali.
VIII
Sul ciglione di un prato
l'erba magra è squassata dal vento,
spaziano nuvole e corvi,
cieli ruotano. Leo corre, Poi cade,
poi ride, poi corre
ancora. Anche lui corvo,
e vento e nuvola e prato.
da Folla sommersa (2004)
II
Non si può dire nulla: .questo è il punto. Raccontare,
ma cosa? Qualcosa è crollato,
come un silenzio improvviso e poi l'urlo,
uno sfacelo. Il muggito di un animale imprigionato
dal fango che strascina verso valle. Cosa pensa un vitello
per esempio, quando affoga?
Volete cercare parole anche per questo,
per sentirvi più in pace? Un vitello
non pensa nulla e se pensa
lo fa in un pensiero animale
incomprensibile; tace come una capra,
o un agnello e forse anche un uomo
che guarda in faccia la sua piena solitudine.
III
Gondo era un nome
duro fra le montagne più impervie, venti case
scure sotto la roccia, incastonate
dove improbabile sembrava una scelta. Transumanze
antiche, le voci degli scomparsi
tra le gole e i crepacci, la fatica
scolpita su una pietra e negli appigli
che montano a un pascolo alto. E poi la luce
che incendia un vetro o un tetto di lamiera
come un tempo una lama di falce alzata al sole, un tramonto
sopra la prima neve settembrina; poca luce,
breve nell'ombra massiccia del granito, nelle piccole
finestre delle case, appena sufficiente a rischiarare
la mano incerta che vergava una parola
tremante sulla carta, un'asta o un palloncino, i primi segni
di una lingua che adesso è incapace di dire
quello che non si può dire
che sta oltre
e non ha nome
e che i giornali e la gente di pianura
chiamano orrore o catastrofe.
IV
Perché vivere qui? chiede ogni voce
e ammira sgomenta la nostra rovina. Perché insistere
in «na lotta assurda, in una sfida
ormai priva di senso? Anche questo,
anche questo dunque ci vorreste levare,
ipocriti compagni di disastro.
Settembre 2003, nuovo anno zero
Un filo, o meno ancora, come un rivo
sotterraneo, che appare solo a tratti e poi s'imbuca
e riemerge in un altro ventennio. (Quell'acqua scura,
densa, e quelle forme quasi umane che galleggiano:
tutti perduti, dunque? Tutti uguali?)
L'origine, la sorgente: i martoriati,
i dispersi. Una cosa precisa e voluta: proprio questo
lampeggia allora chiaro sul pelo dell'acqua e del sangue
veniamo da lì. Poi un giorno
ne sale un altro e grida: è stato un gioco,
uno scherzetto innocuo. (E le forche,
e le fosse, e quell'impura
purezza di tempesta e di rapina?) Più neppure
l'ombra di un imbarazzo lo disturba: nuove belve
disse una volta un poeta. Ma era poco.
(O Italia, renovada in di to vacch!)
Fabio Pusterla è nato nel 1957 a Mendrisio, nel Canton Ticino. Vive ad Albogasio, sulla sponda italiana del lago di Lugano. Come poeta ha esordito nel 1985 con la raccolta Concessione all'inverno pubblicata da Casagrande, cui sono seguiti altri quattro libri: Bocksten (1989), Le cose senza storia (1994), Pietra sangue (1999) e Folla sommersa (2004), tutti editi da Marcos y Marcos. Fra le sue traduzioni, II barbagianni e l'ignorante di Jaccottet (Einaudi 1992). I suoi due libri più recenti sono Il nervo di Arnold. Saggi e note sulla poesia contemporanea (Marcos y Marcos 2007) e Una goccia di splendore. Riflessioni sulla scuola nonostante tutto (Casagrande 2008).
Se oggi, fra i poeti presenti, c’è qualcuno capace di incarnare la triste devianza delle masse (così come negli USA, nella tradizione della narrativa, riesce pienamente una personalità come Corman McCarthy), questi è proprio Pusterla. Basti leggere Corpo stellare accanto a Le terre emerse. Poesie scelte, pubblicate recentemente da Einaudi: venti anni di elegiaco avvicinamento al confine semi-sotterraneo della civiltà a cavallo del secolo. La storia frantumata e la pazienza di pochi, affinché i singoli pezzi abbiano ancora un significato.
RispondiEliminaPusterla ha uno slancio inesausto, divenuto passo costante, forse l’unico mezzo adeguato, non solo in poesia, per poter viaggiare lungo le strade d’oggi senza venire irrimediabilmente ustionati.
elio grasso
grazie per la testimonianza.
RispondiEliminaPochi commenti per un poeta che io considero fra i grandissimi.
RispondiEliminaFrancesco t.
vero, pochissimi. ma forse perché è finita una stagione, quella dei "blog con discussione".
RispondiEliminaciao!
Concordo, uno dei migliori e credo che Francesco t. (penso sia Tomada) sia in qualche modo accostabile alla poetica di Pusterla.
RispondiEliminaMi permetto di segnalare anche un altro nome a Stefano: Lorenzo Caschetta, che ho letto di recente
e che mi sembra altrettanto interessante.
Un saluto, vincenzo celli
Sì, Tomada, che ringrazia per un accostamento così importante.
RispondiEliminaIo non penso che sia finito il tempo dei blog di discussione, e in particolare di questo che è in assoluto uno dei migliori. Come sai, lo dico senza piaggeria. Anche se in effetti è un momento di stanca, ma forse lo è per la scrittura in generale, con le dovute eccezioni (il libro di Mattiuzza, ad esempio).
E' certo il tempo di farsi alcune domande, questo sì.
Francesco t(omada)
un saluto a Stefano e a tutti, intanto.
RispondiEliminaè piacevole trovare in rete un post su Fabio Pusterla (che premetto di non amare *particolarmente*), poeta importante e pietra angolare - a me sembra - per molte delle poetiche venute fuori della generazione nata nei 70. credo infatti che, forse per un qualche contrappasso da "lotta di classe", in rete si parli molto poco di alcuni poeti pienamente affermati nei canali tradizionali dell'editoria e delle istituzioni culturali: con il rischio di sfuggire, magari, a chi quei canali, quale ne sia la ragione, ormai non frequenta più.
detto questo, sulla questione dei "blog con discussione": da frequentatore assiduo della poesia in rete ritengo, ma posso certo sbagliare, che il problema non sia tanto la "fine di un ciclo" quanto, piuttosto, la quantità tramortente e a gettito continuo dei materiali, una moltiplicazione tale degli spazi e delle proposte che rende in effetti impossibile, con tutta la buona volontà, seguire tutto. di questo "gettito" non è certo responsabile un blog di qualità, e a pubblicazione assai contenuta, come questo. direi che è l'insieme degli spazi, la situazione d'insieme, a creare un esubero notevole e a far sì che spesso, e magari proprio nello spazio-commenti di alcuni dei poeti più interessanti, vengano a mancare gli interventi.
questa è almeno la mia impressione, del tutto banale, ma avevo piacere nel condividerla.
un caro saluto, e alla prossima,
fabio teti
*dalla* generazione, pardon
RispondiEliminaf.t.
se entriamo in una libreria, non possiamo pretendere di leggere tutto. così è la rete ormai: dobbiamo scegliere, entrando via via da esperti.
RispondiEliminaVero che degli autori importanti si legge poco in rete. Cercherò di farlo in futuro, spero. A scapito dei meno noti, sarà inevitabile per ovvie ragioni di tempo.